Pd e referendum mettono Prodi  in una morsa

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Pd e referendum mettono Prodi in una morsa

25 Aprile 2007

Prima della nascita del Partito Democratico in
Parlamento c’era il gruppo unico dell’Ulivo. Oggi, a fusione avviata, i gruppi
si avviano a essere tre. Quello di Mussi e gli altri che si separano in nome
dell’ancoraggio a sinistra e del richiamo al Pse; e quello promosso da Willer
Bordon, con la squadra dei “delusi dal Pd” che lamentano lo strapotere delle
oligarchie e chiedono maggiori aperture al “popolo dei gazebo”. 

Sul versante opposto Willer Bordon ha fatto la sua
personale scissione. Il presidente dell’assemblea federale della Margherita,
dopo aver scalpitato durante tutto il congresso, ha dato notizia della nascita
del “coordinamento parlamentare per la Costituente dei cittadini per il Pd”.
Una denominazione interminabile che raggruppa senatori di varia provenienza –
dipietristi compresi – attorno allo scontento di vedere la nascita del nuovo
partito egemonizzata dal binomio quercia-margherita. “Prima si afferma il
principio ‘una testa un voto’ – ha detto Bordon –  ma poi si parla esclusivamente di Ds, Dl e personalita’
non iscritte a nessun partito. Da dove usciranno queste personalita’, dalla
testa di Giove? Si vuole imporre il principio che chi e’ titolare del processo
decide chi rappresenta la societa’ civile?”.

Il Pd nasce perdendo consensi e creando una lunga
scia di malumori e risentimenti, che non sembrano affatto compensati
dall’emergere di nuove aree di adesione o di attenzione. I sondaggi più
benevoli lasciano il Pd sulla soglia del 25-27 per cento contro il 31, 3 della
raccolta alle scorse politiche, e segnalano una bassissima capacità di
attrazione verso nuove fasce di elettorato. Senza contare che le scissioni
annunciate avranno come primo effetto quello 
di sottrarre all’area del Pd un ministro, 10 senatori e 22 deputati.
Senza contare quelli, come Peppino Caldarola, che se ne sono andati già da un
pezzo.

Insomma la fusione fredda per il Pd lascia sul
terreno una preoccupante quantità di scorie destinate a rendere ancor più
radioattivo il territorio politico su cui si muove il governo.

L’area della sinistra radicale è in piena
turbolenza, non solo per gli abbracci e gli applausi raccolti dal Berlusconi a
Firenze e a Roma, ma per il sospetto che il Partito Democratico voglia forzare
a suo favore gli equilibri di governo sin da subito. Rifondazione e Pdci sono a
lavoro per preparare ogni possibile controffensiva a questa ipotesi. E intanto
progettano la conquista della vasta area che si creerà a sinistra del Pd, priva
ormai di un presidio credibile.

Tra i centristi spicca invece l’affaccendarsi di
Clemente Mastella, che ha prestato un orecchio platealmente distratto alle
vicende del  Partito Democratico, per poi
condannarlo senza appello: “doveva servire a contendere il centro a Forza
Italia e ai suoi alleati, ma la fusione tra Ds e Margherita segna l’abbandono
di quella sfida”. L’Udeur di Mastella si sente dunque chiamato – potremmo dire
nel suo piccolo – a raccogliere il testimone e ad accelerare incontri e
progetti con l’amico Casini.

Su questo panorama già pesantemente martoriato da
scismi e ricatti, plana infine la minaccia del referendum elettorale che
investe frontalmente la tenuta del governo. All’avvio ufficiale della raccolta
firme erano presenti tre ministri di rango: Giovanna Melandri, Arturo Parisi e
Giulio Santagata, oltre a molti esponenti di prima linea della maggioranza,
come Bassolino, Illy, Claudio Martini e molti altri.

Il referendum di Guzzetta e Segni, che attribuisce
il premio di maggioranza alla singola lista che prende più voti, ha sull’Unione
un effetto di ulteriore e incontrollabile frammentazione. Mette tutti gli uni
contro gli altri: non solo i piccoli contro i grandi, ma potenzialmente anche
Rutelli – fermamente contrario – e Fassino molto più possibilista. Fa
imbestialire Mastella  e Pecoraro Scanio,
arriva persino a turbare quell’empireo di perfetta soddisfazione in cui da tempo
vive Fausto Bertinotti. E per finire ha l’effetto di mettere tutti contro
Prodi.

Il governo ha oggi una maggioranza ancora più
frastagliata e instabile, un gruppo di leader in perenne competizione e la
spada di Damocle del referendum che gli pende sul capo.

Per essere solo ai suoi primi vagiti, sono già
molti quelli che vorrebbero  strozzare il
neonato Partito Democratico nella culla.