Parigi alza l’età pensionabile ma il 60% dei francesi non ci sta
18 Giugno 2010
Viene già apostrofata come “ingiusta e inefficace”, ma rappresenta uno dei punti chiave della seconda metà di mandato di Nicolas Sarkozy. La riforma del sistema pensionistico, presentata dal ministro del Lavoro francese Eric Woerth, che prevede un innalzamento dell’età minima pensionabile da 60 a 62 anni entro il 2018, sta spaccando profondamente l’opinione pubblica.
Si tratta di una riforma non prevista nell’originario programma elettorale del 2007, quello della “rupture sarkozyste”, ma che il trend demografico, il deficit tra popolazione attiva e non, e il crescente nervosismo dei mercati finanziari verso la deriva dei conti pubblici, hanno reso indispensabile al fine di riportare in pareggio i conti della previdenza. “Lavorare più a lungo è inevitabile – ha osservato Woerth – tutti i nostri partner europei l’hanno fatto, non possiamo evitarlo”.
Per rifinanziare il sistema, in vista della riforma, il governo ha previsto aumenti delle tasse su più fronti, tra redditi alti, bonus ai manager e soppressione di alcune agevolazioni, da cui conta di ricavare 3,7 miliardi di euro complessivi. Sfuma la possibilità di prepensionamento per gli statali con un nucleo familiare che conti più di tre figli e viene fatta lievitare l’età sulla pensione di vecchiaia da 65 a 67 anni. Tra le varie misure previste nella riforma, sul fronte dei finanziamenti, c’è l’aumento di un punto percentuale sulle aliquote di redditi più alti. È stata prevista anche una tassa fissa da 1 euro su tutte le plus valenze nelle transazioni immobiliari.
Nonostante l’aspetto più rilevante, l’aumento dell’età minima di pensionamento, avverrà in modo molto più graduale di quanto fosse stato inizialmente ipotizzato – passando dagli attuali 60 anni, uno dei livelli più bassi in Europa, a 62 anni su pubblico e privato –, le polemiche sono tantissime. La sinistra e i sindacati hanno alzato la voce e minacciato sommosse, ma i syndicats si presentano, però, spaccati sulla riforma, con la Cgt che si è detta apertamente contraria e ha chiesto subito al governo di “riscrivere” la riforma, e la Cfdt che ha invece lasciato un margine di manovra per aprire una trattativa con l’esecutivo.
Dello stesso tenore le critiche dell’ex leader socialista Francois Hollande (esponente del Ps), intervistato ieri mattina da Canal +, secondo cui il presidente Nicolas Sarkozy ha voluto “mandare un segnale ai mercati e ai partner europei”, ma “ha scelto di far pagare ai poveri e a coloro che hanno appena iniziato a lavorare” – proprio la battaglia delle pensioni sarà per i socialisti uno dei principali temi della lunga corsa verso le presidenziali del 2012. Essi sperano di creare una mobilitazione a livello nazionale dopo le tradizionali vacanze di agosto e di spingere la protesta nel mese di settembre, quando il pacchetto di riforma delle pensioni dovrebbe essere ratificato dal parlamento.
Ma quel che più spaventa è l’onda di dissenso che emerge da un sondaggio pubblicato dal Parisienne Aujourd’hui en France che vede un 60% della popolazione francese nettamente contrario alla riforma sulle pensioni. Una proporzione più elevata tra i simpatizzanti della sinistra (73%) rispetto tra quelli di destra (24%), ma questa non è una sorpresa. Del resto sono i commercianti, i top manager e gli artigiani quelli che sostengono maggiormente la riforma, mentre gli operai e gli impiegati sono quelli più ostili alla stessa. E se gli economisti di mercato sono rimasti con un sorriso a mezza bocca perché l’innalzamento non è arrivato ai 63 anni, e perché quello della carriera contributiva, da 41 a 41,5 anni è davvero modesto e sa un po’ di minestra riscaldata (stesso misura era prevista da una precedente riforma targata Raffarin), non hanno, però, mancato di elogiare la tempistica (dieci anni), una delle più rapide in Europa.
Monsieur le Président evidentemente non ha voluto tirare troppo la corda con l’opinione pubblica, che già lo inchioda da mesi a minimi storici di popolarità, ma nemmeno urtare troppo la suscettibilità dei mercati, che da tempo si interrogano sulla reale capacità e volontà francese di rimettere i conti in ordine. Anche restando lontano dalle attenzioni mediatiche Sarkò è riuscito a far superare l’empasse che bloccava dal 1983 l’età minima pensionabile dei francesi a 60 anni, per volere di Mitterrand.