Ox: il computer per bambini che può cambiare il mondo
19 Ottobre 2007
Nel 1967, mentre la maggior parte del mondo era intenta a seguire l’evoluzione musicale dei Beatles, di Jimi Hendrix e dei Rolling Stones e mentre i figli dei fiori si mettevano francobolli di lsd sotto la lingua, un gruppo di programmatori decisamente avant-garde stavano pensando a rendere i computer accessibili ai bambini. Gli americani Wally Feurzeig, Daniel Bobrow, Richard Grant, Cynthia Solomon e Seymour Papert lavoravano infatti al progetto “Logo”, un linguaggio macchina scritto appositamente per i più piccoli.
L’anno dopo, Alan Kay, ora parte del progetto “Un laptop per ogni bambino”, presenta la sua idea: il “Dynabook”, che lui stesso descrive come “un personal computer interattivo e portatile, accessibile come un libro”.
Poco più tardi, durante l’inizio degli anni ’70, si assiste al trionfo dei computer games da sala giochi, da “Pacman” a “Defender”, passando per “Space Invaders”, fino ad arrivare alle console dell’Atari e della Nintendo che portano a casa il divertimento interattivo, è tutto un montare di febbre che la pur arrembante innovazione tecnoludica può solo provare guarire. I bambini di allora cominciano a sperimentare qualcosa che i loro genitori non si sarebbero nemmeno potuti immaginare: il loro alter ego elettronico, alle prese con le più disparate situazioni, inizia ad apprendere anche qualcosa. Chi non ricorda i programmi dell’Atari basati sul linguaggio “basic” in cui si dovevano copiare svariate stringhe di comando tipo “goto”, “zebra” etc., per poi vederle prendere vita sullo schermo in forma di lampi e tuoni o tramonti e arcobaleni?
Siamo già negli anni ottanta, epoca in cui esce il libro dello psicologo, matematico ed esperto di computer Seymour Papert, intitolato “Mindstorm: Children, Computers and Powerful Ideas” in cui si teorizza la scienza del “costruzionismo”, secondo cui i bambini dovrebbero essere messi in grado di apprendere costruendo le cose, diventando così i “costruttori delle loro costruzioni intellettuali”, secondo una parafrasi utilizzata dallo stesso autore. Il libro è commissionato dal Massachussets Institute of Technology.
Arriviamo così al 1982, anno in cui, grazie ad un progetto sponsorizzato dal governo francese (e chi altri, sennò?) Papert e il suo collega Nicolas Negroponte distribuiscono un certo numero di microcomputer “Apple II” ad alcuni bambini di un sobborgo di Dakar, in Senegal. L’esperimento non serve altro che a confermare una delle idee centrali del Papert-pensiero, e cioè che i bambini nati nel terzo mondo sono in grado di familiarizzare con i computer tanto quanto i loro più fortunati “colleghi” occidentali. È l’inizio di una rivoluzione vera e propria. Il successo dà infatti modo a Papert e a Negroponte di credere ancora di più in quello che stavano facendo e l’esperimento viene poi ripetuto in posti come il Pakistan o la Cambogia, dove i bambini continuano a mostrare una certa inclinazione per il linguaggio-macchina.
Nel 1985 il mondo dei “pargoli computerizzati” vede nascere il suo nido ideale, che Papert battezza significativamente “The School of the future”, alla Scuola Elementare Hennigan di Boston, nel Massachussets. È un posto in cui i bambini lavorano con il software “Logo” e funziona anche da rampa di lancio per il progetto congiunto “Lego/Logo” che sfocerà poi nei famosi robot costruiti col Lego, da connettere al proprio computer per farli muovere, uno dei giocattoli più intelligenti e ambiziosi mai creati, che permette ai giovani archimede di cimentarsi con la robotica, niente male, no?
Passano dieci anni e Negroponte nel frattempo ha scritto un libro dal titolo ancora una volta significativo: “Being Digital” (Essere Digitali) in cui si traccia un descrizione del futuro del Personal Computing, il libro diventa rapidamente un best-seller mondiale ed è tradotto in quaranta lingue.
Mentre nel 1998 esce il progetto forse più ambizioso della Lego, chiamato “Mindstorm” e che richiede ai bambini di costruire robot sempre più complessi e soprattutto “programmabili”, Negroponte sta lavorando con una ventina di bambini in un villaggio sperduto della Cambogia e questi dimostrano ancora una volta di saperci fare con il computer; un po’ come un bambino di due-tre anni proferisce la sua prima parola che in genere è “mamma” o “papà”, i bambini cambogiani imparano altrettanto in fretta il gergo di internet pronunciando il fatidico verbo “google” (in inglese “to google” significa infatti cercare qualcosa su internet).
Quattro anni più tardi, inizia a prendere forma il progetto più importante, che vede Negroponte stringere un accordo con il governatore dello stato del Maine, Angus King, attraverso cui i bambini del “Pine Tree State” possono mettere le loro mani cicciottelle e impiastricciate di cioccolata su 42.000 laptop. King è entusiasta del progetto e lo commenta così: “Dare ai bambini questo potente strumento, questa chiave, è un’idea molto forte e rivoluzionaria”.
Ha ragione, Angus King, l’idea è di quelle che potrebbero davvero cambiare il mondo. Infatti a gennaio nasce il progetto “One laptop per Child” (OLPC) in cui sono coinvolti rapidamente sia la AMD, nota azienda di chip per computer, sia Google che la News Corporation. Poco tempo dopo Negroponte presenta la mondo la sua nuova idea, un computer portatile da vendere al prezzo di cento dollari, e lo fa durante la conferenza del World Economic Forum, in Svizzera. Ormai il presidente della OLPC è diventato un simbolo tanto da essere paragonato dal New York Times al leggendario John “Appleseed” Chapman, divenuto a suo tempo una leggenda vivente a stelle strisce per aver introdotto la mela nell’Ohio, nell’Indiana e nell’Illinois.
Il progetto prende rapidamente quota. Infatti sia il presidente brasiliano Lula, che quello nigeriano Olusegun Obasanjo e anche il Primo Ministro Thailandese, Thaksin Shinawatra, annunciano di voler comprare il laptop per bambini della OLPC in grosse quantità: è quello che ci vuole per la compagnia di Negroponte: compratori che si interessino al progetto fin da subito. Nel frattempo, complice anche la pubblicità di Kofi Annan, la Quanta Computers (il più grande costruttore di portatili del mondo) diventa parte del progetto, così come la Nortel e la Red Hat.
Il laptop da cento dollari diventa quindi una realtà (anche se alla fine costerà un po’ di più) ed è anche una bella realtà, infatti conta su batterie a lunga durata, ricaricabili con la luce solare, uno schermo antiriflesso utilizzabile anche sotto il sole, una struttura a prova di caduta e capacità wireless che fanno invidia a computer di ben altra fascia. Il tutto è condito con una vasta dotazione di software rigorosamente “open-source” (che vuol dire gratuito ma non certo scadente). Fino a qui tutto bene. Anzi benissimo. C’è solo un problema e lo ha spiegato lo stesso Negroponte a “Newsweek”. “C’è stata una stretta di mano con i leader di Thailandia, Nigeria e Brasile, i quali hanno tutti acconsentito a comprare un milione di laptop. Questo ci ha fatto andare avanti. Ma c’è un mondo di differenza tra una stretta di mano e un vero e proprio accordo. Quando si tratta di fare il primo passo, viene a tutti un grosso buco nello stomaco”.
Dal 12 novembre prossimo, e per due intere settimane, sarà possibile per i privati acquistare il computer di Negroponte alla modica cifra di 399 dollari (con il cambio attuale fanno appena 281 euro!). Per tale somma ci si porta a casa un “XO”, mentre un altro viene recapitato ad un bambino povero del terzo mondo.
Vista la carenza cronica di tecnologia nelle scuole elementari italiane e il fatto che, quando sono fortunati, i ragazzini nostrani devono fare i conti con vere e proprie macchine da caffè, così come i loro colleghi più anziani a livello universitario, non farebbe male considerarci, per una volta, come un paese del terzo mondo. Con 2.810.000 (due milioni e ottocentodiecimila) euro, il governo italiano potrebbe acquistare diecimila “XO” e dare l’esempio a tutto il mondo, dimostrando che con il “buco nello stomaco” in questi casi, si può convivere. Per non parlare del fatto che finalmente i nostri figli potrebbero entrare nel mondo di domani con una consapevolezza in più, saper usare il computer, che non è poco. La OLPC vorrebbe insegnare ai poveri a pescare…ma gli mancano le canne da pesca.