Paul Berman descrive da par suo la figura di Tariq Ramadan
04 Giugno 2007
L’autore e giornalista americano, Paul Berman, ha recentemente pubblicato un articolo di oltre cinquanta pagine su The New Republic intitolato , dal titolo “Chi ha paura di Tariq Ramadan? L’islamista, il giornalista e la difesa del liberalismo”. Nell’articolo, Berman descrive in maniera dettagliata la figura del discusso ideologo e agitatore islamista.
Ramadan può essere definito un pensatore islamista, appunto, e non islamico, laddove il suffisso “ista” indica il suo atteggiamento fondamentalista. Certamente si tratta di un abile retore, in grado di affermare tutto e il contrario di tutto, bravo a fare una cosa e a dichiarare di averne fatta un’altra. Ramadan discende da una famiglia che potremmo definire “santa” dal punto di vista dei fondamentalisti islamici: il bisnonno materno, Hassan Al Banna, è stato il fondatore della Fratellanza musulmana, e il padre, Sami Ramdan, ne è stato un esponente di spicco. Buon sangue insomma non mente.
Ramadan si è fatto strada ancora poco più che trentenne a Ginevra e oggi gode di grande fama e influenza nei circoli islamici d’Europa e non solo. A Ginevra inizia la sua carriera al Centro Islamico istituito dal padre Sami nel 1961. Poi si sposta a Lione, dove con i suoi discorsi affascinava nordafricani e musulmani di lingua francese. Anche in Gran Bretagna, dove ha trascorso un anno di studi, Ramadan ha fatto proseliti, così come nell’Europa dell’est e nelle regioni francofone dell’Africa. Grazie ai nastri registrati e a internet, si può affermare, senza tema di smentita, che sono davvero pochi i musulmani a non aver sentito parlare di Ramadan.
Paul Berman lo definisce un ideologo “energetico e carismatico”. A Ginevra, nel 1993, era prevista la messa in scena di uno spettacolo teatrale di Voltaire, “Il fanatismo, o Maometto”, e Ramadan riuscì a impedirne l’uscita, per quanto continui a negare un suo coinvolgimento nella cancellazione dello spettacolo. Era nata così una stella, almeno tra i fanatici musulmani. Qualche anno più tardi, nel 1995, divenne personaggio molto noto a Lione, quando si mise alla testa di un gruppo chiamato l’Unione dei Giovani Musulmani e creò una casa editrice chiamata Tawhid (il Tawhid corrisponde all’unicità di Dio e della religione che ne discende, ovvero l’Islam salafita, quello puro delle origini, tutto ciò che ne differisce è da annientare in nome di Allah), scriveva editoriali, frequentava i salotti buoni, parlava alla radio e appariva sulle copertine dei giornali. Divenuto docente al college de Saussure, alcuni colleghi criticarono la sua visione antidarwinista della biologia, ma Ramadan si difese abilmente, sostenendo che intendeva, lungi dal voler sconfessare il darwinismo, introdurre nella teoria del biologo inglese solo alcuni elementi legati alla visione islamica dell’origine della specie.
In Francia, la sua popolarità crebbe rapidamente; in pochi, però, erano a conoscenza della sua reale impostazione religiosa. Ramadan fece breccia anche nei cuori dell’estrema sinistra e strinse rapporti di collaborazione con la Lega Rivoluzionaria Trozkista. I comunisti vedevano (e vedono) in lui l’eroe dell’anti-imperialismo che avrebbe steso McDonald e il sistema di valori borghese. Nondimeno, tra i suoi estimatori c’erano pure esponenti della sinistra moderata, come i giornalisti di “Le Monde Diplomatique”. E c’era chi, come il filosofo e sociologo Olivier Roy, vedeva in Ramadan il traghettatore dell’Islam nel nuovo secolo.
Tuttavia, in Francia non mancavano i suoi detrattori, le femministe, ad esempio. La polizia spagnola, poi, aprì un’indagine sulle sue frequentazioni sospette negli ambienti dell’islamismo radicale di Lione. Fu allora che Ramadan si recò in Gran Bretagna. Quando il ministro degli Interni gli negò in seguito il permesso di rientrare in Francia, si scatenò un moto di opinione pubblica che produsse numerose petizioni a favore del suo rientro. Le autorità furono così costrette ad accordargli il visto. Nelle librerie presero a circolare testi biografici e sul suo pensiero. Nel 2004, Caroline Fourest, in “Fratello Tariq”, fu la prima ad accusare i giornalisti e gli intellettuali che supportavano Ramadan. Alla Fourest, seguirono Aziz Zemouri, con “Tariq Ramadan dovrebbe essere messo a tacere?”, e Ian Hamel, con “La Verità su Tariq Ramadan”. Ma anche i libri più critici contribuirono ad accrescerne la fama e Ramadan, d’altro canto, è sempre stato molto abile a ribattere alle critiche con l’uso della dialettica; a chi lo accusava di bigottismo, rispondeva che i suoi critici erano pervasi dal sacro fuoco del colonialismo, e chi lo tacciava di essere un fondamentalista veniva bollato come razzista.
I suoi anni inglesi cominciano alla Fondazione Islamica di Leicester, già famosa per aver lanciato accuse contro Salam Rushdie e i suoi “Versetti satanici” prima ancora che Khomeini emanasse il famoso decreto che condannava a morte lo scrittore. Il libro “Per essere un musulmano europeo”, che fu pubblicato dalla Fondazione nel 1999, riscosse un discreto successo e può essere considerato il primo vero “comandamento” rivolto da Ramadan al suo vasto seguito. Il testo era una sorta di vademecum per gli emigrati islamici di nuova generazione e fissava le regole dei rapporti con gli islamici rimasti nel paese di origine. Le argomentazioni addotte furono talmente convincenti da abbindolare persino uno come Daniel Pipes e questo la dice lunga sulla forza di persuasione del libro. Pipes ha poi più volte ritrattato il suo appoggio e ancora oggi si morde le mani per averlo elogiato.
Scrisse poi “L’Islam, l’Occidente e le sfide della modernità”, che non riscosse lo stesso successo del primo, ma gli valse comunque un’offerta per insegnare all’Università di Notre Dame dell’Indiana, negli Stati Uniti. Ramadan accettò di buon grado e si preparò alla partenza con tutta la famiglia. All’ultimo momento, però, il suo permesso di soggiorno venne revocato e, nonostante le numerose manifestazioni di protesta organizzate a suo sostegno, fu costretto a lasciar perdere. Gli Stati Uniti vennero accusati di maccartismo antislamico e il St. Anthony’s college di Oxford intervenne per offrirgli una cattedra. Ramadan naturalmente non si fece pregare.
In seguito riuscì comunque a far parlare di sé negli Stati Uniti. Il New York Times Magazine iniziò a occuparsi di lui con il giornalista Ian Buruma, già autore del libro “Omicidio ad Amsterdam” sulla morte del regista Theo Van Gogh. Dalla lunga intervista rilasciata da Ramadan a Buruma, emerge un profilo che scagiona l’ideologo islamista da tutte le accuse di fondamentalismo. Anzi, secondo Buruma, in termini americani egli era “un Noam Chomsky in politica estera e un Jerry Falwell negli affari sociali”. Ramadan rappresenta “un approccio all’Islam ragionato ma tradizionalista”. La giornalista Stèpahnie Giry del Foreign Affairs conferma tale immagine distorta nella recensione all’ultimo libro di Ramadan “Sulle orme del Profeta”, una biografia di Maometto. In precedenza, già Timothy Garton Ash, collega di Ramadan al St. Anthony’s, aveva tessuto le lodi dell’ideologo islamista.
Berman, in particolare, mette in evidenza l’importanza delle origini familiari nella formazione dell’ideologia e nell’attività divulgativa di Ramadan. Il suo bis-nonno, Hassan Al Banna, nel 1928 fondò la Fratellanza musulmana in Egitto, ispirandone le basi teoriche al nazismo con l’obiettivo di trasformare l’anticolonialismo in un movimento in grado di affermarsi politicamente. Banna traeva ispirazione da alcuni pensatori del diciannovesimo secolo, quali Muhammad Abduh (compagno di studi del padre di Banna) e Jamal Al Din Al Afghani dell’università di Al Azhar. Questi pensatori auspicavano un ritorno dell’Islam alla purezza originaria in contrapposizione alla modernità occidentale portatrice di corruzione. La Fratellanza musulmana fece proprie queste teorie e le tradusse a livello politico. Il movimento contava all’inizio pochi membri, ma si estese a dismisura nel corso degli anni (Siria, Palestina, Sudan, Arabia Saudita, India e Pakistan). La Fratellanza penetrò anche in Europa grazie a Said Ramadan, figlio di Al Banna e padre di Tariq. Said Ramadan fu un precoce attivista e fu incaricato di diffondere la Fratellanza e il pensiero di Banna e di Sayyd Qutb, il successore di Banna alla guida della Fratellanza. Nel suo libro “Alle radici del risveglio musulmano”, Ramadan fa un resoconto del pensiero politico di Banna, che “era a favore del parlamentarismo britannico” anche se proponeva un partito unico. La democraticità del partito, e quindi dell’intero sistema, sarebbe stata garantita dall’Islam e dalla sua natura profondamente democratica. Quello di Banna, in realtà, è una sorte di clerico-fascismo, altro che democrazia. Paul Landau, infatti, nel suo libro “La scimitarra e il corano”, descrive Banna come un nuovo Duce o un Furher. Banna, d’altronde, era amico di Aj Amin Al Husseini, il muftì che, alleato di Hitler, lo aiutò ad organizzare una divisione musulmana delle SS.
A prova di come l’ideologia di Banna e, di conseguenza dei Fratelli Musulmani e di Ramadan, si avvicini al nazismo, Caroline Fourest, in “Fratello Tariq”, riporta il testo della cosiddetta Epistola alla Gioventù scritta da Banna: “Dio è il nostro obbiettivo; il Profeta la nostra guida; il Corano la nostra Costituzione; la lotta la nostra via; la morte nel cammino di Dio è il nostro desiderio più grande; Dio è grande, Dio è Grande”. Si tratta, in sostanza, del programma politico di Banna nelle sue diverse fasi: la creazione dell’uomo islamico nel pensiero e nelle convinzioni, la creazione della retta famiglia musulmana, del giusto popolo musulmano e infine dello Stato Islamico antico. Un programma che ricorda da vicino i progetti utopistici di creazione di società perfette tutt’altro che estranei all’idea del Terzo Reich.
Da un libro di due studentesse iraniane, le sorelle Boroumand, intitolato “Islam e la democrazia in Medio Oriente”, si legge che Banna deve molto alle ideologie totalitarie europee e che “dai fascisti Banna ha anche preso in prestito l’idea della morte eroica come una forma d’arte politica”. Già, la morte eroica. Banna l’ha descritta come uno degli obbiettivi del jihad: “l’arte della morte” (fann al-mawt, in arabo). “…Ci può essere vittoria solo assieme alla maestria dell’arte della morte”. In questo senso, Buruma, pur essendo un esperto dell’influenza dei fascismi europei sulle teorie politiche islamiche, evita di fare a Ramadan domande scottanti e, allo stesso tempo, si guarda bene dall’informare i suoi lettori su fatti che conosce bene.
Nell’intervista rilasciata a Buruma, Ramadan dice di stare dalla parte dei “valori universali”, parteggia per il razionalismo che fuoriesce dal seme del dubbio, e poi precisa che “il dubbio non è cominciato con Cartesio… al giorno d’oggi esiste questa costruzione mentale secondo cui l’Islam e l’Occidente sono due mondi separati. Ma questo è sbagliato. Tutto quello che sto facendo adesso in termini di connessioni, intersezioni, valori universali che abbiamo in comune, era già tutto presente nella storia”. La domanda, allora, è: se Ramadan crede davvero che non ci siano divisioni tra Occidente e mondo islamico, perché allora si affatica a precisare che il dubbio non è cominciato con Cartesio? Ci sembra un esercizio retorico teso a dimostrare la prevalenza di una o dell’altra cultura. Lo stesso discorso vale per la frase “era già tutto presente nella storia”: perché domandarsi cosa fosse presente o meno, per stabilire un qualche tipo di precedenza?
Ramadan pensa che l’Occidente e l’Islam siano diversi oppure no? Nel suo libro “L’Islam, l’Occidente e le sfide della modernità”, si legge che “abbiamo in effetti a che fare con due diversi universi di riferimento…due civiltà e due culture”. Ne segue che Ramadan, quando si rivolge ai lettori del New York Times Magazine, dice delle cose che poi non ripete ai suoi lettori musulmani. Anzi, ai suoi seguaci islamici professa esattamente il contrario. D’altronde, le accuse di ambiguità risalgono ai tempi della Francia e quindi non sono certo una novità.
Per Ramadan la religione musulmana è un’entità omnicomprensiva che fa apparire tutte le cose in una luce diversa. Ramadan si dichiara un “salafita riformato” e cioè un credente che “protegge l’identità musulmana e la pratica religiosa, che riconosce la struttura costituzionale dell’Occidente tanto da divenire coinvolto come cittadino, almeno a livello sociale, e che vive essendo fedele alla società a cui appartiene”. Fin qui tutto bene. Quando però Buruma chiede a Ramadan di elencare alcuni filosofi “salafiti riformati” ecco spuntare i nomi di Jamal Al Din Al Afghani e Muhammad Abduh (precettori di Banna), di Sayyid Qutb e Ali Shariati (collaboratore di Khomeini). Ma c’è di più. Nel libro “Musulmani occidentali e il futuro dell’Islam”, Ramadan suddivide i salafiti riformati in diverse correnti di pensiero e si dà il caso che la sua non corrisponda con quella liberale che sembra trasparire ad arte dall’intervista di Buruma. Anche la “variante occidentale”, che dice essere la sua corrente, mira in realtà a stabilire una società islamica e in ciò sta tutta la pericolosità delle sue idee. Un’altra corrente del salafismo riformato menzionata da Ramadan prende il nome di “salafismo politico letterario”. Questa particolare corrente, come se già non bastasse la “variante occidentale”, fa da base ideologica alle “azioni violente e spettacolari”, in altre parole al terrorismo e agli attacchi contro obbiettivi occidentali.
La filosofia radicale islamica filo-nazista che considera la morte alla stregua dell’arte, proclama la differenza tra l’Islam e l’Occidente e culmina nell’avvento dello Stato islamico, è opera della mente di Qutb, amico e collega del padre di Ramadan. Qutb e Said Ramadan si sono incontrati in Egitto, dove il padre di Tariq dirigeva un mensile dal titolo Al Muslimun. Lo stesso Qutb cominciò a collaborare con tale mensile e di lì a poco avrebbe pubblicato quello che viene unanimemente considerato come uno dei testi più importanti del movimento islamico mondiale: “All’ombra del Corano”. Qutb e Said non solo si conoscevano bene, ma quest’ultimo fu anche il più importante sostenitore di Qtub in un momento d’importanza particolare, la sua ascesa come ideologo islamista.
C’è da chiedersi come mai niente di tutto questa appaia nel ritratto contenuto nel New York Times Magazine ad opera di Buruma e Paul Berman si pone proprio questa domanda senza trovare una risposta soddisfacente. Secondo Qutb e i Ramadan (padre e figlio) il mondo capitalista ha da tempo oppresso i musulmani con quella che loro chiamano “aggressione culturale Occidentale”, sostenuta in particolare dall’influenza della televisione e quindi dalla forza delle immagini. Una sorta di colonizzazione delle menti che finirà solo quando, sotto il califfato islamico, gli umani non saranno più tiranneggiati dagli infedeli ma soltanto da Dio, nelle modalità che i rappresentanti di Dio riterranno più aderenti alla legge divina rivelata nel Corano.
Mentre Qutb (che ha operato tra il 1940 e il 1960) vaneggiava un qualche Stato islamico in grado di combattere le due ideologie allora imperanti (comunismo e capitalismo), Ramadan non sogna niente di tutto ciò, ma si dice molto indignato per gli attacchi che ritiene che l’Occidente abbia rivolto al mondo musulmano. Ad esempio, considerò imperialista l’imposizione di sanzioni all’Iraq di Saddam Hussein prima dell’invasione del Kuwait. Ovviamente, tutto ciò che gli Stati Uniti fanno s’inserisce nel quadro di un complotto ordito contro i musulmani. Inoltre, Ramadan ritiene che il comportamento europeo debba modificarsi per consentire ai musulmani di vivere secondo la disciplina prevista dalla religione islamica. E ciò chiaramente presuppone all’instaurazione di un mondo dominato dall’Islam per mezzo della Fratellanza Musulmana. Perché no, in fondo, se lo stesso Ramadan presenta Maometto come una figura sempre giusta e saggia, anche quando ordina il massacro di maschi ebrei, così che possa servire da esempio? Una carneficina giustificata in nome di un’ideologia, non è, in fin dei conti, un’idea nuova.
Per quanto riguarda le argomentazioni contro gli ebrei, Ramadan ha recentemente accusato un gruppo di studiosi, tra i quali lo storico francese, Pierre-Andrè Taguieff, di difendere esclusivamente i loro interessi in quanto appartenenti alla religione ebraica ed essere degli schiavi della politica di Israele. Questi autori darebbero troppo risalto alla rinascita di un movimento antisemita in Francia su cui, stando a Ramadan, è stato fatto troppo allarmismo. Ora, a parte il fatto che Taguieff non è ebreo, ma è solo uno dei maggiori storici del razzismo in Europa, rimane da obiettare che una sorta di fomento antisemita esiste davvero in Francia. In molti ricorderanno gli episodi delle tombe scoperchiate, le aggressioni e gli atti di vandalismo avvenuti di recente. In questo caso l’obbiettivo di Ramadan era quello di colpire il senso comunitario del popolo ebraico.
Sulla guerra in Iraq, Ramadan si domanda come mai gli stessi intellettuali che avevano così aspramente condannato le guerre in Bosnia, Cecenia o Ruanda (Bernard-Henry Levy e Andrè Glucksmann, tra gli altri), erano invece a favore dell’intervento armato statunitense in Iraq. Questi studiosi, dice Ramadan, non hanno fatto altro che oscurare il complotto ordito dagli ebrei statunitensi ai danni della nazione musulmana, accreditando la tesi della lobby ebraica che manovrerebbe i politici americani e guiderebbe la politica estera dell’amministrazione Bush. Ciononostante, per quanto possa sembrare inverosimile, Buruma crede che Ramadan sia l’unico intellettuale musulmano a difendere gli ebrei. Per quanto riguarda il terrorismo, Ramadan si dichiara contrario, anche se giustifica la lotta armata palestinese e i suoi mezzi d’attacco come i terroristi suicidi che si fanno esplodere all’interno degli autobus israeliani. La violenza, in questo caso, diventa un obbligo al quale non ci si può sottrarre, è un dovere religioso.
Interpellato poi da Buruma sui diritti delle donne, Ramadan ha risposto in questo modo: “Il corpo non deve essere dimenticato. Gli uomini e le donne non sono uguali. Nella tradizione islamica le donne sono viste come madri, mogli o figlie. Oggi le donne esistono come donne”. Come sottolineato da Berman, però, Ramadan stesso si considera un femminista, anche se a modo suo. Nel dibattito sul velo nelle scuole pubbliche che tenne banco in Francia nel 2004, Ramadan si schierò affinché fosse lasciata libertà di scelta alle donne musulmane, che se volevano, avevano il diritto di portare il velo. Ma nell’intervista di Buruma, inutile dirlo, non si parla delle problematiche reali connesse alla condizione femminile nelle scuole. Non si parla del fatto che le ragazze musulmane non possono farsi visitare da medici di sesso maschile, non possono rimanere da sole con insegnanti maschi e non possono portare indumenti “succinti” da ginnastica (pantaloncini e maglietta) come le altre colleghe. Forzandole a portare il velo, i familiari di queste ragazze, in un certo senso, le ponevano in una condizione di disuguaglianza. Da questo punto di vista, quindi, come giustamente sottolineato da Berman, il punto non era il diritto delle donne di portare il velo, come Ramadan voleva far intendere, ma il suo contrario, ovvero il diritto delle donne a non portarlo. Come se non bastasse, in un dibattito televisivo tra Sarkozy e Ramadan, quando è stata chiamata in causa la questione della lapidazione per adulterio, quest’ultimo si è dichiarato favorevole ad una moratoria per i crimini di tale genere, davanti allo stupore generale e all’incredulità del politico francese.
Eppure, Buruma nell’intervista attacca Ayaan Hirsi Ali, l’autrice di “Infedeli” e della “Proclamazione di Emancipazione delle Donne dell’Islam”, che sostiene la necessità di un profondo cambiamento nella religione musulmana affinché si adatti ai tempi moderni. La Ali è stata vittima di mutilazione genitale, che alcuni si ostinano a chiamare semplicemente “circoncisione”, e per questo conosce bene le sofferenze che molte donne musulmane patiscono in alcune zone del mondo. Buruma, tuttavia, la presenta come una nemica accanita dell’Islam. Berman ricorda un suo incontro con Ayaan Hirsi Ali avvenuto in Italia lo scorso anno e di come avesse bisogno di almeno cinque guardie del corpo, allo stesso modo di Magdi Allam, che Berman considera “molto coraggioso”, e di Fiamma Nirenstein, famosa per la sua personale battaglia a difesa d’Israele. Non sappiamo se Tariq Ramadan giri abitualmente con la scorta, ma di certo queste persone che abbiamo citato ne hanno bisogno, e questo è un motivo valido per sostenere la loro onestà intellettuale. (A.H.)