Parte dall’Iraq la corsa di McCain alla Casa Bianca

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Parte dall’Iraq la corsa di McCain alla Casa Bianca

Parte dall’Iraq la corsa di McCain alla Casa Bianca

19 Marzo 2008

Il candidato McCain si muove come se avesse già in tasca le
elezioni di novembre. Nel weekend è stato a Baghdad dove ha incontrato i
politici iracheni e il generale Petraeus, verificando gli effetti del surge e
confermando l’impegno degli Stati Uniti nella lotta al Terrore. “La visita dimostra
che i repubblicani credono che la guerra in Iraq sia fondamentale nella lotta
contro il terrorismo in Medio Oriente”, ha detto Wael Abdul Latif, un indipendente
sciita eletto nel parlamento iracheno. “Francamente – ha aggiunto Mc Cain – chiunque
creda che il surge non abbia avuto successo dal punto di vista politico e
militare non conosce i fatti sul campo”.

Sebbene la maggioranza degli americani continuino a
dichiararsi contro la guerra, e mentre i pacifisti manifestano ricordando i
soldati morti, la percentuale che guarda positivamente al surge è cresciuta dal
30% del febbraio 2007 al 48% degli ultimi rilevamenti, minando le certezze dei
democratici sul graduale ritiro dall’Iraq. Psicologicamente, l’aura da
‘comandante in capo’ che circonda McCain è destinata a influenzare le scelte
dell’elettorato anche in questioni spinose e controverse come la guerra. Ne è convinto
Drew Westen, professore di psichiatria alla Emory University e autore del
saggio The Political Brain: The Role of Emotion in Deciding the Fate of the
Nation.         

Le tappe del ‘McTour’ previste per questa settimana saranno
Gerusalemme, Parigi e Londra. La prima destinazione è Israele, “dove bisogna
affrontare questioni di enorme importanza” come ha dichiarato McCain. La visita
s’incrocia con quella del cancelliere Angela Merkel che davanti alla Knesset ha
ricordato quali sono le “responsabilità storiche” della Germania verso Israele.
È appena terminata la missione in Medio Oriente del segretario di stato
Condoleezza Rice, impegnata a far proseguire i colloqui di pace tra Olmert e
Abu Mazen nonostante il sangue versato nelle ultime settimane. Politico ha
suggerito che proprio ‘Condy’ potrebbe essere un personaggio decisivo nelle
elezioni di novembre. Se la Rice accettasse di correre in ticket con McCain
l’elettorato nero e conservatore avrebbe finalmente un proprio campione da
opporre ai democratici. È nera come Obama e donna come Hillary, una perfetta
vicepresidente degli Stati Uniti.

A Parigi McCain incontrerà Nicholas Sarkozy, un altro
conservatore che ha ‘rotto’ con l’establishment del suo partito prima di
vincere le elezioni. Sarkozy e McCain discuteranno dell’Iraq ma anche dei
cambiamenti climatici, un tema prioritario nell’agenda dell’Eliseo, ma che tornerà
utile al senatore dell’Arizona per convincere gli elettori americani indipendenti
che hanno a cuore la questione ambientale. Un altro argomento di conversazione
potrebbe essere quello sulle questioni della sicurezza, se pensiamo ai successi
ottenuti dall’antiterrorismo di Parigi negli ultimi vent’anni.

L’ultima tappa sarà la visita al primo ministro inglese
Gordon Brown. McCain sa bene quanto è stato determinante il contributo della
Gran Bretagna in Iraq (e in Afghanistan) e quanto l’America deve essere grata
al più fedele dei suoi alleati. Conosce anche qual è la situazione tra il
governo di Brown e la potente comunità islamica inglese. Proprio per questo ha
criticato senza troppi giri di parole il disimpegno inglese da Bassora: “Non
penso che sia stata una buona idea”. Fonti ben informate dicono che la tappa
londinese servirà per il fund-raising della campagna elettorale. Sembra che per
partecipare al lunch organizzato da McCain basterà sborsare qualcosa come mille
dollari a portata.

Archiviato il Grand Tour tra il Medio Oriente e le grandi
capitali europee (da notare come Roma sia rimasta fuori dal giro), il candidato
repubblicano tornerà a fare i conti con la campagna elettorale americana. McCain
sta ricompattando il GOP in vista del voto di novembre: corteggia gli
indipendenti e tende la mano alla base religiosa conservatrice. Il New Republic
scrive che gli indipendenti saranno “la chiave” delle prossime elezioni. Secondo
il Weekly Standard le proposte del senatore potrebbero rivelarsi allettanti per
questa fetta consistente di elettori, né rossi né blu, paladini del libero
mercato ma contrari alla guerra in Iraq.

È soprattutto un punto a convincere gli indipendenti: la
riforma del sistema di finanziamento dei partiti condotta negli ultimi anni da
McCain. Nel 2005 lo chiamavano Mister Clean, mastrolindo, per la sua pervicacia
nello scoperchiare le malefatte dei colleghi. La cricca di Jack Abramoff, per
esempio, il re dei lobbisti repubblicani. Una brutta storia di politica
finanziata con i casinò delle tribù indiane, definite dallo stesso Abramoff dei
“trogloditi da spennare”. Mentre il presidente Bush portava avanti le sue battaglie
contro il vizio, Abramoff finanziava alle sue spalle il partito con il gioco
d’azzardo.

Come presidente della Commissione del Senato sugli Affari
Indiani, McCain ha cercato di fare piena luce sulle degenerazioni affaristiche
del sistema politico. Una campagna moralizzatrice stile Mani Pulite che ha
travolto il capo dei parlamentari repubblicani Tom DeLay, costringendolo a un’ingloriosa
dimissione. Abramoff invece è stato condannato a svariati anni di carcere. Negli
Stati Uniti le leggi funzionano e colpiscono duro. Gli scandali hanno provocato
una ventata di ‘antipolitica’ anche se il loro peso non va sopravvalutato in
termini elettorali.

Un microtarget di elettori che guardano con simpatia a Mastrolindo
sono i whistleblowers (“quelli col fischietto”), gli insider delle grandi
corporation che denunciano scandali e comportamenti scorretti nei confronti dei
consumatori, come fece il contabile della Enron. McCain non deve sottovalutare
il tema della lotta alla corruzione. Fino adesso ha puntato sulla politica
estera e sul ruolo degli Stati Uniti nella comunità internazionale. Adesso
tocca alla politica interna e alle ricette per far marciare l’economia. Puntare
sull’onestà vuol dire rifarsi a uno dei valori originari del movimento
conservatore.     

Ci sono altri temi che stanno a cuore agli indipendenti, la
riforma dell’istruzione e della sanità. McCain vuole rimettere la dignità umana
al centro dell’assistenza sanitaria garantendo maggiore libertà di scelta ai
cittadini. Ogni anno negli Stati Uniti muoiono migliaia di persone senza
copertura sanitaria, ma anche chi può permettersela deve scontrarsi con un
mercato ‘burocratizzato’ dove medici e assicurazioni private non garantiscono
cure e prevenzione efficaci. McCain crede nel diritto di curarsi senza
interferenze dello Stato, e promette consistenti tagli fiscali per le famiglie.
L’importante è razionalizzare la spesa pubblica e non estenderla in modo
indiscriminato. “Da noi un ospedale con 500 letti ha mille impiegati, in
Germania ne ha cento”, dice Marc Robert, professore alla Harvard School of
Public Health.

Idem per l’istruzione. A differenza dei suoi predecessori,
McCain non ritiene l’educazione una priorità assoluta del governo federale. Da
questo punto di vista somiglia più a Reagan che a Clinton o ai Bush. La vera
riforma dell’istruzione deve partire dal basso, dalle comunità e dagli stati, e
non essere calata dall’alto di Washington. Se mai la Casa Bianca ha il compito
di favorire i rapporti tra le università e le imprese, cercando di ripetere il
miracolo di Google. Nel 2004 le università americane hanno incassato quasi un
miliardo e mezzo di dollari di diritti per licenze tecnologiche e hanno
registrato diecimila brevetti. Forse sarebbe il caso di dare più spazio a
personaggi come Larry Summers, il contestatissimo rettore-manager di Harvard,
convinto che gli insegnanti devono lavorare di più per giustificare le costose
rette pagate dagli studenti. Il XXI secolo sarà quello della biologia e delle
scienze della vita, disse Summers in occasione del suo insediamento, i fondi e
le risorse disponibili per l’università sarebbero state programmate in base a
questa visione. Gli insegnanti delle facoltà umanistiche ebbero un brivido
lungo la schiena, sono stati loro l’avanguardia della fronda che ha scalzato
Summers.

L’appoggio garantito a McCain da Bush sarà fondamentale per
il fundraising elettorale e per convincere gli scettici del movimento
conservatore. I democratici hanno speso una fortuna nelle Primarie, dissanguandosi
in una guerra fratricida che finora non ha prodotto risultati concreti. McCain
si è finanziato con cifre molto più basse e adesso può contare sullo staff di
Bush. Recentemente ha incontrato Karl Rove, il grande avversario delle Primarie
del 2000. Il ‘Cervello’ della macchina elettorale repubblicana si messo in moto
per riunificare ancora una volta le constituencies del movimento conservatore. Tra
gli ex di Bush c’è solo qualche voce fuori dal coro, come Matt Dowd, che ha
definito McCain un clone del presidente, con le stesse politiche su tasse,
sanità e Iraq. I democratici hanno coniato un altro nomignolo dispregiativo,
“McSame”. “Non credo che questa sarà un’elezione sulla guerra al terrorismo o
sulle questioni di sicurezza nazionale”, ha detto Dowd, convinto che gli
elettori non vogliono un altro Bush.

Sarà, ma se restiamo alla scuola e all’istruzione pubblica
il tema della guerra al terrore assume un’importanza decisiva. Alla convention
del CPAC, McCain ha promesso che difenderà “i valori, le virtù e la sicurezza
degli uomini liberi contro coloro che le disprezzano”. Ma quanti sono oggi i
giovani americani che si riconoscono in questi valori? Forse il senatore
intendeva dire che per combattere il terrore sul lungo periodo è necessario che
i giovani studino meglio la Storia americana, il ruolo svolto dagli Stati Uniti
nella difesa della libertà. Il No Child Left Behind, la riforma dell’istruzione
di Bush, si è fossilizzata sui curricula degli studenti, con un’ossessione
quasi burocratica per i test di lettura e i quiz di matematica. McCain potrebbe
insistere di più sulla Storia e l’educazione civica, favorendo una U.S. history
‘surge’, come l’hanno definita gli editorialisti della stampa conservatrice.

La partita più difficile rimane quella con i social
conservatives e la base religiosa del partito. I telegiornali italiani
continuano a raccontarci la storiella della destra evangelica che detesta McCain
ma le cose stanno cambiando decisamente e i rapporti tra Fede e Politica negli
Stati Uniti potrebbero prendere una piega diversa. Il matrimonio tra il
“rinato” Bush e l’elettorato cristiano è entrato in crisi e negli ultimi tempi
molti credenti hanno maturato una forte avversione nei confronti della macchina
della politica, piena di promesse ma che non è stata capace di rispettare i
patti, la difesa ‘senza se e senza ma’ della morale cristiana. Il Washington
Post ha parlato addirittura di “epitaffio” della destra religiosa, pronta a
chiudersi in una gelosa difesa delle sue parole d’ordine: niente aborto e
matrimoni gay. Senza spingersi fino a scenari così apocalittici bisogna
ammettere che c’è stato uno sfilacciamento dei rapporti tra politici e fedeli,
un fenomeno che potrebbe assumere proporzioni preoccupanti per lo schieramento
conservatore. Nel 2004 Bush raccolse il 64% dei voti tra le persone che vanno
in chiesa più di una volta alla settimana.

McCain sta ribaltando il suo approccio con l’America
religiosa. Pensiamo ai pastori delle megachiese sparse nel Sud e nel West, dove
si predica la religione dell’ottimismo e della prosperità, mentre scompaiono le
croci e ogni messaggio che possa apparire angoscioso o poco rassicurante. Il
televangelista Creflo Dollar apprezza molto la candidatura di McCain. Dollar è
una potenza, un personaggio fuori dagli schemi, che considera una benedizione
divina il fatto di possedere due jet privati e arrivare in chiesa in Cadillac.
Conquistarsi il suo appoggio sarebbe una mossa brillante per almeno quattro
motivi: è nero, è una voce carismatica della destra religiosa, crede in Dio e
nel libero mercato, con lui i problemi di fundraising sarebbero risolti per
sempre. Il World Dome, il quartier generale di Dollar, è costato diciotto
milioni di dollari ed è stato costruito senza alcun finanziamento bancario. Solo
preghiera e carità cristiana.

L’endorsement di Dollar viene dopo quello della Christian
Coalition of American Blogger, felice di aver sentito McCain che definiva
l’America una “Nazione cristiana” (il 55% degli americani crede che l’origine
cristiana degli Stati Uniti sia stabilita dalla Costituzione). Il senatore può
contare sulla National Coalition of Latino Clergy & Christian Leaders, la
più grande denominazione evangelica e latina della nazione, tre milioni e mezzo
di fedeli, 16.000 chiese sparse in 33 stati. Il reverendo Miguel Rivera ha
scritto una lettera aperta alla Nation Association of Evangelicals, che
riunisce altre migliaia di chiese latine non-denominational, cristiane ed
evangeliche, chiedendo di firmare una tregua con McCain e dargli una chance di
vittoria. Ma l’entusiasmo dei predicatori in certi casi può rivelarsi controproducente,
com’è accaduto con il pastore John Hagee, un altro dei sostenitori di McCain.
Hagee è l’autore del contestato bestseller Jerusalem Countdown dove si racconta
che Adolf Hitler era cattolico e che per questo il Vaticano chiuse un occhio
sull’Olocausto. Pur dichiarandosi amico dello Stato di Israele, McCain ha
precisato che le sue posizioni non sono quelle del pastore texano.

Restano da convincere i pezzi da novanta della destra
religiosa americana, il reverendo Jerry Falwell e il dottor James Dobson,
rispettivamente a capo della Moral Majority e di Focus on The Family. Due
organizzazioni che sono state fondamentali nelle ultime elezioni vinte da Bush.
Durante la campagna per le primarie del 2000, McCain definì Falwell un
intollerante ma qualche giorno fa ha corretto il tiro spiegando che il
reverendo è un uomo devoto che ha dedicato la sua vita “a servire la fede e la
nazione”. Più difficile sarà ammansire i superconservatori come Dobson che il 5
febbraio scorso, intervistato al The Laura Ingraham Show, ha espresso il suo
“disappunto” per la scelta del candidato repubblicano. “Sono convinto che il
senatore McCain non è un conservatore – ha detto Dobson – non posso e non
voterò per lui, è una questione di coscienza”. Per la prima volta non andrà a
votare.