Palmira è la caporetto di Obama
23 Maggio 2015
Si sapeva che al di là delle dichiarazioni altisonanti l’Europa è completamente incapace di reagire all’avanzata del fascismo islamico, ma speravamo ancora nell’America. E invece, lasciando che l’esercito siriano e i tagliagole dello Stato Islamico si scannino distruggendo le “pietre” (come le chiamano) dell’antica città patrimonio culturale dell’umanità, si perde anche questa illusione. L’America ci ha tradito. Meglio, Obama ha tradito l’Occidente.
Cade un simbolo del mondo antico, si spara sulle vestigia della romanità, e tutto questo accade perché gli Stati Uniti hanno abdicato alla loro missione manifesta, al ruolo di guida e difensore dell’Occidente, accade perché Obama sembra aver perso la consapevolezza di cosa significhi questa parola, questa cultura, la nostra identità.
La politica estera del presidente democratico in Medio Oriente è stata disastrosa: i candidati alle presidenziali del 2016 ripetono in coro che la sanguinosissima guerra di W. nel 2003 fu un errore ma parlando a Fort Bragg nel 2011 Obama disse che gli Usa si preparavano a lasciare un Iraq pacificato con un governo democraticamente eletto. Al contrario dopo sei anni di strombazzato ritiro, il governo di Baghdad è andato in pezzi e ora, dopo aver liquidato la presenza americana in Iraq, si spera che siano i potenti mullah iraniani a fare da argine, questo faro della democrazia islamica.
Come pure sull’altro fronte ci si affida alle mani lorde di sangue degli alawiti, pure loro sponsorizzati da Teheran, per fronteggiare la metastasi islamista. Questi risultati non sono il frutto dell’errore del 2003 ma del ritiro del 2011. Adesso le chiese vengono distrutte e i cristiani ammazzati e non bastano i droni, le uccisioni mirate, le bombe “intelligenti” per evitare il remake della politica clintoniana degli anni Novanta, il cui unico risultato fu motivare Bin Laden e i suoi accoliti nello spirito e sul terreno.
A dirla tutta la caduta di Palmira non è semplicemente il frutto di un’insipienza militare, degli “arretramenti” e delle “battute di arresto” della Coalizione di 60 Paesi che non è chiaro dove siano, gettando alle ortiche anni di surge faticosi costati la vita a tanti giovani americani e iracheni. Peggio, quello di Obama è un fallimento politico. La caduta di Palmira è il simbolo della incapacità occidentale di difendersi dal Male.
Perché il Male che si nasconde sotto la faccia bestiale dello Stato Islamico è molto più profondo di quanto non si creda comunemente, il fallimento degli Usa, dell’Europa e dell’Occidente deriva proprio da un errore di fondo nella comprensione della polveriera islamica e delle origini della Quarta guerra mondiale.
Subito dopo l’11/9 qualche voce subito tacciata di neoimperialismo ebbe il fegato di spiegare da dove nasceva tutto quest’odio verso la nostra Civiltà e perché, ancora prima che in Iraq e in Afghanistan, fosse strategico intervenire altrove. Quell’altrove erano le monarchie alle quali Obama si è letteralmente inchinato, i reami all’ombra dei quali è attecchito senza timore di ritorsioni il credo funebre del wahabismo.
E’ questa spettrale riedizione delle violente religioni medievali che sta dietro a tutte le feroci decapitazioni e alle distruzioni di luoghi sacri e di ciò che resta della bellezza e della grandezza umana soffocate a Palmira. Ed è proprio in quei regni che negli ultimi anni si è proceduto scientificamente alla distruzione del passato, mentre si mozzano le mani e i boia moltiplicano il numero delle esecuzioni. Tutto ciò non avviene nello Stato islamico ma in Paesi che reputiamo nostri alleati.
Dopo il crollo delle Torri Gemelle si disse che era lì che avremmo dovuto affondare il bisturi; nessuno ovviamente ha avuto il coraggio di farlo e l’ideologia dell’odio antioccidentale è stata esportata nell’Emirato Talebano, in Asia come in Africa, nei Balcani e verso l’Europa, diventando terreno fertile per gli unni del Califfato. Qualcosa ci dice che purtroppo il grido di dolore che arriva da Palmira non sveglierà Obama, né l’Occidente. Purtroppo non possiamo lamentarci troppo. Siamo in Europa, dove ormai più che dormire sopravviviamo nel più completo letargo.