Pakistan, il nuovo premier allarma gli Usa

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Pakistan, il nuovo premier allarma gli Usa

28 Marzo 2008

E’ Yusuf Raza Gilani il nuovo primo ministro del Pakistan, dopo che il Parlamento di Islamabad lo ha eletto a larga maggioranza martedì scorso. A suo favore si sono espressi il Pakistan People’s Party (Ppp) della defunta Benazir Bhutto (partito che detiene la maggioranza relativa), il Pakistan’s Muslim League-Nawaz (Pml-N) di Nawaz Sharif, l’Awami National Party (Anp), il Muttahida Quami Movement e il Jamaiat-e-Ulema-e-Islam.

Vice presidente del Ppp, Gilani è stato speaker della Camera Bassa dell’Assemblea Nazionale dal 1993 al 1996, durante il secondo governo della Bhutto. Nel 2001 fu incarcerato da Pervez Musharraf per abuso di potere con altri notabili del Ppp, uscendovi nel 2006.

Gilani è un politico navigato, ma è ritenuto un outsider per la carica di primo ministro. I favoriti erano Mackdoom Amin Fahim (braccio destro della Bhutto sino al momento del suo assassinio) e Ahmad Mukhtar (ex ministro del Commercio). In particolare, la nomina di Fahim sarebbe stata osteggiata da Sharif, che lo accusa da sempre di avere rapporti ambigui con Musharraf e i militari.

Secondo voci interne al Ppp, invece, Fahim sarebbe stato escluso dalla scelta perché di etnia sindhi, e per questo poco adatto per gestire i rapporti con i navigati parlamentari del Pml-N, che per la maggior parte sono punjabi. Una bocciatura che in realtà molti riconducono alle trame di Asif Ali Zardari (marito della Bhutto), che ha ereditato la guida del Ppp e aspirerebbe alla premiership, una volta guadagnato un seggio parlamentare alle prossime elezioni suppletive.

Il primo atto di Gilani è stato quello di liberare i giudici della Corte Suprema arrestati da Musharraf il novembre scorso, dopo la proclamazione della legge di emergenza. Su tutti spicca la liberazione di Iftikhar Chaudhry, presidente dell’Alta Corte e strenuo oppositore della rielezione alla presidenza di Musharraf. Nel suo discorso inaugurale, il nuovo primo ministro ha anche espresso l’intenzione di promuovere un’inchiesta delle Nazioni Unite sull’omicidio della Bhutto.

La forza del nuovo governo pakistano si dovrà però misurare su nervi scoperti come la lotta al terrorismo islamista e le relazioni con gli Stati Uniti. Washington si è subita affrettata ad aprire un canale di comunicazione con Gilani. Il timore americano è che la nuova coalizione al potere mantenga la promessa elettorale di rimodulare la politica nazionale anti-terrorismo, aprendo un dialogo con le forze islamiste locali per poter isolare gli stranieri di al-Qaeda. Sharif ha espresso un concetto chiaro sull’argomento: “La sicurezza del Pakistan non deve essere sacrificata per proteggere altri dalla minaccia terroristica”.

Il simbolo di questa svolta strategica nella politica di sicurezza pakistana è l’Anp. La forza nazionalista pashtun ha ottenuto un grande successo nella North-West Frontier Province e nel Balucistan, dove si concentra il grosso della guerriglia islamista e che rappresenta la roccaforte elettorale dei partiti fondamentalisti. L’Anp si è sempre opposto alla talebanizzazione delle province occidentali del Paese. L’identità pashtun lo rende un ideale intermediario nelle trattative con i militanti islamisti pakistani e afghani, che appartengono in larga parte a questo gruppo etnico.

Data la loro tradizione di ‘non-violenza ghandiana’, sono accusati da Washington di voler promuovere una politica di appeasement nei confronti dei terroristi. Afrasiab Khattak – segretario generale del partito a Peshawar – ha respinto questa insinuazione, sottolineando che le trattative non saranno estese ad al-Qaeda e ai militanti stranieri (arabi e uzbeki per la gran parte). Per Khattak, il problema del radicalismo in Pakistan non può essere risolto solo con i bombardamenti, che rischiano di alienare la fiducia della popolazione appena riconquistata.

La politica del dialogo promossa dal nuovo governo di Islamabad piace all’elettorato pakistano. Alcuni analisti locali osservano, però, che l’appoggio fornito a formazioni come l’Anp potrebbe riportare in auge nelle province occidentali la retriva cultura tribale pashtun, un ostacolo ai programmi di modernizzazione politico-sociale del Paese quanto l’islamismo propagandato dai mullah.

Secondo il Washington Post, l’intensificarsi in queste ultime settimane dei bombardamenti americani lungo il confine occidentale pakistano, che i miliziani di al-Qaeda e della guerriglia talebana usano come retroterra per lanciare attacchi contro il vicino Afghanistan, rientrerebbe in un piano per infliggere il massimo danno possibile alle basi dei militanti islamisti, prima che il governo pakistano costringa Musharraf a bloccare queste azioni.

I media pakistani accusano gli Usa di intromettersi sfacciatamente nella politica del Paese, esercitando forti pressioni sul nuovo gabinetto perché non venga abbandonata la linea anti-terrorismo concordata in questi anni con Musharraf. Forti critiche sta ricevendo la missione di John Negroponte, vice segretario di Stato Usa, che in questi giorni sta percorrendo in lungo e largo il Paese (specialmente la porosa frontiera occidentale), insieme a Richard Boucher (assistente segretario di Stato per l’Asia meridionale).

Alla diplomazia americana si imputa di aver scelto il momento sbagliato per questa visita, quando il nuovo governo non è stato ancora formato, suscitando tra i pakistani l’impressione che Washington voglia orientare la politica dell’esecutivo Gilani prima ancora che questo abbia elaborato una propria linea di governo. Un atteggiamento che non farebbe altro che alimentare l’anti-americanismo imperante nel Paese.

Gilani ha ribadito che il Pakistan continuerà a combattere il terrorismo, ma ha anche espresso l’auspicio che questo problema sia affrontato collettivamente dalla comunità internazionale con gli strumenti della politica, in modo da promuovere lo sviluppo economico come mezzo per contrastare il radicalismo. Fumo negli occhi per Washington, che dal 2001 ha riversato nelle casse pakistane aiuti alla sicurezza per un valore di 10 miliardi di dollari, e che ha inviato esperti in counterinsurgency per addestrare i soldati pakistani alla lotta contro al-Qaeda e i talebani.

Un siluro all’amministrazione Bush per i suoi rapporti con Musharraf è arrivato anche da John McCain. Il candidato repubblicano alle presidenziali americane ha criticato la decennale politica americana di sostegno agli ‘anacronistici autocrati’ del Medio Oriente, responsabili con le loro politiche autoritarie di aver favorito l’ascesa del radicalismo islamista. Nel suo discorso – pronunciato mercoledì 26 in California – si è spinto fino a paragonare le attuali relazioni americane con il presidente pakistano (oltre che con la Monarchia saudita e il presidente egiziano Hosny Mubarak) a quelle con lo Scià di Persia e Saddam Hussein, che nel tempo hanno finito per ritorcersi contro gli interessi degli Stati Uniti.