Pakistan. Omicidio Bhutto, ritrovati cellulari ex premier
03 Febbraio 2011
di redazione
Il team di inquirenti che indaga sull’omicidio dell’ex premier pakistano Benazir Bhutto ha ritrovato due telefoni cellulari Blackberry che erano di sua proprietà.
Stando alle prime informazioni, il custode della Bilawal House a Karachi ha consegnato i due telefoni agli investigatori che, a loro volta, hanno mandato gli apparecchi al laboratorio forense. Questi telefoni, stando a quanto riferiscono le tv locali, sono stati usati da Benazir Bhutto il giorno in cui è stata assassinata. Gli esperti di laboratorio analizzeranno i dati contenuti nei due telefonini e prepareranno un rapporto che consegneranno al team incaricato di condurre le indagini.
La Bhutto trovò la morte il 27 dicembre 2007 in un nuovo attacco suicida avvenuto al termine di un suo comizio a Rawalpindi, a circa 30 km dalla capitale Islamabad. Nell’attentato morirono almeno 20 persone e altre 30 rimasero ferite. Gli attentatori, dopo aver sparato diversi colpi d’arma da fuoco contro la Bhutto, fecero esplodere una carica, forse da un attentatore suicida, vicino all’ingresso principale del luogo dove si erano radunate migliaia di persone per assistere al comizio. Trasportata immediatamente in ospedale, la leader pakistana dell’opposizione morì poco dopo a causa della gravità delle ferite riportate, in parte dovute anche al violento spostamento d’aria causato dall’esplosione. Il presidente pakistano Pervez Musharraf condannò l’attentato compiuto a sua detta da "terroristi islamici", voce che fu confermata da Mustafa Abu al-Yazid, capo delle operazioni dell’organizzazione terroristica al-Qaeda in Afghanistan, uno dei fedelissimi del numero due di al-Qaeda, l’egiziano Ayman al-Zawahiri, che avrebbe ordinato personalmente l’assassinio.
Tuttavia il marito della Bhutto, Asif Ali Zardari, accusò il governo di Musharraf quale responsabile dell’attentato. A questo proposito occorre ricordare il ruolo del potente servizio segreto pakistano, l’ISI (Inter-Services Intelligence), sostenitore dei talebani sin dai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979, sotto la direzione di Akhtar Abdur Rahman quando al governo vi era il dittatore Zia-ul-Haq, e mai epurato dagli elementi fondamentalisti da Musharraf, se non con cambiamenti di facciata ai vertici dello stesso.
Altri commentatori, invece, osservano come l’attentato fosse avvenuto all’indomani della stretta intesa raggiunta tra lo stesso Musharraf e il presidente afgano Hamid Karzai, che avrebbe dovuto incontrare anche la Bhutto per una strategia più stringente nella lotta ai Talebani che controllano di fatto il confine tra i due paesi. Un’intesa favorita attivamente dagli USA.
Al-Qaeda tuttavia negò ogni addebito con la smentita del leader talebano Baitullah Mehsud il quale escluse ogni coinvolgimento nella vicenda. Dello stesso Mehsud fu intercettata una telefonata nella quale avrebbe parlato con gli uomini che hanno organizzato l’attentato.
Trascorsi almeno tre giorni dalla morte, come vuole la tradizione, fu aperto il testamento dove tra l’altro veniva nominato il figlio primogenito, allora diciannovenne, Bilawal Bhutto Zardari a capo del Partito. Di fatto però fu il vedovo Asif Ali Zerdari, formalmente co-presidente, a guidarlo, mentre il braccio destro di Benazir, Makhdoom Amin Fahim fu candidato a primo ministro, stante l’impossibilità di poter eleggere a tale carica, secondo la legge pakistana, una persona con meno di 25 anni.