Ormai per i russi abbandonare il Caucaso non è più un tabù
26 Febbraio 2011
Il più importante cambiamento che il 2010 ha portato, riguardo alla questione della guerriglia caucasica, è l’atteggiamento dei cittadini russi. Fino a non molto tempo fa, chi avesse anche solo ipotizzato di concedere alla Cecenia l’indipendenza, su un blog o in un forum, sarebbe stato subito bollato come “traditore della patria” e coperto da una valanga di insulti.
Ma il vento è decisamente cambiato.
Adesso nazionalisti, o anche ultranazionalisti dichiarati, possono permettersi di suggerire non solo l’indipendenza per la Cecenia, ma addirittura l’abbandono dell’intero Caucaso russo. C’è chi si spinge addirittura oltre, proponendo la separazione da tutte le regioni dove i russi sono minoranza e le popolazioni locali piuttosto ostili.
Come si è arrivati a questo?
Anni di repressione della guerriglia, prima cecena e poi islamico-caucasica, non hanno portato a nulla. Anzi la ribellione si è andata estendendo e, anche di recente, si nota il suo rafforzamento dove era debole e la sua comparsa dove era inesistente o quasi.
Nella percezione di un numero sempre maggiore di russi viene inutilmente versato sangue e vengono spese cifre colossali per la repressione e il finanziamento dell’elite e delle economie locali, senza ottenere alcun risultato.
La ribellione si estende e rafforza e la situazione economica del Caucaso russo resta disastrosa e senza speranza. A questo si aggiunge il fatto che le popolazioni caucasiche, avendo cittadinanza russa, alta natalità e fortissima disoccupazione, emigrano in gran numero verso le maggiori città russe, aggiungendosi agli immigrati asiatici e caucasici provenienti dall’ex-Unione Sovietica.
I russi etnici si confrontano con una realtà in cui, nelle regioni con una storica presenza delle minoranze nazionali, stanno progressivamente scomparendo. Al contrario, nelle aree da secoli dominate dall’etnia russa, è sempre più abbondante la presenza di caucasici e asiatici, particolarmente nelle maggiori città.
Ci sono ormai interi quartieri di Mosca e San Pietroburgo dove sembra di essere più in Cecenia o nel Tagikistan che in Russia.
La reazione nazionalista si fa ogni giorno più forte tanto da essere culminata con una grande manifestazione a un passo dal Cremlino, accompagnata da saluti nazisti, slogan come “la Russia ai russi” e un clima da pogrom.
L’idea di abbandonare l’intero Caucaso è quindi una reazione che denota la grande paura, dell’etnia maggioritaria, di essere sommersa dalle minoranze, unita all’evidente fallimento della lotta contro i “banditi”.
A questa linea “disfattista” vengono opposte di norma due obiezioni.
La prima è di carattere più sentimentale, ossia che il tanto sangue versato dai russi sarebbe stato speso invano e che quindi l’abbandono di quei territori offenderebbe i caduti. Visto che i caduti aumentano ogni giorno, senza che si veda nessuna luce in fondo al tunnel, questa motivazione fa sempre meno presa.
La seconda riguarda il possibile “effetto domino” che la concessione dell’indipendenza a un pezzo di territorio nazionale potrebbe generare. Vi sono in effetti altre aree del paese dove i sentimenti separatisti sono palpabili.
E di pochi giorni fa la notizia dello smantellamento di una cellula terroristica islamica nel distretto di Oktyabrsky della regione del Bashkortostan. Sono state sequestrate armi, esplosivi e opuscoli dell’estremismo islamico, ed è venuto spontaneo domandarsi cosa succederebbe se, in quella regione o nel vicino Tatarstan, si scatenasse una rivolta simile a quella cecena.
I russi si trovano quindi di fronte a un terribile dilemma, abbandonare una regione ormai persa, rischiando di incoraggiare il distacco di altre, o tenerla con costi umani ed economici sempre più alti e insopportabili?
Il governo sembra deciso a mantenere l’integrità territoriale, costi quel che costi, almeno fino a quando sarà troppo impopolare…