Pakistan: il nuovo governo sfida Musharraf
12 Marzo 2008
In un
clima contrassegnato ancora dall’emergenza sicurezza (ieri in un
attentato dinamitardo a Lahore sono state uccise oltre 20 persone), domenica
scorsa Asif Ali Zardari e Nawaz Sharif, leader rispettivamente del Pakistan
People’s Party (Ppp) e del Pakistan’s Muslim League-Nawaz (Pml-N), usciti
vincitori dalle elezioni politiche in Pakistan del 18 febbraio, hanno raggiunto
un accordo di massima per formare un governo di coalizione. Un assenso di
massima a farne parte è stato dato anche dal partito nazionalista pashtun Awami
National Party (Anp) e dalla Jamaiat-e-Ulema-e-Islam (prima forza islamista del
Paese, uscita ridimensionata dalle urne).
L’ingresso
di questi due piccoli partiti nella coalizione tra Ppp e Pml-N sarebbe di
grande importanza, perché permetterebbe di controllare i 2/3 dei voti della
Camera Bassa dell’Assemblea Nazionale, necessari per avviare un eventuale
procedimento di impeachment nei confronti del presidente Pervez Musharraf.
Rimane difficile capire come possano far parte di una stessa coalizione quando
a livello locale, nella North-Western Frontier Province, sono acerrimi rivali.
L’annuncio
spazza via al momento ogni ipotesi che il Ppp (partito di maggioranza relativa,
con 120 seggi) tenti di stipulare un accordo con il Pml-Q di Musharraf, come
paventato da alcuni analisti alla vigilia del voto. Elimina sulla carta gli
storici attriti tra i due maggiori partiti moderati pakistani che, raccogliendo
le pulsioni al cambiamento di buona parte dell’elettorato pakistano, parrebbero
decisi a instradare il Paese in un reale percorso democratico.
Il
cuore dell’accordo è dominato dal problema Musharraf, dai piani per
allontanarlo dal potere o, al limite, per ridurne i poteri, magari modificando
le leggi che permettono al presidente di sciogliere il Parlamento e licenziare
il primo ministro e cancellando la sua legislazione emergenziale. Questioni più
concrete, come la lotta all’estremismo islamista e i problemi economici
relativi all’impennata dell’inflazione e alle carenze energetiche, sono state
poste in secondo piano.
Sharif
ha accettato che il nuovo primo ministro sia un esponente del Ppp. Si è
irrigidito sulla nomina di Mackdoom Amin Fahim, numero due del partito e
favorito alla premiership fino a poche ore fa, perché a suo dire negli anni
avrebbe coltivato ambigui legami con Musharraf. Fahim è in contrasto anche con
Zardari sulla conduzione del partito fondato dai Bhutto e ha minacciato di
abbandonarlo se la scelta non ricadrà su di lui.
Zardari
preferirebbe Ahmad Mukhtar, che fu ministro del Commercio nel secondo governo
di Benazir Bhutto (1993-1996). All’interno del Ppp ci sono spinte affinché sia
nominato un primo ministro a tempo, per permettere a Zardari (che, come Sharif,
non ha partecipato alla contesa elettorale per i suoi problemi giudiziari) di
partecipare a una elezione suppletiva e conquistare un seggio in Parlamento,
condizione necessaria per essere poi nominato lui primo ministro.
Sharif
ha ottenuto però in cambio l’impegno di Zardari perché il nuovo Parlamento
proceda al reintegro dei giudici della Corte Suprema destituiti da Musharraf il
3 novembre scorso (dopo aver dichiarato lo stato di emergenza), entro 30 giorni
dall’ingresso in carica del nuovo governo.
L’ex
primo ministro (1996-1999) ha da sempre chiesto la testa di Musharraf, e voci su
una possibile azione di impeachment nei suoi confronti si stanno rincorrendo in
queste ore. Anche controllando i 2/3 della Camera Bassa, Ppp e Pml-N non
riuscirebbero a superare l’opposizione del Senato, ancora nelle mani delle
forze pro-Musharraf. Il presidente ha affermato che non è legalmente possibile
rimettere al loro posto i giudici allontanati, alimentando la disputa sulla
validità di una decisione presa al di fuori di una precisa cornice
costituzionale.
Sharif
ha risposto che la stessa presidenza di Musharraf è illegale. Lo scontro in
atto rischia di far naufragare i tentativi degli Stati Uniti perché si instauri
nel Paese un clima di armonia tra le diverse parti della contesa. Washington
non ama Sharif ed è convinta che il suo progetto di negoziare con l’islamismo
radicale non funzionerà, ma ammette che il Pakistan necessita di stabilità.
Come dimostrano gli avvenimenti dell’ultimo anno, un clima politico
conflittuale nel Paese pregiudicherebbe anche le opzioni militari.
Fino a
domenica, Zardari si era sempre dimostrato cauto sull’argomento, affermando di
voler affrontare il problema dei giudici allontanati da Musharraf nel quadro di una più generale riforma del
sistema giudiziario. Il vedovo di Benazir Bhutto è conosciuto nel Paese come
‘Mr 10%’, accusato di aver intascato tangenti quando la moglie era a capo del
governo. Negli ultimi giorni ha beneficiato di una legge sull’amnistia nei casi
di corruzione varata l’anno scorso da Musharraf e di un accordo in materia
negoziato dallo stesso presidente con la sua defunta moglie. Secondo diversi
osservatori i giudici reintegrati potrebbero cancellare questi due atti,
mettendo in discussione la posizione di Zardari come nuovo kingmaker della
scena politica pakistana. La necessità di raggiungere un accordo con Sharif,
insieme al peso sempre maggiore che sta assumendo nel Paese il movimento
pro-democrazia degli avvocati, lo hanno però convinto a schierarsi più
apertamente.
Esponenti
vicini al presidente sostengono che nonostante l’accordo, i due partiti di
maggioranza presenterebbero ancora tali punti di disaccordo, che prima di
varare una qualsivoglia agenda politica dovranno stabilizzare il loro rapporto.
In questo processo dovranno obbligatoriamente trattare con il presidente, così
da smussare nel medio-lungo periodo gli attriti con lo stesso. E’ innegabile
che per Musharraf sarà sempre più difficile mantenersi al potere. Per molti la
sua disfatta è questione solo di tempo, anche perché negli ultimi mesi ha perso
le principali leve del suo potere: il comando delle forze armate, il controllo
del Parlamento e l’appoggio incondizionato di Washington.
Se i
giudici della Corte Suprema dovessero essere effettivamente reintegrati, la sua
elezione alla presidenza rischia seriamente di essere annullata. Già a metà
2007, Iftikhar Chaudry, presidente destituito dell’Alta Corte pakistana, aveva
sottolineato l’illegalità dell’eventuale rielezione di Musharraf alla
presidenza, nelle vesti ancora di capo delle forze armate. Al presidente
pakistano rimane al momento un’unica carta: condurre una battaglia di
retroguardia per dividere i suoi avversari politici. L’accordo di domenica
riduce però inesorabilmente il suo spazio di manovra.