Paghiamo troppe tasse, è necessario che Monti cambi strategia
14 Marzo 2012
L’Italia, soprattutto quella onesta, paga troppe tasse. Una considerazione quasi scontata, che da anni fa parte del nostro sistema economico, alle prese con il draconiano percorso di rientro dal debito pubblico accumulatosi nel corso degli ultimi decenni e che non riesce a ridursi. Del fatto che la pressione fiscale abbia raggiunto livelli ormai insostenibili, vicini alla soglia del 45%, se ne sono accorte anche la Corte dei Conti ed il Garante per la privacy, che hanno rifilato una dura stoccata all’eccesso di invadenza del Fisco nelle tasche degli italiani, esprimendo così un giudizio estremamente negativo sulle politiche fiscali intraprese dal governo Monti e che suona come un "così non si può andare avanti".
Il presidente della Corte dei Conti Giampaolino ha ricordato come il livello di pressione fiscale del Belpaese non ha ormai eguali al mondo e che il sistema fiscale attuale è disegnato in modo da far pagare troppo agli onesti, auspicando che, una volta passata la grave crisi degli ultimi anni, si possa pensare ad una sostanziale riduzione delle tasse. Ancora più duro è stato il commento di Pizzetti, che si è scagliato contro le nuove norme sulla trasparenza amministrativa nei controlli fiscali, definendole uno "strappo allo Stato di diritto". Pizzetti si è anche lanciato contro la nuova linea dura del Governo, dichiarando che è da sudditi e non da cittadini l’essere considerati dei potenziali evasori e dei mariuoli.
Nel frattempo, assistiamo giornalmente a storie di imprenditori che decidono di farla finita, perché oppressi dalle tasse, o perché non riescono più a far fronte ai loro debiti nei confronti delle banche. Gli imprenditori non ce la fanno più. Fare impresa, in Italia, è diventato ormai una stigma sociale.
Questo atteggiamento oppressivo, da parte del Governo, deve finire. Non è tollerabile, in uno stato di diritto, il fatto che dei cittadini abbiano paura di chi li governa. Di ricevere all’improvviso una retata dei finanzieri nelle loro aziende. Di dover rinunciare ad acquistare una auto di lusso, perché altrimenti si è necessariamente considerati un evasore o un corrotto.
Lo stato di polizia tributaria è una realtà tipica dell’ancien règime, quando i sovrani raccoglievano le tasse sui sudditi, che diritti non avevano, per finanziare i loro vizi. E di vizi, molto costosi, ancora oggi i nostri governanti ne hanno parecchi. Con l’avvento dello stato liberale, i filosofi morali, da Hume a Smith, erano riusciti a far riconoscere, a livello costituzionale, un sistema di diritti naturali, per cui il cittadino è libero dall’ingerenza dello Stato, che deve agire solo in via sussidiaria. Lo Stato non è allora visto come un fine, così come insegnava Hegel, ma come un mezzo per raggiungere gli scopi per cui l’uomo è naturalmente preposto, vale a dire la libertà e la sua piena realizzazione. Conseguentemente, dalla caduta degli stati assoluti in poi, le tasse erano viste semplicemente come quel corrispettivo che i cittadini dovevano pagare per avere in cambio i servizi che lo Stato offriva. Fu solo con lo sciagurato avvento del Capitale di Marx ed Engels che le tasse cominciarono ad essere intese come uno strumento di lotta che il proletariato poteva sfruttare per abbattere gli odiati capitalisti. L’idea che guadagnare e fare profitto fosse immorale, unita ad una buona dose di invidia e volontà di rivalsa verso chi nella vita ha avuto successo, si è radicata nelle società socialiste ed ha portato alle tensioni sociali di cui ancora oggi osserviamo gli effetti.
Le idee introdotte dagli economisti e filosofi socialisti e comunisti stanno vivendo un pericoloso revival anche nella società italiana di oggi. Le continue campagne televisive sull’evasione fiscale, le assurde invettive che sono state lanciate anche da alti funzionari pubblici, con le quali si ricordava come "è giusto far prendere un po’ di paura ai commercianti", sono sintomo di una regressione sociale il cui esito può essere particolarmente violento. Quando il cittadino smette di percepire il prelievo fiscale come un dovere di solidarietà sociale ed inizia a vederlo come un furto dal quale egli non si può difendere, è sintomo che il legame tra chi governa e chi è governato si è rotto.
Il governo attuale non può, per andare incontro supinamente alle richieste rigoriste della Germania sulla questione del consolidamento delle finanze pubbliche, spremere fino all’osso i propri cittadini. Il nuovo sistema di governance europea, tutto incentrato sul riequilibrio dei conti dal lato della domanda è, ormai lo hanno capito tutti, insostenibile e rischia di portare l’Europa al conflitto tra chi ha il potere di governare e chi subisce, annullando di colpo l’idea dello stato liberale di diritto faticosamente costruito nel corso dei secoli. Bisogna pensare che esiste un altro modo per risolvere il problema delle finanze europee, basato sul lato dell’offerta e che passa per una diminuzione e non per un aumento delle imposte. Occorre che questo Governo cambi presto indirizzo, se non vuole che i focolai di violenza che si cominciano a vedere si esacerbino sempre più.