Pakistan, Zardari dovrà meritare il sostegno dell’Occidente
27 Giugno 2009
di Simone Nella
Il peggioramento delle condizioni di sicurezza del Pakistan rappresenta sempre di più una priorità per la politica estera degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Se con l’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, il Dipartimento di Stato si è affrettato a nominare l’Ambasciatore Richard Holbrooke, come inviato speciale per l’Afghanistan e il Pakistan, due Paesi considerati come un’unica entità geopolitica, definita AfPak, anche per l’Unione Europea la questione pakistana è divenuta motivo di apprensione e preoccupazione. Così, Bruxelles dopo aver esteso anche al Pakistan il mandato all’ambasciatore Ettore Sequi quale Rappresentante Speciale dell’UE per l’Afghanistan, ha promosso per la prima volta un Summit con il Pakistan che si è tenuto il 17 giugno scorso a Bruxelles. Durante il vertice, i Paesi europei hanno approvato lo stanziamento di 124 milioni di euro da destinare agli oltre 2,5 milioni di sfollati dall’area di Swat, dove dal 26 aprile scorso è in corso l’offensiva militare pakistana contro i guerriglieri talebani. Il presidente Asif Alì Zardari, nonostante la soddisfazione per l’aiuto europeo, ha sottolineato l’importanza della creazione di un’area di libero scambio tra UE e Pakistan per risollevare l’economia pakistana attualmente in forte crisi. Come affermato dal Commissario UE per le Relazioni Esterne, Benita Ferrero-Waldner, “come primo passo, la Commissione Europea ha annunciato che provvederà allo stanziamento di 65 milioni di euro per fornire acqua, cibo ed alloggi agli sfollati, in cambio il Pakistan deve combattere seriamente il terrorismo e deve farlo soprattutto nel suo fronte interno”.
L’intesa per la creazione di un’area di libero scambio non è stata raggiunta, ma certamente non è mancata la volontà di un forte impegno europeo di lungo periodo. Infatti, la Commissione Europea ha promesso l’assegnazione di oltre 670 milioni di euro in cinque anni per l’aiuto nello sviluppo del Pakistan. Se a tale cifra si aggiungono i 7,5 miliardi di dollari stanziati in cinque anni dagli USA per scopi non-militari, ciò mostra la forte volontà dell’Occidente di aiutare il “Paese dei Puri” dal suo fallimento e dalla crescente minaccia talebana endogena.
Soprattutto sul fronte politico e militare interno, il Governo di Islamabad dovrà mostrare di fare sul serio. Per usare le parole di Obama, l’assistenza al Pakistan non avverrà più con un “assegno in bianco”, ma al contrario è nella lotta al terrorismo jihadista ed al processo di governance democratica del Paese che gli USA e l’Unione Europea vogliono vedere dei risultati concreti.
Dalla regione di confine tra Afghanistan e Pakistan, i movimenti talebani legati anche ad al Qaeda sin dal 2006 hanno esteso la loro influenza fin nella valle dello Swat, avvicinandosi sempre di più alla capitale federale, Islamabad. Per ristabilire l’ordine e la sovranità dello Stato, l’Esercito pakistano ha lanciato una massiccia offensiva nell’area, che ha creato un esodo di massa tra la popolazione civile. L’operazione, condotta da circa 15.000 militari, è rivolta principalmente contro i membri di al Qaeda e i talebani legati al gruppo Tehrik-i-Nifaz-i-Shariat-i-Muhammadi (TNSM), guidati dal Maulana Sufi Muhammad e da suo genero, il Maulana Fazlullah. Nell’aprile del 2008 il Governo di Islamabad aveva raggiunto un’intesa con i talebani che ha portato alla scarcerazione del Maulana Sufi Muhammad, arrestato nel dicembre del 2001 con l’accusa di essere stato coinvolto in un massiccio reclutamento di guerriglieri talebani attivi sul territorio afghano contro le forze statunitensi. A seguito della scarcerazione, nel maggio dello stesso anno i militanti talebani dello Swat e il Governo della North West Frontier Province (NWFP), hanno firmato un accordo che ha permesso loro di continuare ad estendere la loro influenza nel Paese e instaurare la Sharia, nella sua interpretazione più rigida. E le donne sono state le prime a pagarne il prezzo, tanto che solo nel 2009 gli attacchi registrati contro le scuole femminili sono stati oltre 200. Il 22 giugno, a meno di due mesi dall’inizio dell’offensiva, l’Esercito pakistano ha rilasciato un comunicato in cui si dichiara che l’operazione militare contro i talebani nella valle dello Swat sta entrando nella sua fase finale, e che quasi tutte le roccaforti dei terroristi sono state individuate e distrutte; 1592 sarebbero i terroristi uccisi.
Se, come dichiarato dall’Esercito, l’area dello Swat è stata sottratta ai terroristi jihadisti, ora restano due importanti sfide che il Governo di Islamabad deve affrontare con il supporto della Comunità Internazionale. La prima riguarda l’aiuto ai pakistani dei campi profughi, dove soprattutto i più giovani potrebbero essere reclutati dall’azione di propaganda jihadista nelle tendopoli; mentre il secondo aspetto riguarda lo sradicamento delle base logistiche e di addestramento dei guerriglieri di al Qaeda e dei Talebani nei distretti delle aree tribali, dove vengono lanciati gli attacchi contro Islamabad e Kabul. Su questo secondo punto, Islamabad continua a fare distinzione tra talebani pakistani e quelli afghani. I primi sono considerati dei nemici del Pakistan, mentre i secondi potrebbero costituire un asset strategico da usare quando gli USA e la NATO lasceranno l’Afghanistan.
Affinché Islamabad collabori attivamente nello sradicamento del fondamentalismo jihadista – in modo da chiudere definitivamente con la “politica dei due forni” – l’Occidente e i talebani – la comunità internazionale deve aiutare il Pakistan a mantenere la stabilità interna e l’unità dello Stato, assicurando che l’Afghanistan non venga usato dagli indiani come base per destabilizzare il territorio pakistano. Tuttavia, il governo guidato da Zardari è chiamato ad impegnarsi concretamente per favorire la democrazia nel Paese, ristabilendo il controllo delle autorità politiche sull’Inter-Service Intelligence, i temibili servizi d’informazioni pakistani, tagliando definitivamente i legami che strutture dello Stato hanno avuto sinora con i gruppi eversivi, facendo in modo che la stabilizzazione del governo afghano diventi una priorità rispetto al contenimento della minaccia indiana.