
Pasolini è di tutti: un dibattito su “Il profeta scandaloso”

30 Marzo 2023
Il 28 marzo si è tenuto presso la Sala Matteotti della Camera dei Deputati il convegno che ha avuto come oggetto il libro a cura di Gaetano Quagliariello e Stefano Fassina, “Il profeta scandaloso” (ed. Rubbettino), dedicato al centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. Ad animare il dibattito, oltre ai due autori, anche voci del mondo della politica, provenienti da entrambi gli schieramenti. Da Barbara Floridia (capogruppo del Movimento 5 Stelle del Senato) a Onofrio Romano (professore associato di sociologia presso le università di Roma Tre e di Bari), passando per Federico Mollicone (presidente della Commissione Cultura presso la Camera dei Deputati) e Eugenio Capozzi (professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”). A moderare il dibattito fra le parti, la giornalista del TG2 Barbara Romano.
L’Italia ha fame di intellettuali
Pasolini non ha bisogno di presentazioni. E certamente, una delle definizioni più calzanti e meno riduttive che possano descriverlo è quella, seppur generica, di intellettuale. Poeta, scrittore, giornalista, cineasta, sceneggiatore, critico letterario e linguista: non ha risparmiato nessun ramo della cultura alla sua fame di sapere. Una delle riflessioni che più volte è emersa nel corso del dibattito è stata proprio quella riguardante il rapporto stridente fra il mondo politico e gli intellettuali oggi. Si tratta, in effetti, dell’espressione di un bisogno unanime, proveniente tanto da destra che da sinistra. Pasolini è stato in grado di rappresentare l’intellettuale del quale oggi, tristemente, in Italia difettiamo. Quelli in grado di potersi fregiare di una tale fiera e convinta capacità di analisi super partes.
Pasolini e il difficile rapporto con la sinistra
A lungo definito, a monte delle contraddizioni e dei dissidi con il partito, come un comunista, Pasolini è assurto a icona della sinistra al pari di Gramsci – al quale dedica anche una delle sue opere più celebri. È un dato incontrovertibile che il poeta si fosse iscritto al PCI (salvo poi esserne espulso per la sua omosessualità), ma questo non ha mai fatto davvero parte dei suoi tratti identitari. Ricordiamo la presa di posizione contro i moti del ’68 e in particolare della celebre “battaglia di Valle Giulia”, dopo i quali Pasolini si schierò contro gli studenti e dalla parte dei poliziotti, identificati come veri figli del popolo. Anche la natura antistorica del suo pensiero è un elemento spesso indigesto alla sinistra, come pure l’invito a un ritorno al passato.
Pasolini e la destra: un rinnovato entusiasmo
È piuttosto recente la riscoperta da parte della destra del pensiero pasoliniano, da sempre relegato all’area di competenza della sinistra. Quando si tenta questo riavvicinamento vengono spesso evocate le questioni sollevate da Pasolini riguardo l’aborto e il suo rapporto con lo scrittore Ezra Pound. Anche in questo caso, però, tali elementi non sono sufficienti a definire Pasolini come un “amico” della destra. Le sue posizioni contro il capitalismo e l’industrializzazione (strettamente legato all’idea di ritorno a una dimensione arcadica, bucolica) e marcatamente neo comunitariste lo rendono inviso anche a questa parte politica.
L’intellettuale dissidente
In Pasolini arte e vita si sono costantemente intersecate, unite, congiunte. Allo stesso modo, anche arte e corporeità. Tanto da poter affermare che il poeta di Casarsa avesse letteralmente somatizzato il dolore che da dentro lo dilaniava. Di fatto, già alla fine degli anni Cinquanta dichiarava che la nostra Storia era finita, e che il futuro non poteva che essere in mano a una società barbara. In virtù di tale lungimiranza, Pasolini è riuscito a individuare in tempi non sospetti l’emergenza antropologica che stava attraversando l’Italia. L’uomo che da cittadino ha completato la sua trasformazione in consumatore e, poi, in essere consumato, che si allontana dallo stato di natura, da quella condizione di primigenia genuinità incorrotta. L’impossibilità di afferrare Pasolini, di strattonarlo da una parte o dall’altra, la sua radicata dissidenza lo hanno reso il gigante del pensiero che ancora oggi celebriamo.
Perché Pasolini è di tutti
Pasolini fece del suo stesso corpo il pulpito, la cattedra e il campo di battaglia dai quali lanciava invettive indiscriminatamente a destra e sinistra. Perché è questo, che fa un intellettuale: contesta il potere, non lo coccola. Ma non solo: egli è in grado di contraddirsi senza mai scadere. Ed è qui che risiede la grandezza di Pasolini e che lo rende così vicino e al contempo così distante da tutti. Nel suo continuo mettersi in discussione, nella capacità di abiurare se stesso senza indulgenza, nella volontà di non appartenere a nessuno.