Pakistan: dietro il rinvio delle elezioni solo calma apparente

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Pakistan: dietro il rinvio delle elezioni solo calma apparente

04 Gennaio 2008

Non c’era scelta. A dispetto delle
iniziali dichiarazioni del presidente Pervez Musharraf – che, dopo l’omicidio
della leader dell’opposizione Benazir Butto del 27 dicembre, aveva assicurato
che le elezioni previste per l’8 gennaio non sarebbero state spostate –, la
commissione elettorale ha reso noto lo slittamento del voto pakistano al 18
febbraio 2008. Dopo le proteste da parte dei due maggiori partiti
d’opposizione, però, non si sono registrate particolari violenze nel paese: la
situazione in Pakistan, ad oggi, appare infatti sostanzialmente tranquilla
anche se restano forti motivi di preoccupazione.

A rendere nota la decisione di posporre l’appuntamento
elettorale a febbraio inoltrato è stato ieri il presidente della commissione
elettorale, Qazi Mohammed Farooq, nel corso di una conferenza stampa. “In tutte
le quattro province, per alcuni giorni questo processo elettorale si è
completamente bloccato. Le elezioni si terranno dunque il 18 febbraio invece
che l’8 gennaio”.

Tra i motivi dello spostamento, Farooq ha citato le violenze
scaturite dall’omicidio di Benazir Bhutto. Tra i danni causati dalla folla dei
sostenitori del Pakistan People Party, principale partito d’opposizione passato
ora nelle mani del marito e del figlio di Benazir, figura infatti il
danneggiamento di alcuni uffici elettorali e la totale paralisi di alcune zone
del paese, nelle quali il PPP avrebbe la maggioranza dei consensi. Undici
uffici elettorali, secondo il presidente della commissione elettorale, sono
stati incendiati insieme ai registri.

A causare il rinvio, infine, la festa sciita di Muharram
che durerà dal 10 gennaio all’8 febbraio: impensabile indire consultazioni
elettorali in un frangente nel quale ogni anno il rischio di scontri tra sciiti
e sunniti cresce esponenzialmente, tanto che le forze di polizia vengono
dispiegate in tutto il paese per permettere il pacifico svolgimento della
festività.

Ma i maggiori partiti d’opposizione, evidentemente, non
hanno preso bene la notizia e – dietro al rinvio elettorale – vedono più che
altro il tentativo del presidente Musharraf di riacquistare un minimo di
credibilità e consenso.

Nawaz Sharif, a capo della Pakistan Muslim League-Q, fa
sapere che il suo partito prenderà parte alle nuove elezioni ma allo stesso
tempo invita il presidente pakistano a rassegnare le dimissioni a favorire la
formazione di un governo ad interim. Ahsan Iqbal, portavoce del partito, ha
dichiarato che “il paese non può fronteggiare un’altra elezione controversa: la
nostra paura è che, dopo la morte di Benazir Bhutto, una consultazione
elettorale controversa possa scatenare un disastro”. Il rischio, insomma, di
violenze che sfiorino la guerra civile: le proteste seguite alla morte della
Bhutto, in questo senso, non sarebbero che un semplice assaggio di quello che
potrebbe accadere.

Sulla stessa linea anche il partito della compianta Benazir.
Asif Ali Zardari, vedovo della donna, ha condannato lo spostamento della data
delle elezioni ma, come nel caso di Sharif, ha fatto sapere che il PPP prenderà
parte alle elezioni. “Le elezioni si terranno e le masse vinceranno” ha
dichiarato ai giornalisti raccolti a Naudero, per poi mettere severamente in
guardia Musharraf dai continui rinvii. In una polveriera come quella pakistana,
ha lasciato intendere Zardari, giocare con la pazienza della gente può essere
devastante: e allora sì che la guerra civile si trasformerebbe in uno spettro
concreto.

Il giorno dopo l’annuncio del rinvio sembra segnato però da
una relativa tranquillità. La decisione delle opposizioni di prendere comunque
parte alle elezioni – e gli stessi appelli alla calma lanciati dai leader dei
partiti ai propri sostenitori – hanno giocato un ruolo chiave nell’evitare
ulteriori disordini. “I casi di violenza sono calati” ha dichiarato
l’ex ministro e analista Shafqat Mahmood “in questo frangente si potrebbe dire
che la situazione è migliorata”. Ma, ha continuato Mahmood, “le principali
questioni che dividono la nazione permangono e la figura che provoca le
maggiori divisioni è quella di Musharraf”.

E il presidente Pervez Musharraf, consapevole di creare
divisioni all’interno del paese così come della sua calante popolarità, ha
parlato alla Tv di Stato proprio per cercare di risollevare la sua immagine.
Diversi i temi toccati dal presidente, in un discorso volto a placare gli animi
dei propri concittadini. A pesare su di lui, tra le altre cose, l’accusa di una
Tv indiana secondo la quale il giorno dell’uccisione la Bhutto avrebbe dovuto
incontrare due funzionari americani per mostrare loro le prove di presunti
brogli, orditi dallo stesso presidente in vista delle elezioni.

Musharraf ha dedicato ampio spazio alla Bhutto: “La Nazione
ha vissuto una grande tragedia. Benazir Bhutto è morta nelle mani di
terroristi. Prego Dio di dare pace all’anima di Benazir”. Poi ha spostato il
tiro sulle accuse dell’opposizione: “Mi rattrista che miscredenti e partiti
politici vogliano sfruttare questa occasione per trarne vantaggio” ha detto il
presidente, riferendosi alle esplicite illazioni che lo vedono come mandante di
un omicidio attuato per mano dei servizi segreti.

Per fugare ogni dubbio sulle indagini, Musharraf ha fatto
sapere che “Scotland Yard ci aiuterà” nella ricerca dei colpevoli. Colpevoli
sui quali il presidente non sembra nutrire alcun dubbio: “Alleati di Al Qaeda
sono coinvolti nell’omicidio di Benazir Bhutto” ha detto Musharraf, ribadendo
la propria versione dei fatti fornita il giorno dopo l’attentato del 27
dicembre.

L’altro messaggio lanciato da Musharraf verte invece
sull’unità e la sicurezza. “L’esercito sarà dispiegato per tutto il periodo
delle elezioni, affinché si svolgano in maniera libera chiara e pacifica”. La
speranza è che “ci sia una democrazia costituzionale dopo le elezioni”, ma
questo potrà accadere solo se tutti partiti e la popolazione pakistana
contribuiranno al mantenimento della pace.

Elezioni spostate, dunque, e calma apparente. Molti analisti
ostentano però un certo pessimismo sul futuro prossimo del Pakistan. Secondo%0D
l’International Crisis Group, ad esempio, “se il Pakistan vuole rimanere
stabile dopo l’uccisione di Benazir Bhutto, il Presidente Musharraf deve dare
le dimissioni e un breve governo di transizione deve essere seguito da un
governo civile democraticamente eletto”. Finchè Musharraf non lascia, insomma,
“le tensioni cresceranno e la comunità internazionale potrebbe trovarsi a
fronteggiare l’incubo di un paese mussulmano dotato di bomba atomica
sprofondato in una guerra civile, nella quale i terroristi potrebbero vincere”.

Uno scenario da incubo, che al momento non trova però
riscontro sul campo. Anche se le tensioni, a livello profondo, restano alte:
continua la processione sul luogo dell’uccisione della Bhutto, i suoi sostenitori
lasciano fiori e covano rabbia contro un presidente che, se non diretto
colpevole, considerano responsabile per non aver rafforzato la scorta della
donna dopo il primo attentato (fallito) al suo rientro in patria.

Una cosa è
certa: da qui al 18 febbraio, sempre che elezioni non slittino ulteriormente,
una semplice fiammella potrebbe provocare un incendio di grandissime
dimensioni.