Pakistan alle urne: l’opposizione contro Musharraf

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Pakistan alle urne: l’opposizione contro Musharraf

15 Febbraio 2008

In un
clima arroventato dalla lunga scia di omicidi politici, dall’acuirsi dei
riflessi interni della guerra in Afghanistan e dalla generale diffidenza che
l’opinione internazionale nutre sulla possibile evoluzione democratica del
Paese, il Pakistan si appresta ad affrontare le elezioni per il rinnovo della
Camera Bassa dell’Assemblea Nazionale (272 seggi) e delle assemblee locali
delle sue quattro province, fissate per il 18 febbraio.

La
contesa elettorale avrebbe dovuto svolgersi l’8 gennaio, ma è stata posticipata
su decisione del presidente Pervez Musharraf (rieletto lo scorso ottobre alla
presidenza per un secondo mandato di cinque anni dal Parlamento in carica) e
della Commissione elettorale nazionale in seguito all’uccisione – il 27
dicembre – di Benazir Bhutto, ex premier e leader del partito di opposizione
Pakistan People’s Party (Ppp), avanzando motivi di sicurezza pubblica.

I temi
chiave della campagna elettorale in corso sono il crollo di popolarità di
Musharraf, l’arretramento nei consensi dei partiti di matrice islamica e la
probabile vittoria dei partiti moderati come il Ppp e il Pakistan’s Muslim
League-Nawaz (Pml-N) dell’ex premier Nawaz Sharif. In un contesto dove i candidati
si mostrano poco inclini a presentarsi in pubblico, nel timore di essere
vittime di attentati, la grande incognita rimane il timore di brogli. Musharraf
è stato criticato per aver posticipato la data delle elezioni, usando a
pretesto la mancanza di sicurezza. Per molti, quello imbastito dal presidente
pakistano è stato un semplice espediente per smorzare gli effetti
sull’elettorato dell’onda emotiva generata dall’omicidio della Bhutto.

Sondaggi
alla mano, però, lo slittamento delle elezioni non avrebbe sortito l’effetto
desiderato. Per far fronte all’avanzare delle forze di opposizione, da più
parti si sospetta che Musharraf e i suoi alleati stiano organizzando una frode
elettorale per mantenersi saldi al potere. Il dispiegamento dei militari nei
seggi elettorali per garantire la sicurezza a fronte di una esigua presenza
degli osservatori internazionali (se si escludono quelli dell’Ue) alimenta
questo genere di accuse.

Alcuni,
poi, avanzano il dubbio che queste voci siano fatte circolare ad arte, nel
quadro di una sottile tattica tesa a delegittimare il risultato elettorale sia
agli occhi dell’opinione pubblica interna sia di quella internazionale.
L’intento sarebbe quello di gettare il Paese in uno stato di caos ancora
maggiore, così da permettere al presidente pakistano di sospendere la Costituzione come
nello scorso novembre, proclamando lo stato di emergenza.

Alla
luce di quanto ultimamente affermato da Asif Ali Zardari (marito della Bhutto,
subentrato con il figlio Bilawal alla guida del Ppp) e da Sharif, questa
ipotesi non è da sottovalutare. I due principali leader dell’opposizione hanno
già dichiarato che faranno scendere in piazza i propri sostenitori se i loro
due partiti non dovessero risultare i più votati. Uno scenario del genere è
fortemente avversato dagli Usa e dai suoi alleati, preoccupati di stabilizzare
il confine meridionale afghano e di mettere al sicuro il dispositivo nucleare
pakistano.

Diversi
analisti, al contrario, nei possibili brogli del 18 febbraio scorgono proprio le
trame di Washington per salvare Musharraf e scongiurare, così, il pericolo che
un buon risultato elettorale permetta ai partiti islamisti di entrare in una
combinazione di governo con una delle grandi forze nazionali. La morte della
Bhutto ha assestato un duro colpo al piano americano di formare una coalizione
laico-moderata tra il Ppp e Musharraf, appoggiata dall’establishment militare:
il vero detentore del potere in Pakistan.

L’appoggio
acritico fornito dagli Stati Uniti a Musharraf rischia di rivelarsi pericoloso
per la loro politica nella regione. Il presidente pakistano comincia a perdere
consensi anche tra i militari. Il suo successore a capo delle forze armate, il
generale Ashfaq Pervez Kayani, nei giorni scorsi ha ordinato a tutti i funzionari
militari impegnati negli uffici civili di abbandonare i loro incarichi. Una
decisione che ha ottenuto il plauso dei fautori di un maggior distacco dei
militari dalla vita politica, ma che rovescia una prassi inaugurata dallo
stesso Musharraf sin dal suo insediamento al potere.

L’ipotesi
tanto temuta da Washington della formazione di una coalizione di governo tra
moderati e islamisti appare comunque remota. Il Muttahida Majlis-e-Amal (Mma),
la coalizione di partiti islamisti che negli ultimi cinque anni ha governato
nelle province del Baluchistan e della North-West Frontier Province, sembra
perdere supporto, oltre che tendere alla disgregazione. Il suo successo
elettorale del 2002 si può spiegare con l’ondata di anti-americanismo imperante
dopo l’invasione dell’Afghanistan (e, secondo alcuni, con le manipolazioni
organizzate da settori dell’intelligence pakistana). Ora l’Mma è accusato di
inefficienza, corruzione, di aver fallito nel garantire migliori condizioni di
sicurezza – favorendo, invece, la ‘talebanizzazione’ dell’area – e di aver
commesso l’errore di appoggiare sino all’ultimo Musharraf.

Il
crollo di Musharraf, insieme all’aggravarsi di problemi come la penuria di
cibo, elettricità, gas, le carenze idriche, l’elevato tasso di inflazione e, in
generale, la povertà, segnerà probabilmente la sconfitta del partito che finora
lo ha appoggiato: il Pakistan’s Muslim League-Quaid-e-Azam (Pml-Q). Il suo
spostamento da posizioni laico-moderate per catturare l’elettorato islamista
marca un distacco dalla politica del presidente pakistano. Slogan come ‘Prima
l’Islam, Poi il Pakistan’ e il rigetto della campagna anti-terrorismo voluta da
Washington non sembrano però aver ottenuto i risultati sperati.

Persino
il Ppp e il Pml-N hanno modificato il loro atteggiamento verso la galassia
islamista. Il loro intento è di sfruttare l’emorragia di voti che sta subendo il
fronte del radicalismo militante. Il Ppp, ad esempio, prende le distanze da chi
vede il coinvolgimento del leader talebano Baitullah Mehsud nell’uccisione
della Bhutto. Il paradosso è che, nei suoi ultimi comizi, lei stessa si era
invece scagliata contro le forze islamiste. Da parte sua, Sharif ha criticato
l’attacco ordinato da Musharraf lo scorso anno contro i gruppi radicali che
trovavano rifugio nella Lal Masjid (Moschea Rossa).

Secondo
Syed Saleem Shahzad (responsabile per il Pakistan dell’Asia Times), le lusinghe
dei grandi partiti nazionali verso l’elettorato conservatore islamico non
risponderebbero a semplici valutazioni di opportunismo elettorale, ma alla
considerazione che per il bene del Paese sarebbe più utile giungere a un
compromesso con il radicalismo islamico e abbandonare la politica di cieca
acquiescenza all’agenda regionale americana. Ciò configurerebbe, a suo dire,
l’ascesa di una visione ‘neonazionalista’ e il ribaltamento di quello che era
stato lo scenario elettorale fino all’assassinio della Bhutto: l’affannosa ricerca
dei  candidati ‘liberali e laici’ di
presentarsi come i migliori alleati degli Usa nel combattere la guerra al
terrore.

Gli
ultimi sondaggi nazionali prevedono un’ampia vittoria delle forze di
opposizione. Il Ppp è stimato ottenere 125-130 seggi, mentre il Pml-N si
aggirerebbe sui 65-70, erodendo supporto al Pml-Q, che se ne dovrebbe
aggiudicare circa 90 (registrando un drastico calo rispetto ai rilevamenti
effettuati prima dell’omicidio della Bhutto). Anche l’alleanza politico-religiosa
Mma subirebbe un forte ridimensionamento, attestandosi sui 15 seggi. Il partito
laico-nazionalista pashtun Awami National League (Anp) dovrebbe guadagnare
circa 20 seggi, così come il Muttahida Quami Movement (Mqm).

Una
coalizione tra il Ppp e il Pml-N otterrebbe la maggioranza per governare, ma
non quella dei 2/3 necessaria per sperare di procedere a una riforma della costituzione
e creare, così, un impianto istituzionale fondato su un effettivo sistema di checks and balances. Il tutto è reso più
difficile dal fatto che le eventuali modifiche della Costituzione votate dalla
Camera Bassa dell’Assemblea Nazionale possono essere bloccate dal Senato, dove
l’attuale coalizione guidata dal Pml-Q detiene ancora una stringata maggioranza.

Il 13
febbraio Sharif ha dichiarato che il suo partito è pronto a fornire appoggio
esterno al governo targato Ppp. In cambio, l’ex premier ha chiesto l’impegno
dello storico partito dei Bhutto a reintegrare i giudici della Corte Suprema
(tra cui il presidente Iftikhar Chaudry), destituiti da Musharraf il novembre
scorso, poco prima si pronunciassero sulla legittimità o meno della sua
rielezione alla presidenza nelle vesti ancora di capo delle forze armate.
Zardari ha risposto affermativamente alla richiesta di Sharif, evidenziando
però che la questione deve essere inserita in un quadro più ampio di
rafforzamento dell’autonomia del potere giudiziario.

Tra i
possibili scenari post-elettorali, c’è anche quello che vede Ppp e Pml-N
lavorare insieme per costituire un governo di ‘consenso nazionale’ con le altre
grandi forze del panorama politico pakistano. Un esecutivo del genere non
sarebbe certo in grado di modificare profondamente la Costituzione, ma
potrebbe realizzare nei prossimi cinque anni un programma ridotto di riforme,
cercando almeno di rappresentare un effettivo contrappeso al potere del
presidente.

Negli
ultimi giorni Zardari ha affermato di considerare seriamente una possibilità di
questo tipo, aprendo anche a un’intesa con il Pml-Q. Sharif rimane
sostanzialmente contrario a un accordo con Musharraf, che nel 1999 (all’epoca
del suo golpe militare) lo ha rimosso dall’incarico di primo ministro, costringendolo
poi a un lungo esilio. Per questo l’alleanza tra il suo partito e il Ppp non si
può considerare ancora formalmente cosa fatta. Zardari ha posticipato qualsiasi
decisione su un eventuale accordo con il presidente pakistano al dopo elezioni,
e sta esercitando un forte pressing su Sharif perché non scarti a priori
l’ipotesi, cosa che potrebbe anche spalancargli le porte per la premiership.

Musharraf
non è per principio contrario all’instaurazione di una democrazia
multipartitica nel Paese. In realtà, il presidente pakistano nutrirebbe delle
riserve in materia perché secondo lui, fino a ora, gli esperimenti democratici
in Pakistan avrebbero portato solo corruzione, malgoverno e l’ascesa di
personaggi corrotti come Zardari (e come Benazir Bhutto), o ambigui verso l’islamismo
militante come Sharif. In caso di sconfitta elettorale, l’uomo forte di
Islamabad potrebbe ancora giocare la carta di disarticolare il Ppp per
puntellare il proprio potere, nominando premier il numero due del Ppp, Amin
Fahim, che (come gran parte della dirigenza del partito) non si fida di Zardari.
Molto dipenderà anche dagli orientamenti di Washington, a cui non dispiacerebbe
un accordo moderato tra Musharraf, Zardari e persino Sharif.