
Parla il fondatore dei (veri) Gilet arancioni: “Noi siamo il movimento della terra, ripartire da qui”

04 Giugno 2020
“I gilet arancioni ce li siamo inventati noi, e non sono certo questi. Sono un movimento nato per far sentire l’urlo della terra. Potranno pure prendersi il nostro marchio, ma noi non ci fermeremo”. I gilet arancioni hanno un luogo e una data di nascita, hanno una precisa ragione sociale e hanno un “papà”, che non è il pittoresco generale Pappalardo ma il conte Onofrio Spagnoletti Zeuli. Importante imprenditore agricolo pugliese, da sempre attivo nel mondo dell’associazionismo di settore, Spagnoletti è stato protagonista di importanti mobilitazioni dei lavoratori della terra, esercito di “invisibili” di cui forse l’emergenza coronavirus ha fatto comprendere appieno il valore.
Conte Spagnoletti, chi sono davvero i gilet arancioni, balzati agli onori delle cronache di questi giorni?
“I gilet arancioni ce li siamo inventati noi con due manifestazioni dello scorso anno, la prima a Bari in piazza Prefettura, la seconda a Roma. Due grandi piazze di agricoltori con un gilet arancione addosso e la sola bandiera italiana, senza distinzioni fra organizzazioni di categoria, con il coinvolgimento di aderenti a tutte le sigle anche sindacali e dei nostri operai. Insomma, un vero e proprio movimento della terra nato per richiamare l’attenzione sulle difficoltà del settore e in particolare su alcune situazioni di grande emergenza che all’epoca erano le conseguenze della grande gelata del 2018, i fondi di sviluppo rurale, la Xylella…”.
Poi sono arrivati i gilet del generale Pappalardo…
“Ci hanno ‘scippato’ il marchio, che noi non avevamo depositato. Ma non abbiamo assolutamente nulla a che fare con l’iniziativa del generale Pappalardo e non condividiamo quello che fa. Noi, stando al di fuori della politica, continuiamo a difendere l’agricoltura e a occuparci dei suoi problemi”.
Quindi cosa farete adesso? Vi contenderete la sigla?
“Ma figuriamoci… Andremo avanti con ancor più determinazione lungo la strada che abbiamo sempre percorso. Presenteremo lunedì prossimo a Bari il nostro nuovo movimento chiamato Restart, che non si sovrappone alle sigle sindacali ma vuole rappresentare un punto di forza, far sentire l’urlo della terra anche alle organizzazioni agricole affinché facciano di più di quello che fanno. Restart diventerà una fondazione, e l’auspicio è che assuma dimensioni nazionali perché credo che da Lampedusa alla Val d’Aosta siano davvero tante le cose che non funzionano”.
Durante il lockdown girava una battuta: gli italiani hanno scoperto che possono vivere senza calciatori ma non senza agricoltori…
“Massima solidarietà ai medici e agli infermieri in trincea, un ringraziamento a tutte le categorie che in questi mesi hanno assicurato servizi essenziali e il trasporto delle merci, ma credo sia doveroso congratularsi con gli agricoltori che come sempre, in silenzio e senza tanti proclami, hanno fatto il proprio lavoro e garantito il cibo nelle case degli italiani. Le nostre manifestazioni dell’anno scorso hanno rappresentato la ribellione dei lavoratori della terra di fronte alla scarsa considerazione di cui sono oggetto. L’emergenza che abbiamo attraversato dovrebbe ricordarci ancora di più il valore di questo settore così spesso dimenticato”.
In molti sostengono che la fine dell’epidemia non ci riporterà alla nostra vita precedente, che il coronavirus abbia modificato irreversibilmente le nostre percezioni e le nostre modalità di interazione sociale e con l’ambiente che ci circonda. Tutto questo porterà a una riscoperta dell’agricoltura, della salubrità, della genuinità?
“Se la consapevolezza dell’importanza dell’agricoltura non si afferma stavolta, non so cos’altro dovrebbe accadere perché avvenga. Credo che il post-Covid determinerà un grande ritorno al verde. Le persone avvertiranno con più intensità il bisogno di aria aperta, il bisogno di respirare, e con il lockdown probabilmente hanno anche acquisito una percezione più plastica del fatto che senza cibo non si va da nessuna parte. Il passaggio successivo è fare in modo che tutti comprendano che il cibo arriva dagli agricoltori e che l’agricoltura è un settore primario. Anche perché è un ambito dalla spiccata multifunzionalità: agricoltura significa cibo ma anche salute… Significa acqua buona per irrigare i campi e abbeverare il bestiame, significa tradizione ma anche ricerca incessante, significa un made in Italy invidiato in tutto il mondo, un pregio che va difeso con tutte le forze. E poi si parla tanto di ambiente ma se non ci fossimo noi a prenderci cura del territorio… La sostenibilità in ambito agricolo è importantissima, i veri verdi siamo noi. In alcuni territori poi, soprattutto in questa fase così difficile, l’agricoltura e i settori connessi sono l’unica chance per ripartire: pensiamo alla Puglia, se si tolgono agricoltura, agro-industria e turismo cosa rimane?”.
Economicamente come esce il vostro comparto dall’emergenza coronavirus?
“L’epidemia ci ha creato tanti problemi, come del resto a tutto il Paese. E’ stata una crisi sanitaria ma, come si vedrà bene fra pochi mesi, è anche una crisi sociale e finanziaria. Licenziamenti, aziende che non riaprono… C’è un grande bisogno di liquidità, anche in agricoltura, e dell’annunciata ‘potenza di fuoco’ del governo non si è visto niente, né per la cassa integrazione né nel sostegno alle aziende. Sono molto preoccupato”.
E nel suo territorio?
“L’aspetto più grave è che le aziende del Sud sono fortemente penalizzate. Al Nord le banche stanno infatti iniziando a concedere fondi con garanzia Ismea, da noi gli istituti fanno orecchie da mercante e questo è gravissimo. Pensate a un settore come quello vinicolo, che con la sospensione del turismo e del canale horeca ha avuto problemi molto seri. E ogni situazione di questo tipo si ripercuote a catena su tutto. Le banche devono darsi da fare affinché gli imprenditori possano continuare a dare lavoro e le aziende non passino nelle mani della criminalità. Quest’ultimo è un problema enorme, al quale il governo dovrebbe stare molto attento. Speriamo inoltre che nella prossima definizione della Pac non taglino i fondi all’agricoltura e premino le aziende che danno lavoro, sono sostenibili e vanno sul mercato, e che non penalizzino come al solito il Sud a vantaggio delle produzioni continentali, perché le imprese del Mezzogiorno sono quelle che alimentano i maggiori volumi occupazionali”.
In Puglia rispetto al periodo della manifestazione dello scorso anno qualcosa è cambiato, qualcosa si è mosso?
“Rispetto alla rivendicazione di allora per i fondi a seguito della grande gelata, delle risorse promesse sia dal ministro dell’epoca che dal presidente della Regione non si è visto nulla se non un abbattimento Inps. Prendiamo atto che i danni a 90mila ettari di olivi non sono stati considerati un’emergenza alla quale far fronte. In Puglia poi si è fatto cilecca con il Piano di sviluppo rurale, sono state mandate a monte tutte le graduatorie e quindi non sono stati spesi soldi preziosi di cui le aziende avevano bisogno per ammodernarsi e portarsi al livello della concorrenza europea. Infine la Xylella: continua a camminare distruggendo il territorio e danneggiando ambiente e turismo, è stata ed è tuttora un secondo coronavirus. Con tutti questi verdi e santoni in circolazione, è arrivata alle porte di Bari”.