Padre Bossi, i terroristi volevano un milione di dollari

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Padre Bossi, i terroristi volevano un milione di dollari

20 Luglio 2007

Sono le due di notte, quando  in casa di Padre Giovanni Sandalo, il
superiore del Pime, squilla il telefono: “Davvero padre Giancarlo è stato
liberato? – chiede alle fonti dell’agenzia missionaria Minsa – Questa è una
notizia meravigliosa ma noi non sapevamo ancora niente”.

Ma se in quella prima telefonata si
sapeva molto poco sulla modalità di rilascio, adesso sembra essere confermato
il fatto che non sia stato pagato alcun riscatto, nonostante l’intento dei
rapitori fosse proprio di ottenere dei soldi. 
“Ero un mezzo per ottenere un riscatto”, ha detto oggi Padre Bossi nel corso di una conferenza stampa a Manila, dopo aver incontrato il presidente filippino Gloria Arroyo. Il missionario ha parlato di 50
milioni di pesos (oltre un milione di dollari). “Mi dispiace, ti sequestriamo
solo per i soldi”, hanno detto i rapitori a padre Bossi qualificandosi come “appartenenti
al gruppo di Abu Sayyaf”.

Secondo quanto raccontato dal religioso i suoi rapitori
ricevevano ordini da una persona che li contattava attraverso un cellulare. La
polizia filippina sostiene di non aver versato alcuna somma di denaro per il
rilascio di padre Bossi, il quale ha dichiarato di non essere stato
testimone di alcun pagamento. Prima delle rivelazioni del missionario italiano, il
rapimento era stato attribuito al gruppo terroristico di Abu Sayaf, poi ai militanti
del Moro Islamic Liberation Front (Milf), mentre i missionari del Pime sospettavano di alcuni criminali locali. Elisabetta Belloni, funzionario della Farnesina che
da 4 anni collabora per la liberazione degli italiani%2C ha spiegato, in un’intervista
a Repubblica:  “Non è ancora chiaro quale
sia stato il gruppo responsabile del rapimento”. E per quanto sia inevitabile
riconoscere al Sismi un importante impegno nella trattativa è la stessa Belloni
a precisare che “l’azione è stata condotta dalle autorità filippine, noi italiani
abbiamo avuto contatti soltanto con mediatori”. Si moltiplicano quindi i dubbi
sul comportamento di Governo e Farnesina.

Padre Giancarlo Bossi era stato rapito lo scorso 10 giugno
mentre si recava alla parrocchia del Payo a celebrare la messa. Da quel
fatidico giorno il mondo e in particolare quello cattolico è sprofondato in un
abisso di interrogativi senza risposta. Chi poteva aver rapito il “gigante
buono”, come lo chiamavano nella sua parrocchia? E per quale ragione?

La notizia della liberazione in Italia è stata diffusa da
Romano Prodi poco prima delle 21, ma la conferma ufficiale è arrivata qualche
minuto più tardi per voce di Padre Zanchi, superiore generale del Pime, che ha spiegato
come il missionario fosse stato accompagnato dagli uomini dei servizi segreti
italiani a Zamboanga per una prima visita di controllo sullo stato di salute. La
liberazione è avvenuta nella zona di Sibugay Bay, sulla penisola di Zamboanga,
nella parte occidentale dell’isola di Mindanao; la parrocchia di Payao, dove il
missionario italiano lavorava, si trova a pochi chilometri, mentre la capitale
Manila dista oltre un migliaio.

Tempestiva anche la reazione del Papa, che, dalla sua
residenza estiva di Lorenzago di Cadore, parla di “grandissima gioia”. Segue
poi il commento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che,
appena appresa la notizia del rilascio, dichiara: “Sono lieto della liberazione
di padre Bossi”.

E mentre a Payo si fa festa e le strade si riempiono di
persone, in Italia le agenzie hanno un gran da fare, per riportare i commenti da parte dalle varie aree del mondo politico. Ma la curiosità,
intanto, regna sovrana. Dalla Farnesina, infatti, le notizie continuano a
giungere con il contagocce. Secondo quanto dichiarato all’agenzia AsiaNews dal
capo della polizia filippina sarebbe da escludere l’ipotesi del pagamento di un
riscatto. Meglio parlare, secondo le forze dell’ordine locali, di “frenetiche
trattative”. A fargli eco, monsignor Pedro C. Quitorio, portavoce della
conferenza episcopale filippina (CBCP): “Per la liberazione di padre Bossi non
è stato pagato alcun riscatto”, ha detto, sottolineando che  “la sola cosa che abbiamo fatto è stata
quella di pregare perché tutto si risolvesse nel migliore dei modi”.

Molto però c’è ancora da sapere sui responsabili del
rapimento e l’atteggiamento del governo.  Almeno per noi, mentre Padre Bossi fa sapere
semplicemente: “Voglio tornare ad aiutare la mia gente, i miei rapitori mi
hanno assicurato che non mi prenderanno di nuovo. Non ho mai avuto la sensazione
che mi volessero uccidere né ho mai ricevuto minacce di morte o violenza di
alcun tipo. Mi hanno trattato bene… solo il cibo non era un granché: riso, sale
e pesce secco. Per questo sono spariti un po’ di chili. Ma ho anche smesso di
fumare: non tocco una sigaretta dal 27 giugno”.