Pakistan Express, vivere (e cucinare) all’ombra dei talebani

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Pakistan Express, vivere (e cucinare) all’ombra dei talebani

18 Agosto 2011

Il nuovo libro di Anna Mahjar-Barducci, “Pakistan Express – vivere (e cucinare) all’ombra dei talebani” recentemente pubblicato dalla casa editrice Lindau di Torino, è un fantastico libro di cucina mediorientale, sostenuto da una magistrale prefazione di Oliviero Toscani. Anzi no. Pakistan Express non è solamente un libro di cucina, sarebbe molto riduttivo definirlo così. Sì perché le ricette qui non sono state scelte pensando a un pranzo o a una cena in cui la padrona di casa, per fare bella figura, prepara pietanze condite con i fiori. E non sono nemmeno frutto dell’ultima moda in fatto di cucina new-age. Queste sono ricette realmente vissute e pensate per essere mangiate veramente.

L’autrice italo-marocchina ha scelto le portate da includere in questo “diario culinario” in base alle sue esperienze di vita. Il fatto è che le esperienze della Barducci sono alquanto numerose e piuttosto interessanti: si svolgono sullo sfondo dei tormentati avvenimenti politici del Pakistan contemporaneo, che l’autrice ha vissuto molto da vicino. Resta il fatto che il libro si potrebbe acquistare anche soltanto per accedere alle ricette, visto che si tratta di cibi facili da cucinare (provare per credere), ma allo stesso tempo ricercati ed esotici.

Il sottotitolo di questo libro, per la verità, tradisce immediatamente la tensione irrisolvibile che si frappone tra la vita di ogni pakistano “normale” e la costante ombrosa minaccia rappresentata dai talebani. Non a caso il libro si apre con una cartina politica del Pakistan, assieme alle principali informazioni geo-politiche e alla descrizione delle principali influenze della cucina pakistana. Da qui si apprende che sono stati i khan della dinastia centro-asiatica dei Moghul (discendenti di Gengis Khan) a portare in Pakistan le erbe e le spezie della tradizione culinaria persiana, che essi stessi avevano appresso tramite conquista. Il libro, come dichiara la stessa autrice, è un tentativo (molto ben riuscito) di far conoscere quest’affascinante paese per mezzo dei suoi piatti più tradizionali. E allo stesso tempo è quindi un modo per esorcizzare l’incombente ombra dei talebani che, con le loro pretese di dominio culturale, minacciano ancora oggi lo svolgersi della vita quotidiana dei pakistani.

Non so come altro interpretare, se non come un segno del destino, il fatto che – mentre la Barducci si preparava a pubblicare Pakistan Express – il commando americano faceva irruzione nella villa Bin Laden ad Abbottabad, guarda caso la cittadina in cui lei aveva vissuto con la sua famiglia. Il libro, almeno da un punto di vista simbolico, non poteva uscire in un momento migliore: il popolo pakistano, proprio adesso, ha più che mai bisogno di speranza se vuole scrollarsi di dosso un passato scomodo. D’altro canto il lettore occidentale ha bisogno di sapere che il Pakistan non è un covo di terroristi, ma un posto in cui gente normale vorrebbe vivere una vita normale.    

Leggendo Pakistan Express, infatti, non si può fare a meno di provare un forte senso di angoscia per i protagonisti, che sono costretti a vivere la loro vita tentando di destreggiarsi tra le assurdità degli estremisti religiosi. Tanto che, se il libro dovesse capitare per caso in mano alla fatidica casalinga di Voghera, le potrebbe senz’altro sembrare un racconto di fantascienza, di quelli in cui esistono universi paralleli dove il mondo sembra sempre diversamente assurdo. Che cosa ci azzecca la questione della bomba atomica del Kashmir con il pollo biryiani? E i Kalashnikov col Kebab di Peshawar? Perché Tufail e Lamia ricevono minacce quotidiane dai talebani soltanto mentre vogliono solamente aprire un ristorante a Lahore? E come si può giustificare l’assassinio dell’amatissimo chierico Sufi Sarfraz Naeemi, colpevole soltanto di ripudiare la violenza dei terroristi suicidi? Il mondo in cui Anna Mahjar-Barducci è cresciuta durante gli anni novanta, per un occidentale qualunque, potrebbe anche non essere mai esistito.

Noi non abbiamo nozioni di cosa significhi avere a che fare con dei pazzi furiosi e fondamentalisti, che ammazzano a sassate le donne o le sgozzano se “si sono fatte stuprare”, disonorando la famiglia. Anche qui in Italia abbiamo potuto assistere a nefandezze di questo tipo (vedi gli omicidi di Hina e Saana), ma si è trattato solamente di deboli riflessi della pazzia profonda che attanaglia le menti ignoranti degli estremisti.

Tutte queste ricette hanno a che fare con le armi nucleari e la legge islamica, proprio perché è attraverso la cucina e la tradizione, che le persone come Anna Mahjar-Barducci sono riuscite a sopportare e a reagire a uno stato di cose che rasenta la pazzia più totale. È attraverso la Samosa e la Pakora, il the al Cardamono e i gli squisiti dolci mediorientali che la stragrande maggioranza dei Pakistani (assolutamente contrari al terrorismo) ha reagito contro i Talebani. Proprio perché gli estremisti hanno reso assurdo un mondo che senza di loro sarebbe stato “normale”, i pakistani hanno tentato di riappropriarsi della normalità. L’hanno fatto cucinando, ballando musica occidentale in balere clandestine, andando ad ascoltare concerti rock segreti, sforzandosi di fare una vita il più possibile “normale”, appunto. Infatti, poco prima che Zia assunse il potere con un colpo di Stato nel 1977 e introdusse nel paese la “cultura del Kalashnikov”, il Pakistan era un posto normale dove la gente poteva andare al cinema, comprarsi una birra e finire la serata in una discoteca, se proprio ne aveva voglia.  

Senza il libro della Barducci, noi fortunatissimi occidentali che paragoniamo Berlusconi a un dittatore, non potremmo mai renderci conto di che cosa significhi veramente vivere sotto una dittatura. Se la famigerata casalinga di Voghera avesse avuto il tempo di leggere una parte del libro, prima di cominciare a preparare una ricetta, si sarebbe certamente fatta il segno della croce, dopo aver appreso dalla penna di una testimone oculare attendibilissima delle assurde pretese talebane.

Il “ricettario” della Barducci non ha un ordine preciso, ed è meglio che sia così. Le ricette arrivano puntuali alla fine di ogni capitolo e sono suggerite dalle situazioni che si creano o dalle abitudini dei protagonisti, che sono tutte persone realmente esistite o esistenti. C’è la storia dell’anziano venditore Mohammad – che i suoi clienti chiamavano zio, e che “all’ora di pranzo, tirava fuori un contenitore di plastica con del pollo biryani che si era portato da casa e che gustava lentamente leggendo gli articoli di giornale che avrebbe poi commentato con i suoi pochi clienti”.  Ed ecco che la ricetta di fine capitolo spiega come cucinare questo piatto antico d’origine Moghul. Altre volte, invece, le vicende narrate in un capitolo hanno poco o niente a che vedere con la ricetta.

Il capitolo sei, per esempio, è dedicato alla memoria dell’intellettuale progressista pakistano Khalid Hasan. Qui i protagonisti consumano dei semplici hamburger all’Americana, ma la Barducci include invece la ricetta del Nun Chai, un the della regione del Kashmir, perché quello avrebbe voluto offrire al suo interlocutore, se avesse potuto. Ironicamente, però, la ricetta più importante contenuta in questo libro non si mangia, ma si respira: è la fragranza dell’acqua di rosa con la quale i pakistani hanno cosparso il luogo in cui Benazir Bhutto è stata assassinata, durante il comizio di Rawalpindi.

Insomma, Pakistan Express è allo stesso tempo il diario di una vita vissuta intensamente, il ricettario di una nazione misteriosa e interessante, grande due volte quanto l’Italia, e il ritratto d’una cultura esotica, di cui noi italiani sappiamo veramente poco. L’ha scritto in punta di piedi una ricercatrice poliglotta e cosmopolita, ben conosciuta per la sua serietà: ne è venuto fuori  un libro godibilissimo, che va letto il prima possibile.