Partito unico, pensiero confuso
16 Luglio 2005
di redazione
Tra i tanti inconvenienti di continuarlo a chiamare «partito
unico» anziché «Filippo» o qualsiasi altro
nome, vi è certo anche quello di evocare lo spettro del pensiero
unico, che comunque la si metta non è mai una bella cosa. Ma
questo rischio il centro destra italiano proprio non lo corre. Non solo
per la alta propensione al litigio ma soprattutto perché il suo
pensiero sul nuovo partito anziché unico appare confuso. Confuso
sui tempi innanzitutto. Perché il nuovo soggetto o nasce per le
elezioni del 2006 – e possibilmente per vincerle – oppure, a babbo
morto, è altra storia. Ne riparleremo quando e se verrà
il momento e dalla prospettiva di allora.
Confuso poi per il quadro istituzionale nel quale lo si vorrebbe
inserire. In particolare in tema di legge elettorale. Maggioritario
attuale? Abolizione dello scorporo? Proporzionale? Al momento tutte
lucette che si accendono e si spengono a giorni alterni.
Confuso infine per la definizione dei suoi rapporti con la Lega. Il
nuovo partito infatti dovrebbe servire anche per incanalare in una
cultura di governo le pulsioni sociali – non certo quelle grettamente
localistiche e antinazionali – che la Lega esprime.
La si vuole dentro o fuori?
Proviamo allora a rimettere ordine in questo guazzabuglio. Si parta
innanzitutto dalla proposta politica. Si faccia in modo che essa sia
all’altezza dei problemi posti dalla modernità e dalle
difficoltà dell’Italia di oggi. Fin da adesso si
definiscano i tempi, le forme di organizzazione almeno provvisorie, gli
organismi dirigenti, i passaggi per l’identificazione della
leadership. E tutto in vista della scadenza elettorale ormai
prossima.
Solo in questo caso, forse, potrà nascere un nuovo partito
del centro destra. E a quel punto si potrà persino fare a meno
di chiamarlo «unico».