Pace tra Google e fisco? Lo Stato italiano forte con i deboli e debole con i forti
06 Maggio 2017
Immaginiamo che un normale contribuente italiano non paghi le tasse o paghi per anni (molto) meno di quello che dovrebbe, cercando magari di spostare i suoi profitti in paradisi fiscali o in altri Paesi con regimi di tassazione più favorevoli. Non avrebbe vita facile. Magari un piccolo imprenditore che ha già una esposizione verso le banche. Se non paga o paga meno del dovuto prima arrivano le multe, le maggiorazioni, e subito dopo Equitalia, che negli anni scorsi ha moltiplicato le sanzioni costringendo tante piccole e medie imprese indebitate a chiudere i battenti. Questo è l’atteggiamento che lo Stato tiene di norma verso chi fa impresa in Italia.
Le tasse, direte voi, bisogna pagarle, e chi sbaglia paga, con gli interessi. Ma ora immaginiamo di essere uno dei padroni del Web, Google, per esempio. Che viene accusato di non aver pagato per diversi anni il dovuto, non solo in Italia ma anche in altri Paesi europei. Che per i suoi servizi online fattura in Italia, ma fattura pure in Irlanda sugli utili italiani oppure, come sottolinea il Sole 24 ore, accumula profitti nei paradisi fiscali. Beh, seguendo la logica del nostro ragionamento iniziale, lo Stato italiano dovrebbe punire con la stessa forza con cui persegue quel piccolo imprenditore anche chi è un gigante della net economy.
Pia illusione. Chi segue l’Occidentale sa che non siamo certo dei partigiani dello Stato tartassatore, ma come si può commentare la decisione presa dallo Stato italiano di chiudere un accordo fiscale relativo a diversi anni di attività googlesche in Italia – un accordo da 300 milioni di euro – con una multinazionale che in un solo anno in Italia arriva a fatturare centinaia di milioni di euro, e con profitti da anni in crescita? Dov’è Equitalia? Che fine hanno fatto l’aggio e le maggiorazioni? Cos’è, una nuova forma di rottamazione delle cartelle ma ritagliata su misura per Google? Il bello è che l’accordo tra Google e Agenzia delle Entrate è stato definito un “successo” e il Governo pare che voglia prenderlo a modello di altri patti, “premiali”?, con Facebook e le altre corporation internettiane.
Con la complicità di quell’establishment politico-culturale, non solo italiano, meglio se “liberal”, che vuole tenersi buoni i padroni di Internet, magari pensando alle prossime cyber-elezioni. Questo è lo Stato italiano quando si parla di fisco: debole con i forti e forte con i deboli. Una vecchia storia. Aggiornata da Big Web.