Patto con D’Alema e muso duro con il governo. Fini pensa già al dopo Cav?
01 Agosto 2008
Da qualche settimana ai piani più alti di Montecitorio si respira un’aria diversa. Sensazioni, umori che fino a poco tempo fa avevano riempito quegli uffici sembrano adesso fare posto ad altri. Si sa Gianfranco Fini è uomo avvezzo ai cambi di rotta, soprattutto quando si avvede che il vento lo sto portando in una risacca. Così faceva quando era presidente di An e così continua a fare adesso che ha avuto l’onore, ma anche l’onere, di sedersi sullo scranno più alto di Montecitorio. Il lento ed inesorabile cambiamento è stato avviato da qualche settimana, più o meno dall’intervento a difesa del tricolore e dell’inno nazionale. Un intervento legittimo, da presidente della Camera, ma abbastanza duro che addirittura zittì un tipo come Umberto Bossi. Da lì è stato poi un susseguirsi di altri interventi, come quello su Alitalia quando impose al governo di riferire in Aula. Anche qui un atteggiamento legittimo ma sempre un po’ sopra le righe visto che il suo omologo ma al Senato, Renato Schifani, sulla stessa vicenda si era limitato ad un più diplomatico “solleciterò il governo a riferire in Aula”.
Toni quindi ben diversi come quelli di qualche giorno fa in occasione dell’abituale cerimonia del ventaglio nella quale non è passata inosservata una sua riflessione sulla riforma della giustizia. “Credo – ha detto Fini – che la questione giustizia sia nell’agenda del Paese, ma penso che la politica farebbe un errore madornale se declinasse questa questione in modo unilaterale”. Anche in questo caso tutto in regola con il suo ruolo di presidente, non fosse altro però per il fatto che il presidente del Consiglio, della sua parte politica, da tempo parla di “dialogo impossibile” con il Pd sulle riforme. Dialogo interrotto, quindi, che invece Fini vorrebbe riavviare. E sempre durante la stessa cerimonia riguardo la riforma del Csm una stoccata al suo collega Schifani, presidente del Senato, al quale “pur non volendo polemizzare con lui” spiega che “per una questione di correttezza” sarebbe meglio parlare di Csm, prima, con il suo presidente che è il capo dello Stato.
In realtà nell’entourage di Fini si tende a minimizzare: “Sta semplicemente gestendo il suo ruolo di presidente, un ruolo che è quello di garante di tutti i deputati e della Camera stessa”. Un po’, continuano i Fini boys, “come fece Casini a suo tempo che guidò con equilibrio la presidenza senza cedimenti”. Appunto Casini, un paragone che allo stesso Berlusconi più di qualche suo consigliere ha fatto e che non gli è assolutamente piaciuto. La stessa polemica accesasi sulle sue parole riguardanti la presunta “superiorità” dei senatori rispetto ai deputati ha fatto riflettere molto il premier. La reazione del vicario del gruppo alla Camera, Italo Bocchino, uomo vicino a Fini e dal quale probabilmente è stato compulsato, non è caduta nel vuoto. Soprattutto quei tre aggettivi usati da Bocchino e riferiti alle affermazioni di Berlusconi: “Infelici, irrispettose e irricevibili”, hanno fatto pensare molto in Forza Italia. Un’asprezza e durezza dei toni che nessuno si attendeva e che non sono stati cancellati di certo dall’incontro pacificatore di ieri alla Camera tra lo stesso Bocchino ed il premier. L’incidente rimane ma soprattutto accende una spia. Spia che per gli azzurri lampeggia sull’ipotesi che Fini stia cercando uno spazio politico, un modo per evadere da quella “gabbia dorata” che è la stanza di presidente della Camera.
In effetti alcuni raccontano che proprio alla vigilia delle scelte di governo ed istituzionali, all’indomani della vittoria elettorale, Fini aveva avuto più di qualche ripensamento sulla sua elezione a presidente della Camera. La preoccupazione era appunto quella di trovarsi con le mani ed i piedi legati da una carica che limita l’esposizione politica a favore di quella istituzionale. In pratica il timore di rimanere fuori dal giro. Ripensamenti che però non riuscirono ad avere la meglio ma che adesso stanno facendo sentire tutto il loro peso. Da qui il cambio di rotta, proprio per ritornare al centro del dibattito politico in un momento delicato quale quello della costruzione del Pdl. In pratica Fini non ha alcuna intenzione di rimanere a guardare e l’incontro che ha avuto due giorni fa alla Camera con Massimo D’Alema ne è un esempio. Un incontro apprezzato dal capo dello Stato e che come lo stesso D’Alema ha poi spiegato tendeva ad affrontare i temi delle riforme istituzionali sulla base del lavoro fatto da alcune fondazioni di centrosinistra. Da qui poi anche l’annuncio di un seminario organizzato dalla due fondazioni: la finiana “Fare Futuro” e la dalemiana “Italianieuropei”. Più che semplici segnali di un Fini che si sta riorganizzando. E la sua meta è il Pdl, o meglio la successione al Cavaliere. Come confermano pure le parole dello stesso ministro della Difesa La Russa che in più di un’occasione è stato fedele custode del pensiero di Fini.
Ieri, infatti, il ministro in un forum organizzato da “Il Tempo” ha chiarito che “Berlusconi è capo del governo e capo del Pdl, ma non è un capo senza altri leader nel partito. Credo che Fini in questo Pdl sia, aldilà del ruolo istituzionale, un leader naturale. Semmai, non vedo un problema di leadership, ma la necessità di dividere in due fasi il percorso del partito”. Chiaro che in Forza Italia inizino ad alzare la guardia con il capogruppo Fabrizio Cicchitto che in un’intervista a “Il Messaggero” puntualizza che “al momento com’è ovvio il leader è Berlusconi ma in futuro potremo fare le primarie per scegliere la leadership”. Ed in un partito formato per il 70 per cento da Forza Italia ed il restante 30 da An è chiaro che questo significa controllare e gestire in chiave azzurra ogni decisione sulla successione. E così a molti è sembrata quasi una reazione all’incontro di Fini con D’Alema l’annuncio di Schifani che incontrerà sia Walter Veltroni che la capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro. Un modo quasi per dire a Fini che se il dialogo si deve aprire non potrà non essere in linea con la guida politica del Cavaliere. Con la pausa estiva adesso però tutto è rimandato a settembre anche se nel conto già è stata messa qualche possibile intervista fatta sotto l’ombrellone che scaldi gli animi. Eventi chiaramente prevedibili che probabilmente con l’avvicinarsi della nascita del Pdl porteranno anche ad un aumento delle esternazioni e delle manovre finiane. Il che suona come un messaggio sia per il Cavaliere che per la stessa Forza Italia: ormai Fini ha deciso di uscire dalla sua “gabbia dorata”.