Papa Wojtyla credeva nella superiorità dell’economia di mercato

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Papa Wojtyla credeva nella superiorità dell’economia di mercato

06 Ottobre 2007

Ho letto con particolare interesse l’articolo di Dino Cofrancesco, le cui riflessioni sono sempre motivo di crescita culturale. Condivido buona parte delle sue argomentazioni e soprattutto la distinzione che egli opera tra economia di mercato, in quanto sistema di produzione e di distribuzione di beni e di servizi scarsi, ed il comportamento degli operatori economici, esseri tutt’altro che perfetti. Kant parlava di “insocievole socievolezza”, di qui il giusto riferimento di Cofrancesco al pessimismo sociale di chiara matrice liberale. Nel pensiero cattolico non possiamo parlare di “pessimismo sociale”, ma di “imperfettismo sociale” si. Tralasciando i riferimenti fondamentali ad autori classici come Agostino, ma più recentemente a Rosmini e a Sturzo, faccio notare che è stato proprio Giovanni Paolo II ad esprimere tale concetto con chiarezza nella sua enciclica sociale del 1991: la Centesimus annus. Nel paragrafo 25 afferma: “L’uomo tende verso il bene, ma è pure capace di male”; è probabile che il pessimista sociale, non necessariamente liberale, affermi il contrario: “l’uomo tende verso il male, ma casualmente è pure capace di bene” e tra le due affermazioni riconosco che ci sia un abisso. Continua Wojtyla nello stesso paragrafo: “… può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere ad esso legato. L’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa coordinazione. Difatti, dove l’interesse individuale è violentemente soppresso, esso è sostituito da un pesante sistema di controllo burocratico, che inaridisce le fonti dell’iniziativa e della creatività (corsivo mio)”.

Invito il prof. Cofrancesco a non sottovalutare quest’ultima affermazione al fine – certo – di distinguere la posizione liberale da quella cattolica, senza tuttavia negligere la portata epistemologica di una simile posizione esposta su un documento ufficiale della Chiesa cattolica e le sue possibili ricadute in ambito politico ed economico. Giovanni Paolo II conclude affermando:  “Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male [corsivo mio], ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una ‘religione secolare’, che si illude di costruire il paradiso in questo mondo. Ma qualsiasi società politica, che possiede la sua propria autonomia e le sue proprie leggi, non potrà mai esser confusa col Regno di Dio”. Niente male, altro che oscurantismo! Qui troviamo enunciate in modo sintetico le ragioni più significative di un ordine politico al centro del quale è posta la dignità della persona umana, per la cui difesa sono chiamate in causa le istituzioni politiche tipiche della tradizione liberale.

Che cosa, dunque, non condivido dell’articolo del prof. Cofrancesco? Non condivido la seguente infondata affermazione: “L’economia di mercato, contrariamente a quel che pensava Karol Wojtyla, è l’unico modo efficace di creare ricchezza, finora inventato dagli uomini”. Giovanni Paolo II non aveva troppi dubbi riguardo alla superiorità dell’economia di mercato rispetto ad altri possibili sistemi economici. A tal proposito, sempre nella Centesimus annus, Giovanni Paolo II ci ha offerto la sua limpida opinione sul capitalismo. Nel paragrafo 42 si pone la seguente domanda: “si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? É forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?” Mentre la domanda è perentoria e non ammette scorciatoie, la risposta è complessa ed estremamente raffinata. Il Papa distingue tra due forme di capitalismo ed afferma: “Se con ‘capitalismo’ si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di ‘economia d’impresa’, o di ‘economia di mercato’, o semplicemente di ‘economia libera’ (corsivi miei). Ma se con ‘capitalismo’ si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa”. Appare evidente che il pontefice propone ai paesi in via di sviluppo un capitalismo popolare – diremmo di matrice sturziana – ossia un processo di sviluppo economico intensivo, diffuso e stabile, l’unico che sia all’altezza della trascendente dignità della persona umana. La perentorietà della domanda e la raffinatezza della risposta del papa cozzano inspiegabilmente con l’affermazione di Cofrancesco in merito ad una ipotetica contrarietà di Giovanni Paolo II nei confronti dell’economia di mercato, tutt’altro che documentata. Anzi, è vero il contrario: siamo in presenza di una formale, condizionata e motivata presa di posizione a favore dell’economia di mercato.

Il metodo proposto dalla dottrina sociale di Giovanni Paolo II non è la presunta conoscenza delle leggi che muovono necessariamente il carro della storia, bensì l’umile ed attenta considerazione dell’intersoggettività che consente di guardare l’individuo non nella sua separatezza e/o omogeneizzazione, bensì come artefice di una realtà plurale e imperfetta, incompatibile con i sostenitori della “presunzione fatale” di portare il paradiso in terra. L’antropologia cristiana ci aiuta a comprendere la relazione fra gli individui ed il loro essere l’uno per l’altro, il loro costituirsi ed acquistare coscienza di sé nella relazione con l’altro, che è la chiave attraverso la quale possiamo schiudere lo scrigno prezioso e segreto che è in noi. Di qui anche la ragione in forza della quale Giovanni Paolo II raccomanda – a determinate condizioni – l’economia di mercato, in quanto processo di conoscenza reciproca e strumento di inclusione e di partecipazione all’economia globale. Il mercato, in questo senso, non rappresenta la giungla o il luogo nel quale si consumerebbe un gioco a somma zero, bensì il sistema delle relazioni interpersonali grazie alle quali si soddisfano le proprie aspettative cercando di venire incontro alle aspettative altrui.

Concludo, uscendo dalla lezione magisteriale, ricordando come tutto ciò oggi sia stato metabolizzato almeno da una parte della riflessione cattolica. L’economia di mercato e la democrazia ci ha insegnato Luigi Sturzo, facendo propria la lezione di Rosmini e dei grandi padri del liberalismo politico, non sono il paradiso in terra, poiché esse presentano tutti i limiti oggettivi che caratterizzano la conformazione fisica e la costituzione morale degli esseri umani; sono quello che sono: tentavi imperfetti. Resta il fatto che allo stato attuale sembrano le più adatte a difendere e sviluppare la dignità della persona umana. Esse si fondano su un sistema ternario che garantisce, attraverso il libero mercato, la democrazia e il pluralismo, il rispetto della giustizia e della libertà della persona in tutti gli aspetti della realtà, sottolineando in particolar modo il ruolo fondamentale del “capitale umano”, inteso come “caput”, ossia il luogo nel quale hanno sede le virtù e le abilità umane: l’inventiva, la creatività, la responsabilità, la comunione, la reciprocità, la laboriosità, in una parola: la persona.