Parte dal mare la sfida per l’egemonia in Asia

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Parte dal mare la sfida per l’egemonia in Asia

16 Maggio 2008

 

Mentre l’America e i suoi alleati concentrano le proprie energie diplomatiche sul Medio Oriente e l’Afghanistan, la Cina continua ad alterare l’equilibrio delle forze nell’est asiatico senza grandi fanfare e persino con poca resistenza. 

Secondo recenti rivelazioni, la Cina ha costruito una nuova, imponente base navale a Sanya, nell’isola di Hainan. La base, strategicamente ben localizzata, contiene attrezzature sotterranee e fornisce alla marina cinese l’accesso alle profonde, e difficili da monitorare, acque del mar della Cina meridionale e dell’oceano Indiano, insieme alla capacità di proiettare l’ombra del suo potere militare sulle rotte commerciali considerate vitali per tutti i paesi asiatici. Fin dalla seconda guerra mondiale la marina degli Stati Uniti ha pattugliato queste rotte marittime. Washington e i suoi alleati hanno garantito la sicurezza che ha assicurato l’importante crescita commerciale e la prosperità dell’Asia. Tuttavia, creando una marina militare in grado di affrontare quella americana, sembra che Pechino voglia metterne in discussione la supremazia, una mossa che potrebbe minare la pace e la prosperità asiatiche. 

La nuova base a Sanya sarà in grado di ospitare numerosi sottomarini nucleari, cacciatorpedinieri e portaerei, quando la Cina deciderà di costruirle. Il più recente sottomarino nucleare della serie Jin, dotato di missili balistici, è già stato avvistato nella base ad alcune centinaia di chilometri dai paesi del sud-est asiatico confinanti con la Cina, come il Vietnam. A complicare ulteriormente le cose, Pechino ha scavato una gran quantità di tunnel nei fianchi delle colline che circondano la base, il che consentirà di schermare i propri sottomarini dalla rilevazione dei satelliti, lasciando Washington praticamente cieca quando questi saranno schierati. 

Per gli attenti osservatori delle questioni militari cinesi, la costruzione della base è giusto l’ultima di una serie di iniziative tese ad accrescere rapidamente le forze armate, marina in particolare. Fin dal 1995, da quando cioè la maggior parte dei paesi ha iniziato a contrarre le spese per la difesa e ridurre la propria struttura militare in conseguenza della fine della guerra fredda, la Cina ha commissionato più di 30 nuovi sottomarini. Ha poi acquisito o sta costruendo almeno cinque differenti serie di sottomarini, un numero non eguagliato da nessun altro paese. In aggiunta alla sempre crescente forza sottomarina, Pechino ha lanciato un impressionante dispiegamento di moderni cacciatorpedinieri, messo in campo più di 1.000 missili balistici sin dai primi anni ’90, ad un ritmo di 150 all’anno, e ha acquisito centinaia dei più moderni arerei da combattimento. Molti esperti di affari militari cinesi cercano di giustificare questo rapido incremento come necessario deterrente all’indipendenza di Taiwan. Ma la Cina non è seriamente minacciata da Taiwan e le forze militari dell’isola hanno fatto, comparativamente, poco nei passati decenni per incrementare la propria potenza di fuoco. Il fatto è che la Cina dispone da qualche tempo di una capacità militare sufficiente a dissuadere Taiwan dal rompere formalmente con il continente. Infatti, se c’è qualcosa che preoccupa oggi, è che la Cina può costringere Taiwan a risolvere la disputa alle condizioni di Pechino. In ogni caso, non è sfuggito a nessuno dei paesi dell’area che questa capacità militare, che ha per obiettivo Taiwan, potrebbe essere usata anche per scopi alternativi. 

Anche se la Cina si trova inserita in un contesto ambientale sicuro, senza vere minacce, i suoi reali obiettivi militari restano un mistero. In privato funzionari americani esprimono la loro preoccupazione. Il Pentagono stima che dal 2010 la Cina sarà in grado di schierare cinque sottomarini equipaggiati con missili balistici nuclear-tipped, rendendo più potente la propria forza nucleare e la probabilità di sopravvivenza ad un attacco. Gli americani non sono i soli che seguono questi sviluppi con crescente nervosismo. La scorsa settimana, al consiglio dei ministri indiano, si è discusso della base cinese e il comandante della marina indiana ha espresso serie preoccupazioni. Egli sospetta giustamente che Pechino, con una marina più forte anche dal punto di vista nucleare, intende sfidare la lunga supremazia di Nuova Delhi nell’oceano Indiano. Tokio, d’altro canto, è sempre più preoccupata dal fatto che l’antico rivale sta sviluppando la capacità, e l’intenzione, di proiettare impunemente la sua ombra intorno al Giappone. Negli scorsi anni, funzionari giapponesi hanno denunciato dozzine di incursioni marittime cinesi in acque contese nei pressi delle coste giapponesi. E la Cina avrà presto l’arsenale che gli consentirà di risolvere con la forza le rivendicazioni sulle contese isole del mar Cinese meridionale, con buona pace di Filippine e Vietnam. 

Il futuro dell’Est asiatico è così in bilico. Per molti anni, l’ombrello di sicurezza americano ha consentito alle potenze dell’area, Cina inclusa, di concentrarsi sulla crescita economica invece che sulla competizione militare. Ora il rapido rafforzamento della Cina accenderebbe una costosa competizione regionale che potrebbe potenzialmente frenare la crescita economica dell’Asia, con i fondi destinati prevalentemente alle spese militari e gli investitori messi in fuga dallo spavento. Le ultime tre amministrazioni statunitensi hanno basato la loro politica verso la Cina nella speranza di quello che la Cina potrebbe un giorno diventare. É tempo di guardare in faccia la realtà per quello che è. Questo significa destinare più risorse militare alla regione e rafforzare gli alleati americani per rassicurarli e mandare il messaggio a Pechino che gli Stati Uniti sono impegnati a mantenere lo status quo nella regione, compresa la difesa del libero mercato e dei liberi governi di tutto il Pacifico. Pechino potrebbe anche non capire, ma questo tipo di risposta americana è nell’interesse di tutti. 

 

© Newsweek 

Traduzione Mariopaolo Fadda