Pare proprio che non sia scoppiata la Quarta Guerra mondiale

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Pare proprio che non sia scoppiata la Quarta Guerra mondiale

15 Aprile 2017

Ieri chi legge Bloomberg per un attimo deve aver tremato. A un certo punto il sito di notizie batte il titolo che tutti aspettavano: la Corea del Nord ha lanciato il suo missile. Bloomberg cita la agenzia cinese Xinhua, poi però si scopre che non ci si riferiva al lancio di un missile bensì alla nuova testata intercontinentale che il regime di Pyongyang ha sfoggiato durante la parata della “Festa del Sole”. E il titolo su Bloomberg viene corretto, con un bel sospiro di sollievo. 

Dicono che adesso bisognerà aspettare il 25 aprile per capire se i nordcoreani faranno o meno il loro test missilistico. Pyongyang si prepara, avverte Mosca. Ma potrebbe anche non esserci, il temuto blitz, visto che nel giorno tanto atteso delle celebrazioni abbiamo assistito sì alla parata militare, hanno sfilato i missili che fanno paura a Seul e Tokio, e si è visto anche lui, il giovane Kim, che qualcuno descriveva già nel mirino dei Seals, il “team six”, le forze speciali Usa celebri per l’omonima serie tv. Soprattutto, non c’è stato il temuto attacco ordinato dal presidente Trump.

Così, mentre su Internet si continua a leggere di improbabili “cyber-strike” nordcoreani in grado di mandare in tilt il sistema elettrico americano facendo regredire gli Usa al milleottocento (notizie che i fact-checkers di Snopes si sono affrettati a smontare subito, ma che in ogni caso appare più credibile del titolo di Bloomberg), quella che sembrava la quarta guerra mondiale annunciata, e attribuita come al solito a quel matto di Trump, si sta mostrando per quello che è, una crisi grave, certo, ma come ce ne sono state altre con la Corea del Nord, e che non sembra destinata a cambiare lo status quo tra Pyongyang e la comunità internazionale. 

Cambiano i presidenti americani, cambiano i governi nelle cancellerie occidentali, ma il livello – praticamente zero – del dialogo con i nordcoreani resta lo stesso. Qualcuno ha scritto che un risultato del pressing americano su Pyongyang potrebbero essere nuove sanzioni, magari non ostacolate dalla Cina, o ritorsioni economiche di Pechino, che però non sembra proprio bendisposta a punire il riottoso alleato. Ebbene tutto questo avviene praticamente da 50 anni, una deterrenza che fino ad ora ha fermato la dinastia comunista al potere nel Nord dal colpire il Sud ma anche gli Usa e la Corea del Sud dall’intervenire contro il Nord: nessuno attacca nessuno. I costi di una escalation, del resto, sarebbero alti per tutti. 

Nella “war room” di Trump qualcuno si sarà fatto due conti su di una eventuale caduta del regime, che non solo provocherebbe una grave crisi di profughi nell’Asia nord-orientale ma anche il rischio che l’arsenale delle quali tanto si parla, ora nelle disponibilità del giovane Kim, possa cadere in mani peggiori. La strada delle sanzioni, imposte più volte a Pyongyang, non ha fatto cambiare direzione a un regime che nonostante le carestie e la grave crisi economica attraversata da metà anni Novanta, resta in sella, resiste a qualsiasi pressione, e nel corso del tempo, aprendo leggermente al mercato o qualcosa che gli somiglia vagamente, ha anche visto un certo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Non è poco per un Paese che vive isolato da decenni. 

Basteranno i cambiamenti economici che il regime ostacola a far germogliare un qualche cambiamento democratico dentro la Corea del Nord? Intanto la giornata che doveva essere campale per la sicurezza internazionale scorre via come le altre, business as usual. “L’America è tornata”, si esalta Charles Krauthammer parlando di Trump, ma per adesso sono stati sufficienti i missili sulla Siria a far passare il messaggio. Un tempo “soft” con la Russia e “hard” con la Cina, Trump sembra aver cambiato registro, osserva qualcuno, ci sono molti più affari da fare con Pechino che con Mosca.

In realtà anche tra Washington e Mosca non si è mai smesso di parlare dopo il bombardamento contro Assad e chissà che, parlando ancora, non si arrivi a un cambio di regime concordato anche per la Siria. Insomma, vulgata vuole che il Don non abbia una strategia in politica estera. Ma sono gli stessi che dicevano che non avrebbe mai vinto le elezioni. La strategia c’è, solo che Trump non va certo a raccontarla a quei burloni di Bloomberg.