Padre Bossi, il Pime smentisce l’sms
10 Luglio 2007
di redazione
E’ passato un mese dal rapimento di Padre Bossi. Di lui, solo le tre foto che hanno ridato speranza e molte notizie confuse o prive di fondamento. Neppure l’sms risulta attendibile: il Pime ha infatti smentito l’informazione circa il messaggio che Padre Bossi avrebbe spedito a un amico.
“È passato un mese esatto, ma siamo nello stesso stato d’animo del giorno in cui padre Giancarlo Bossi è stato sequestrato”: così padre Gian Battista Zanchi, superiore generale del Pontificio Istituto Missione Estere (Pime), commenta il mese di sequestro del suo confratello padre Bossi, rapito il 10 giugno scorso nelle isola meridionale delle Filippine di Mindanao.
Qualche informazione in più, fanno sapere fonti religiose contattate dalla MISNA nelle Filippine, doveva arrivare da un importante incontro previsto oggi nel paese asiatico e al quale partecipavano tutti coloro che sono coinvolti nei tentativi di liberare padre Bossi, ma al momento nessuna novità è trapelata.
Secondo le stesse fonti, sarebbe stato definitivamente localizzata l’area in cui si troverebbe il missionario italiano, che, in base ad alcune anticipazioni, non sarebbe distante da Payao, la zona dove è stato rapito un mese fa. Informazioni che sembrano confermare la totale estraneità del coinvolgimento di Abu Sayyaf nella vicenda, completamente assente dalla zona individuata. Il gruppo radicale era comparso nella vicenda di padre Bossi già poche ore dopo il sequestro, soprattutto in dichiarazioni ufficiali, e il suo coinvolgimento è stato riproposto con forza venerdi scorso dal consigliere per la Difesa nazionale Norberto Gonzales, “più per interessi politici interni legati alla nuova legge sul terrorismo che per prove reali” commenta una fonte religiosa da Manila. Anzi, i confratelli di padre Bossi continuano a ritenere che dietro il sequestro si trovi un gruppo di fuoriusciti del Fronte di liberazione moro (Milf), ormai datosi al brigantaggio.
Domani, giornata che il Pime dedicherà alla preghiera per la liberazione di padre Bossi, sarà lo stesso Zanchi a celebrare una messa nella sede della casa generalizia della congregazione missionaria di Roma per chiedere che il confratello originario di Abbiategrasso possa finalmente tornare tra la sua gente a Payao. Che il 10 luglio, ha scritto il superiore generale del PIme nella lettera circolare inviata ai confratelli in tutto il mondo sia “una giornata intensa e speciale di preghiera per padre Bossi: il Signore gli doni abbondante il coraggio, la speranza e la pazienza, e ai suoi sequestratori Dio tocchi il cuore”.
Ecco, di seguito, la lettera, ripresa dall’ageniza Misna. E’ stata scritta dal Superiore Generale, padre Gian Battista Zanchi, per invitare tutte le comunità dell’istituto ad unirsi in preghiera per la liberazione di padre Giancarlo.
Carissimi, il nostro confratello P.Giancarlo Bossi è stato rapito il 10 giugno a Payao, nell’isola di Mindanao (Filippine), mentre si recava a celebrare l’Eucaristia domenicale in una comunità. Fin dai primi giorni del rapimento il governo italiano si è attivato nel seguire da vicino la vicenda con l’Ambasciatore nelle Filippine, e in Italia con l’unità di crisi del Ministero degli Esteri. La Santa Sede si è subito mobilitata attraverso il Nunzio e la segreteria di Stato. Anche le autorità politiche, religiose ed ecclesiali di Payao, Prelatura di Ipil, e di Zamboanga si sono subito adoperate, insieme ai nostri missionari, per la liberazione di p. Bossi. Tutti noi, insieme alla famiglia, alla parrocchia e agli amici di p. Giancarlo, siamo in attesa fiduciosa di notizie che annuncino la sua liberazione, ma dobbiamo dire che, fino ad oggi, non è stata fatta alcuna rivendicazione né sappiamo il perché del sequestro.
Mentre si stanno tentando tutte le vie per una soluzione positiva della vicenda, per noi missionari un fatto del genere non è un semplice fatto di cronaca, ma costituisce motivo di riflessione che ci deve
riportare all’origine della nostra vocazione e missione. Proprio il vangelo della scorsa domenica (Lc 9, 51ss) parla di Gesù che si avvia decisamente verso Gerusalemme per donare la sua vita. In questo cammino verso Gerusalemme ci sono anche i discepoli, chiamati alla sequela e a condividere la sorte del loro maestro. Fin dall’inizio di questo viaggio di Gesù verso Gerusalemme vi è qualcuno che ne intralcia il cammino: i samaritani. Come allora, anche noi, oggi, constatiamo che nel mondo ci sono sempre persone che si oppongono al bene e preferiscono seguire strade diverse. Le difficoltà sorgono, però, non solo dall’esterno, anche dall’interno del gruppo dei discepoli c’è una reazione esagerata. Infatti Giacomo e Giovanni, reagiscono a questo intralcio e vorrebbero ricorrere alle maniere forti: “Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 12,54). Gesù li rimprovera severamente. Il discepolo non deve fare guerre sante o crociate, ma è chiamato a seguire il Maestro. A chi usa violenza, menzogna e persecuzione, il discepolo deve rispondere invocando benedizioni: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori ” (Mt 5,44). E’ il comando di Gesù, è la richiesta dell’amore gratuito e incondizionato che non si aspetta alcun contraccambio e che, come quello di Dio, raggiunge anche chi fa il male. La preghiera per i persecutori purifica la mente e il cuore e fa vedere il malvagio con gli occhi di Dio, che non ha nemici. Quello che Gesù richiede non è altro che quello che lui è stato e ha fatto. Di fronte al rapimento di p. Bossi, forse anche noi siamo stati tentati, come i due discepoli, di invocare interventi forti e sbrigativi. Dobbiamo superare questa reazione spontanea, questa tentazione, ricordando che l’incomprensione, il rifiuto, la violenza, la persecuzione, il martirio, fanno parte della nostra vocazione missionaria. Il seguire Gesù nel suo impegnativo cammino verso Gerusalemme richiede una libertà interiore che è prima di tutto una libertà da se stessi ed è una sequela che esige totalità e radicalità. La storia recente della nostra presenza in Mindanao è costellata dalla testimonianza di due confratelli che hanno offerto la vita e da un altro che ha subito, come p.Bossi, il sequestro. Nonostante questi rischi, sempre presenti e attuali, i nostri confratelli continuano la loro attività e la loro presenza, condividendo e dando la vita per la gente di Mindanao. Il vero risultato della missione non è tanto nella risposta degli uomini, ma nella fedeltà del missionario al dono ricevuto. La validità della missione e dei suoi frutti sono nelle mani di Dio e Dio li mostrerà quando vorrà. Per il missionario la verifica è sulla sua fedeltà. L’essere rimasti in Mindanao, nonostante tutti i rischi e le difficoltà, è senza dubbio una testimonianza di questa fedeltà.
Nella solennità dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo la liturgia ci ha ricordato l’arresto in prigione di Pietro: “ Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui ” (At 12,5). La Chiesa si rivolge al Signore perché si rende conto che, senza di lui, non può uscire dalla situazione tragica in cui si trova. Ma è anche l’espressione di una fiducia profonda e totale in Dio che non abbandona mai i suoi; essi possono e devono rimettersi a lui che interverrà al momento e nel modo che solo lui vorrà. Anche noi, mossi dagli stessi sentimenti e dalla stessa fede, vogliamo, insieme, rivolgere a Dio la nostra preghiera per la liberazione del nostro confratello p. Giancarlo Bossi. So che tutti, da subito, hanno rivolto al Signore preghiere di intercessione, tuttavia, in occasione del 10 luglio, a un mese dal rapimento, invito tutte le comunità del PIME, nelle diverse case e missioni, a un giornata intensa e speciale di preghiera per p. Bossi: il Signore gli doni abbondante il coraggio, la speranza e la pazienza; e per i suoi sequestratori : Dio tocchi il loro cuore e si ravvedino. Si sono fatte e si stanno programmando iniziative e manifestazioni a diversi livelli per sollecitare la liberazione di p. Giancarlo. Ben vengano queste manifestazioni di sostegno e di solidarietà, ma non dimentichiamo la preghiera: siamo nelle mani di Dio. La preghiera incessante della prima comunità cristiana è stata esaudita con l’invio di un angelo. Anche la nostra preghiera incessante, unita alla preghiera che sale a Dio da ogni parte del mondo, sarà esaudita. P. Giancarlo tornerà presto per la gioia dei suoi cari, per la nostra gioia, per la gioia della gente di Payao e di tutti coloro che hanno creduto nella potenza della preghiera e si sono prodigati in modi diversi per la sua liberazione. In questo momento di sofferenza e di incertezza invochiamo l’intercessione e la presenza di Maria, Regina degli apostoli, e le chiediamo di poter presto cantare con lei il nostro Magnificat. Cordialmente nel Signore