Ormai quella del Pd è una corsa a strappi continui

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Ormai quella del Pd è una corsa a strappi continui

12 Maggio 2009

La parola d’ordine è radicalizzare. E poi, magari, rettificare. E’ una corsa a strappi continui quella del principale partito di opposizione. Il Pd di Dario Franceschini, infatti, è costretto a giocare sempre sul filo del rilancio oppure, per dirla con il leghista Roberto Castelli, “a spararle grosse per dimostrare che esiste” per tentare di risollevare un partito che è obiettivamente in crisi. L’obiettivo è quello di trasformare la possibile Grande Sconfitta in una semplice sconfitta, il desiderio è quello di rastrellare perlomeno i voti degli arrabbiati e degli storici antiberlusconiani. Ovviamente così viene meno il disegno, la strategia di lungo termine, il respiro profondo che dovrebbe avere un progetto e una pianificazione politica. Ma in questa fase, evidentemente, non c’è tempo per filosofare. Bisogna cercare di sopravvivere.

Il problema è che nella scelta di un’opposizione dai toni forti e talvolta apocalittici, nell’urlo continuo contro ogni proposta firmata dal governo si rischia di perdere di vista la realtà e soprattutto di allontanare ulteriormente il Pd dall’umore dei propri elettori piuttosto che tornare a intercettarlo. Il caso del referendum è paradigmatico.

Nella tornata elettorale di giugno, infatti, si verificherà una curiosa contraddizione. Da una parte in vista del voto per le Europee sarà vitale convincere gli elettori di centrosinistra a recarsi alle urne per limitare quanto più possibile i danni sia sul fronte della concorrenza con il Pdl, sia su quello dell’Italia dei Valori. Dall’altra, però, due settimane dopo, in coincidenza con il voto referendario, la speranza segreta è che l’elettorato del Pd non creda davvero alle parole del suo segretario ed eviti di recarsi in massa ad esprimere la propria preferenza. Il raggiungimento del quorum, infatti, al di là delle parole pronunciate ufficialmente sarebbe un clamoroso autogol per i democratici, sottoposti alla minaccia di un “cappotto” del Pdl, nel caso in cui saltasse il banco e si decidesse di tornare alle urne. Inoltre, e questo accresce la dimensione del paradosso, non c’è praticamente nessuno tra i democratici che si professa davvero convinto o entusiasta della legge che uscirebbe dalle urne. Di conseguenza già si pensa a quale legge immaginare per il dopo referendum, alle modifiche da fare e ai correttivi da imporre.

Uno scenario pressoché simile è quello che si va profilando sul fronte dell’immigrazione. Un altro gorgo di indecisione in cui il segretario sembra essere caduto. Con onestà prima Piero Fassino, poi Francesco Rutelli e ancora Massimo D’Alema  hanno ricordato che anche i governi di centrosinistra applicarono – laddove riuscirono a farlo – una politica di “respingimenti”. Il principio di partenza è semplice: l’Italia, come ogni Stato sovrano – ha i suoi confini e per varcarli è necessario essere in possesso di una autorizzazione. Inoltre le richieste d’asilo politico possono essere tranquillamente vagliate nei consolati dei Paesi di partenza. Concetto semplice e accettato in tutto il mondo ma che improvvisamente Franceschini pretende di ribaltare. La conseguenza? Semplice: provocare un’altra ondata di disaffezione nel proprio elettorato, in larga parte perplesso nell’appoggiare il partito pro-clandestini.

Un errore tattico posto sotto i riflettori in maniera impetosa da Luca Ricolfi che ha fotografato così l’ultima sortita del Pd. “L’ostinazione con cui la sinistra respinge al mittente qualsiasi proposta concreta in materia di sicurezza, senza essere minimamente sfiorata dal dubbio di aver torto, ci fornisce una preziosa radiografia dei suoi mali” scrive oggi Ricolfi. “Se non fossero ammalati di astrattezza i dirigenti del Pd capirebbero che il problema dell’Italia è che attira criminalità e manodopera clandestina più degli altri Paesi perché non è in grado di far rispettare le sue leggi, e che l’unico modo di scoraggiare l’immigrazione irregolare è di convincere chi desidera entrare in Italia che può farlo solo attraverso le vie legali. Ma non c’è solo astrattezza, c’è anche molta presunzione, per non dire molto snobismo. Lo sa il segretario del Pd che la maggior parte degli italiani approva l’azione del ministro Maroni?”.