Paul Ryan e i “robocop” di cartapesta
30 Agosto 2012
Fa un po’ tristezza sentire Condi Rice e John McCain che a Tampa si affannano nella contestazione a Obama dicendo che ha abbandonato i siriani al loro destino (Romney ha negato anche solo la possibilità di una no-fly zone sulla Siria) e tagliato brutalmente il budget militare per scampare alla crisi. In realtà, i tagli sono stati bipartisan, compreso Paul Ryan, che oggi fa la voce grossa ma non ha spiegato in modo altrettanto vibrante come riuscirà a evitare la collisione tra politica estera e tagli fiscali e alla spesa pubblica, realizzando il suo ambizioso piano di riduzione del debito senza toccare la spesa militare. Ryan si lamenta che il budget militare negli Usa oggi è sceso rispetto ai tempi della Guerra Fredda (sarebbe strano il contrario), ma nel suo Piano prevede una spesa governativa per il 2050 che dovrebbe incidere per il 3,7 per cento sul PIL. Considerando che la spesa per la difesa negli Usa dal dopoguerra non è mai scesa sotto il 3%, vuol dire che al governo federale resterebbe lo 0,7% per tutto il resto (Medicare, Servizi sociali, Welfare, eccetera). A meno che non si ritenga credibile uno scenario del genere, l’impressione è che il GOP stia perdendo quella idea di fondo della politica estera americana per cui maggiore spesa pubblica per l’industria militare produce più debito ma anche più sicurezza (e occupazione, innovazione scientifica, eccetera). Va bene, come fa Ryan, decantare con logica stringente ed eleganza lessicale l’eccezionalismo americano; “l’umiltà della forza” (speriamo non la passività o il fatalismo davanti alle tirannie); far coincidere “interessi” e “valori”. È un esercizio utile leggere il “Paul Ryan Neocon Manifesto”, redatto da Brett Stephens sul WSJ, ma il modello onnivoro di Stato minimo che ha in testa Romney da quando ha sposato il piano economico del suo vice non è proprio quel che si dice una “iniezione di fiducia” per chi, memore della presidenza Bush, si aspetta ancora qualcosa dall’America.