
Patti pre-nozze e gestione delle conseguenze patrimoniali delle crisi matrimoniali e delle convivenze

25 Settembre 2022
Poca fortuna hanno avuto i disegni di legge tendenti ad introdurre anche in Italia i cosiddetti “accordi prematrimoniali” (o meglio gli accordi sulle conseguenze patrimoniali delle crisi coniugali e delle convivenze). Tali patti permetterebbero di disciplinare in anticipo i rapporti tra coniugi o conviventi in caso di unioni civili, in caso di crisi coniugale e delle convivenze.
In Europa sono stati introdotti da decenni mentre in Italia la loro introduzione risulta ostacolata da pregiudizi ideologici per un’ancora non del tutto assimilata (soprattutto dalle componenti cattoliche più radicali e dal ceto della Magistratura) società aperta al divorzio cui viene attribuita una funzione del matrimonio caratterizzata da “instabilità ”: frutto di una visione della famiglia strutturata, sulla base del codice del 1942, su base gerarchica ed autoritativa.
In buona sostanza le resistenze ideologico-giudiziarie si sono poste quali ri-strutturanti rispetto al dettato normativo fondato sulla pregiudiziale, non dichiarata ed implicita, della “criptoindissolubilità ” del matrimonio e conseguentemente del deterrente economico (sotto forma dell’assegno divorzile) del cosiddetto “tenore di vita” analogo a quello avuto in costanza del matrimonio a favore del coniuge ritenuto economicamente più debole (in genere la donna).
Tale impostazione ha dato luogo, nel mutare della struttura sociologica italiana e dell’emancipazione femminile nel campo delle professioni, del lavoro e della politica, ad autentiche “rendite parassitarie”. E’ stato notato, non senza cinismo, che con il matrimonio ci si sposava non con una persona ma con un patrimonio. Va riconosciuto che la Corte Costituzionale già con la sentenza n. 11 dell’anno 2015 (in composizione soggettiva con l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella) ridimensionava l’assegno divorzile ancorandolo non più ed esclusivamente in forma cadaverica al tenore di vita ma a tutti gli altri parametri normativi di riferimento quali fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto che avrebbe potuto, in ipotesi, anche essere azzerata.
Successivamente la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11504 dell’anno 2017 ricomponeva ad unità strutturale sia i principi sopra elencati sia quelli stabiliti da altre sentenze della Corte di Cassazione espressione dei mutati contesti sociologici ed economici intervenuti nella società italiana e di un quadro normativo operante copertura costituzionale alle stabili convivenze di fatto sia eterosessuali che tra persone dello stesso sesso.
Si assisteva quindi ad una tensione tra un sempre maggiore rilievo costituzionale del principio di autoresponsabilità e determinazione dei coniugi e/o dei conviventi ed una normativa che in tema di famiglia tendeva sostanzialmente a circoscrivere notevolmente il perimetro della autonomia soggettiva con una forte impronta dello stato in funzione paternalistico-autoritativa.
La Corte Costituzionale è stata in prima fila nel cercare un punto di equilibrio tra il cambiamento della società ed una legislazione risalente attraverso lo strumento delle cosiddette “additive di principio”: sentenze che, come è noto, mirano ad evitare la creazione di vuoti nella tutela dei diritti fondamentali salvaguardando al contempo la sfera di autonomia del legislatore. Ma tali interventi della Corte Costituzionale quali recepiti dalle Magistrature ordinarie se possono impedire un’interpretazione normativa “negativa” dei diritti non possono certo rispondere alle esigenze ed ai bisogni di una società sociologicamente diversa e diversificata da quella formatasi sotto il fascismo.
Appare quindi evidente che i concetti di “autodeterminazione” ed “autoresponsabilità ” di coloro che contraggono matrimonio o una convivenza civile debbano e possano trovare riconoscimento anche in ordine alla sistemazione “ex ante” delle conseguenze patrimoniali dovute alle eventuali crisi coniugali e/o della convivenza. In tali accordi potrebbe per esempio essere stabilita la rinunzia di uno od entrambi i coniugi al cosiddetto mantenimento e/o al soddisfacimento del medesimo mediante diversa attribuzione patrimoniale (anche da attuarsi successivamente all’accordo nel corso del matrimonio e/o della convivenza) nonchè la rinuncia all’eredità effettuata da uno od entrambi i coniugi e/o conviventi sull’eredità dell’altro superando finalmente quel divieto dei patti successori rinunciativi residuo fossile di una società patriarcale vecchia di secoli.
Tenuto conto altresì che tale rinuncia ai diritti successori consentirebbe, in una società matura come quella italiana, anche la regolarizzazione dei secondi o terzi matrimoni ad oggi resi sostanzialmente impossibili, in presenza di figli di uno od entrambi i nubendi e/o conviventi, per l’irrompere dei diritti successori del nuovo coniuge (e dei suoi figli) nell’asse ereditario dell’altro con destabilizzazione di assetti ed aspettative consolidate.
L’Italia inoltre risulta l’unica nazione in Europa a non aver normato tali accordi.
Forse il riconoscimento dei criteri di autodeterminazione, responsabilità e solidarietà già in sede di contrazione del vincolo matrimoniale e/o della convivenza per quanto attiene alle conseguenze patrimoniali ed economiche della crisi sicuramente comporterebbe un diverso approccio alle eventuali successive situazioni di crisi potendo contribuire a depotenziare quei contenuti di rabbia, frustrazione e violenza che spesso li contraddistingue.
Sono di notoria evidenza le conseguenze personali, in ordine di liti e di rancori, di personaggi dello sport e dello spettacolo.
Ma in quei casi la violenza risulta “ritualizzata” mediaticamente e giudiziariamente delle costose strategie avvocatesche: per le persone comuni, purtroppo, la frustrazione genera violenza che non trova ritualizzazione ma esecuzione.
Ed in questo i contratti pre-nozze potrebbero senz’altro contribuire a diminuire la virulenza delle crisi.