Patria, fede e famiglia. La “Right Nation” secondo Sarah Palin

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Patria, fede e famiglia. La “Right Nation” secondo Sarah Palin

25 Novembre 2010

Adoro il Kindle di Amazon.com (e per dirlo in pubblico non prendo nemmeno la stecca), soprattutto perché esiste anche la sublime versione per pc (o per Mac) che offre lo stesso onorato servizio ma gratuitamente sul portatile – o sui portatili, se come me ne avete diversi, disseminati per studi e uffici -. Grazie a esso (e mentre attendo la versione per BlackBerry ora disponibile solo ai customer statunitensi) riesco a leggermi in tempo reale il nuovo libro di Sarah Palin, America by Heart: Reflections on Family, Faith, and Flag (HarperCollins, New York), nelle librerie USA da martedì. Bellissimo.

Finalmente un libro schietto e caldo (come l’universo mondo oramai sa essere la proposta politico-culturale di Sarah), patriottico ma senza retorica melensa, e soprattutto americano che più americano di così si muore. No, non mi sono ripetuto. Lo so di avere scritto “patriottico” prima e “americano” appena dopo. Le due cose vanno a braccetto, una contiene l’altra, anzi si fondono armonicamente in un unico crogiuolo, ma non sono identiche. Essere patriottici negli Stati Uniti significa ovviamente essere dei buoni americani e viceversa, ma l’essere statunitensi condiziona fortemente il senso dell’essere patriottici tale per cui essere patriottici da americani non è uguale al farlo altrove. Proprio come accade in qualsiasi altro luogo del mondo…

La patria, infatti, non è mai un concetto astratto, né negli Stati Uniti né altrove. La patria, o meglio la madrepatria poiché si è sempre figli di due, e di sesso diverso, cioè di una famiglia naturale, è carne e sangue. Una storia, certo, una identità, ovvio, ma di più, molto, molto di più. Non è solo la storia di quella che ai “piccoli signor Hegel” piace scrivere con l’iniziale maiuscola, non quella dei libri fatti sempre per forza di cose dopo, irti di battaglie e povere di racconti. È invece la storia intima che ognuno si porta nel midollo osseo e nei lombi; la storia di noi che siamo figli dei nostri genitori, che erano figli dei nostri nonni, che erano figli dei nostri bisnonni, e su su fino a Cro-Magnon, e poi giù verso i nostri figli.

La grande storia, insomma, fatta di cose piccole, anzi personali, ma soprattutto di fatti e di suggestioni, d’impressioni e di umori, di passaggi estemporanei e di parole come sassi, d’immagini e di maestri, di pugni e di carezze, e poi di odori, e suoni, e sapori, e colori, regno incontrastato della memoria non logica ma non per questo meno cogente che sa farsi olfattiva, uditiva, gustativa, visiva. Umana. Personale. La storia con la maiuscola non esiste senza queste mille storie sconosciute ai “grandi”. Sarah Palin ci racconta qui la sua. La mia è composta anche del ricordo più vivido, persistente, influente e persino fisico che conservo del maestro del conservatorismo americano Russell Kirk (1918-19945): l’aroma irreplicabile della sua biblioteca, un edificio di mattoni e legno nascosto nei boschi del Michigan lontano da ogni autostrada che un tempo era la fabbrica di giocattoli di un suo avo, straripante libri, alcuni antichi, rarissimi, scaldati dal fuoco crepitante di un gran camino. Come il profumo di agrumi nell’aria che fa santo Natale.

Chi non ha in animo una esperienza olfattiva, uditiva, gustativa o visiva di un qualche tipo farà fatica a capire il nuovo libro di Sarah e il suo patriottismo americano. Alle latitudini di Sarah, il patriottismo è l’eccezionalità della storia normale di migliaia di persone diversamente uguali a tutte le altre, le cui vicende, a saperle dissotterrare, sono d’antologia dell’eroico quotidiano. C’è un modo americano di essere patriottici che non è superiore a quello di alcun altro luogo e che nemmeno è diverso, ma che è tipico. Se non giri in mezzo a quella gente fatta così, fai fatica a capire cosa significa essere “conservatori”, tale per cui scappa da ridire di fronte a quell’excusatio non petita (che usano anche certi americani quando si distraggono) che da noi è molto in voga e che consiste nel tirarsi la zappa sui piedi vergognandosi dei propri pensieri. Intendo dire quelle cose scritte per correttezza politica pavloviana del tipo il movimento x “non è né di sinistra né di destra”, il fenomeno y “non è né conservatore né progressista”, il fatto z “è liberale” pensando così che son liberi tutti come a nascondino, e via variando (di poco) su tema fisso.

Negli Stati Uniti essere conservatori vuol dire essere americani e viceversa, e questo vale anche per i liberal. C’è, a quelle latitudini, un ethos che fa sì che sei quel che sei perché la storia che non comparirà mai sui manuali ma che ti genera è di un certo tipo e non di un altro. C’è dentro tutta la tua casa e ci sono i tuoi amici, fortemente tali (entrambi) anche quando ti sposti migliaia di miglia e ti rifai una vita. C’è la tua strada e quel ponte che vedevi da piccolo ogni mattina. C’è l’autobus ocra che ti portava alle elementari e il diner come mille altri ma unico. C’è la bandiera del tuo Stato e vicino quella federale, anche se sei un neoconfederato impenitente; al massimo ci metti pure quella del Vecchio Sud. C’è poi il governo e c’è pure lo Stato, ma questo secondo lo ami molto meno. C’è infine quel che sai fare tu, per te e per gli altri.

Non è un popolo migliore degli altri quello americano. Ma il suo non essere però nemmeno peggiore di altri ne fa un caso. Non di studio, ma di vita. Che, appunto, se non la frequenti non la capisci, dopo di che, archivi la pratica, per esempio il nuovo libro della Palin, alla voce “propaganda” (perché sei maleducato da tanti, troppi cattivi maestri) pensando così di avere messo a posto la coscienza. Il bello invece è che, nonostante i nostri riduzionismi, la storia, quella storia là, va avanti. Come dice Sarah, questo nuovo suo libro è solo “come vedo io gli Stati Uniti e ciò che li ha fatti grandi. Le idee su cui si fonda il nostro Paese. La forza delle nostre famiglie. Il fegato del nostro carattere nazionale. La nostra fede in Dio, come essa ha plasmato il nostro Paese e come essa continua a renderci forti in quanto popolo”. Sono questi gli Stati Uniti, non date retta alle sirene. Sono questi sono gli statunitensi. Impariamo a metterci in loro vece il nome del nostro Paese e del nostro popolo, e avremo fatto una gran cosa da italiani veri. Intanto, per esercitarci, facciamo pratica usando senza menate e in pubblico le espressioni “carattere nazionale”, “Dio” e “popolo”. Non serve dire amen alla fine (ma grazie a Kindle sì).

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute [www.columbiainstitute.it] e direttore del Centro Studi Russell Kirk [www.russellkirk.eu]