Pd e Udc giocano la carta del modello tedesco per tentare la Lega
15 Luglio 2008
Ieri D’Alema & c. hanno fatto i conti senza l’oste, giusto per citare un famoso detto populista. O senza il PdL, per dare al detto una valenza politica. E’ stato Fabrizio Cicchitto, l’unica voce dissonante nel peana per il sistema tedesco, a stoppare la manovra. Manovra che aveva uno scopo evidente: allettare la Lega Nord, rappresentata dal ministro Roberto Calderoli, con una proposta elettorale e istituzionale (cui, in realtà, il movimento di Bossi ha sempre strizzato l’occhio) in cambio di aperture sul federalismo fiscale.
A tradire le vere intenzioni del convegno sponsorizzato da quel nugolo di fondazioni che fa riferimento al centro sinistra – le più importanti delle quali erano “Italiani europei” (Giuliano Amato e Massimo D’Alema) e “liberal” (la creatura di Ferdinando Adornato, passato armi e bagagli con l’Udc poco prima delle scorse elezioni politiche) – è stato proprio l’intervento di Pierferdinando Casini, secondo cui l’Italia è un paese la cui democrazia è a rischio. E l’esempio fatto da Casini era quello dell’ultima finanziaria: “Decisa in 10 minuti al Consiglio dei Ministri e neanche conosciuta da tutti i membri del Governo e in seguito approvata in Parlamento con spazi di dibattito molto ristretti”.
D’Alema, che ha chiuso la tavola rotonda, in tarda serata è stato anche più esplicito: “L’attuale sistema elettorale è un presidenzialismo simulato che dà un premio di maggioranza al partito del capo della coalizione e che molto difficilmente potrebbe essere ritenuto all’altezza di una matura democrazia europea”.
D’Alema a dire il vero ha introdotto anche elementi di divisione tutti interni al Pd: ha dichiarato assurdo il referendum promosso da Guzzetta i cui esiti pratici potrebbero essere paragonati a quelli di “un colpo di stato”. Perché tale viene ritenuto dal leader Maximo un premio di maggioranza in capo al partito che ottenesse più voti.
Nel primo pomeriggio, in senso del tutto opposto a questo ragionamento, era invece intervenuto il solito convitato Di Pietro che, dopo avere parlato con i giornalisti dell’ “evidente ritorno di tangentopoli”, con chiaro riferimento all’ancora poco delineata vicenda giudiziaria che ha coinvolto Ottaviano del Turco e il consiglio regionale dell’Abruzzo, era subito partito alla carica contro chi “ha venduto questo meeting delle 14 fondazioni come un tentativo di rilancio del dialogo”.
A riportare tutti con i piedi per terra però è stato Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera che nel proprio intervento, che ha seguito quello abbastanza incolore di Piero Fassino, ha detto chiaro e tondo che di modello tedesco neanche se ne parla. Rovesciando in pratica il ragionamento di D’Alema: “Gli italiani vogliono eleggere la propria maggioranza e il proprio premier”. Come a dire che se l’attuale legge elettorale è da considerare una simulazione di un modello presidenziale, il rimedio non sta nel tornare indietro nel parlamentarismo alla tedesca con sfiducia costruttiva, sbarramento al 4 per cento e proporzionale pura con il Parlamento che sceglie i governi, ma fare esttamente il cammino opposto: cambiare le regole in modo che il presidenzialismo e il federalismo non siano più solo nella carta ma anche nei fatti. E dando più poteri al premier come accade in quasi tutto il resto del mondo.
In una intervista al quotidiano “Il Messaggero” Cicchitto ammoniva la Lega a non farsi tentare dalle sirene della sinistra, “per quanto riguarda la forma di governo la bozza Violante può essere una base di partenza per un confronto, mentre per quanto riguarda la legge elettorale da parte del Pdl è netto il no al sistema tedesco.”
Inoltre nessun dialogo con l’opposizione può aprirsi, secondo il capogruppo del PdL alla Camera, se non si affronta preliminarmente il nodo della riforma della giustizia “che da quindici anni sta condizionando in maniera negativa tutti i governi che si sono succeduti”.
In queste condizioni non saranno quindi le velleità professorali di queste fondazioni a riaprire i giochi, specie se il ruolo del premier rimane sul banco degli imputati della politica. Oltre che su quello della giustizia politicizzata.
E Veltroni che ha dovuto prendere parte obtorto collo alla rappresentazione di chi in realtà vorrebbe detronizzarlo dalla leadership dell’opposizione e del governo ombra, nel suo intervento ha semplicemente dichiarato che “stante l’attuale situazione politica non esiste alcun margine per la ripresa del dialogo”.
E, in fondo, tutto ciò sembra non dispiacere granché neppure a lui.