Pantomima di lotta e (poco) di governo
06 Giugno 2019
La prima difficoltà in cui ci si imbatte quando si tratta di scrivere della tenuta politica del governo italiano è questa: non è facile comprendere se quello che viene mostrato dagli esponenti di punta dell’esecutivo, la cosiddetta narrativa, sia vero o no. Se i litigi e i semi-strappi facciano parte di una strategia comunicativa precisa o se la trasparenza delle posizioni e le differenze emergenti rientrino in un tratto distintivo: l’onestà con l’acca, quella che si manifesta nei non luoghi della democrazia 2.0.
Fateci caso: avete mai avuto modo di ascoltare l’adagio “non si capisce bene” in relazione al destino dell’esecutivo e ai rapporti che intercorrono tra le due forze che lo compongono? Noi sì, e per un numero di volte che sta diventando cospicuo. Forse siamo abituati male. Il capitolo sulle crisi, nel manuale che ci avevano dato per buono, recitava più o meno così: c’è un accordo sì, c’è un accordo no. Al massimo era previsto qualche tavolo interlocutorio, sennò fine della discussione e ognuno per sé. Volendo rimanere sul piano della tecnica moderna, oggi si potrebbe parlare di sceneggiatura politica, di fiction girata tra gli scranni parlamentari. Ci sarebbero allora due coo- protagonisti, che si alternerebbero nei ruoli di “buono” e di “antagonista”, cercando di favorire ora l’una ora l’altra sfera percettiva.
Il “pane” viene richiesto tanto dagli elettori della Lega quanto da quelli del MoVimento 5 Stelle, per cui un bravo sceneggiatore dovrebbe essere in grado di dosare bene. Altrimenti il meccanismo si inceppa e uno dei due attori principali si scopre in diritto di potersi lamentare. Aspettate, c’è pure un terzo personaggio, che compare meno, ma che svolge proprio la funzione di riequilibratore: quando l’asticella pende troppo da una parte, lui arriva e riassetta tutto al centro, sperando funzioni. Perché poi ogni attore è istrionico e narcisista per definizione: vorrebbe che gli applausi, tutti, andassero verso un’unica direzione: la sua. E su questo il riequilibratore può intervenire, ma fino a un certo punto. Se per credere a tutto questo fossimo costretti, poi, a “sospendere l’incredulità” allora sì, staremmo guardando un film scritto bene, dove c’è tutto quello che serve a raccontare una storia che funziona. Ma siccome siamo dalle parti degli spettacoli di nuova generazione, quelli interattivi, dove quello che succede nello schermo produce degli effetti su chi guarda, conviene che ci spieghino se quella cui stiamo assistendo corrisponde a quella che i greci chiamavano pantomima oppure no. Farebbe piacere comprendere qualcosa in più. La pantomima, come tutte le tipologie di opera teatrale, è scritta prima: chi recita già sa come va a finire e tutto, davvero tutto, è predeterminato.
Ma la conclusione che andiamo cercando è conosciuta da pochi e noi possiamo solo “vedere come va a finire”, per dirla con Vasco Rossi. Sospettiamo che gli sceneggiatori si siano accorti come la perfetta biunivocità sulla quale era stata appoggiata la trama sia venuta meno. C’è un protagonista con cui gli spettatori si identificano meglio. Questo fattore potrebbe incidere sul futuro. E poi ci sono un sacco di personaggi, per nulla secondari, che spingono per recitare con la casa di produzione cui era stato appaltato tutto in precedenza, che è la stessa per cui pensano di essere vocati: hanno già avvisato la regia che quanto previsto per loro sino a questo momento non va bene.
Qualche attore di prima fascia è pure scomparso in attesa di tempi migliori: corsi di falegnameria e reportage. Bisognerebbe verificare se un demiurgo si è messo a scrivere una trama alternativa. La sensazione è che almeno uno dei nostri due superuomini sia rimasto scottato dall’ultima scena andata in onda. La fatica dell’attore si tocca con mano. Forse si è usciti dal copione. Forse l’altro gli è troppo superiore. Forse, ancora, non era vero quello che veniva caldeggiato agli albori di questo racconto, che per fare politica basta il consenso social, che l’esperienza non conta e che il prerequisito ostativo dell’onestà giganteggia sui titoli e sulla preparazione. E allora la fuga rimane l’unica soluzione del paniere.
Va bene eh, per carità, è un turning point narrativo che ci sta. Non ci scandalizzeremo. Però inizia a fare caldo. Non stupitevi troppo se qualche spettatore decidesse di alzarsi dal divano e decidesse di fare una gitarella altrove.