Pdl a congresso con l’incognita delle correnti che vogliono blindare Alfano

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Pdl a congresso con l’incognita delle correnti che vogliono blindare Alfano

27 Giugno 2011

Dopo l’Aula, il ‘congresso’. Clima teso nel Pdl nonostante la fiducia sul decreto legge sviluppo e la doppia verifica parlamentare incassati senza scossoni. Le intercettazioni dell’inchiesta P4 finite sui giornali, il muro della Lega sui rifiuti di Napoli e il pressing totale su Tremonti per la manovra sono i nuovi capitoli che agitano partito e governo in una delle settimane più complicate per la maggioranza.

Mille persone convocate a Roma. Mille teste e settecento voti (tanti quanti gli aventi diritto) per modificare lo statuto del Pdl e ratificare la nomina di Angelino Alfano, designato all’unanimità dall’ufficio di presidenza. Uno snodo fondamentale nella vita del partito perché un segretario politico finora non c’era nel Pdl, non c’è mai stato in Forza Italia. E ora il compito è duplice: rilanciare il progetto e lavorare al cantiere dei moderati. Per la sua storia politica e la formazione cresciuta a pane e Dc, Alfano è considerato l’uomo del dialogo coi centristi, il politico che da qui al 2013 – e meglio di altri – può interpretare la mission, nonostante i ‘niet’ che oggi Casini ripete. E in questo senso va l’incoraggiamento del governatore Scopelliti, convinto che Angelino possa trasferire su scala nazionale il modello Calabria.

Ma se questa è la cornice, nel puzzle che il segretario in pectore va componendo restano diverse incognite. Non solo nel medio-lungo termine, quanto piuttosto sulla fase attuale e su come Alfano intenda ridare nuova linfa al primo partito italiano uscito ammaccato dalla tornata elettorale e referendaria. E soprattutto, con chi lo farà. Fermo restando che la ‘svolta’ da tutti invocata muove dal superamento delle quote di rappresentanza (70-30) tra ex Fi ed ex An, la domanda ricorrente nei ranghi pidiellini è: un uomo solo al comando? Un direttorio o una segreteria politica che ne supporti l’azione? Interrogativi che agitano il dibattito interno e rimettono in pista il lavorìo di correnti, gruppi e sottogruppi in un gioco di composizione e scomposizione tanto veloce quanto difficile da decifrare e in buona parte dei casi condotto su personalismi, ambizioni, desideri di visibilità.

Dietro i buoni propositi che gli interpellati di turno declamano un giorno sì e l’altro pure sui giornali, il punto vero sono le componenti interne e il ‘peso’ che ciascuna tenterà di esercitare nelle scelte del segretario. Quelle imminenti sulla ristrutturazione del partito (nomine dei coordinatori regionali, incarichi ai piani alti di via dell’Umiltà) e in particolare quelle future sulle candidature alle politiche. E’ su questo che si muovono le pedine, si ragiona sui numeri, ci si organizza per il gran giorno (venerdì). Esercizio legittimo in democrazia, ma molto pericoloso. Il rischio vero, infatti, è anteporre le logiche correntizie al partito.

L’opposto di ciò che Alfano è chiamato a fare e ha già detto di voler fare. Certo, in quello che si profila come un ‘congresso’ i tecnicismi e i numeri servono, anche perché lo statuto dice che le modifiche devono essere approvate dai due terzi dell’assemblea: settecento voti su mille è il quorum, la soglia necessaria a inserire nella nuova ‘contituency’ pidiellina la figura e i poteri del segretario.

Già i poteri del segretario. Alfano da settimane sta sondando tutte le componenti per trovare una sintesi. C’è chi spinge per la segreteria politica e chi, invece, auspica che al segretario siano assegnati pieni poteri, cioè un mandato pieno, senza alcun livello di intermediazione anche per evitare il rischio di ‘balcanizzazione’ del partito.

L’organigramma del Consiglio nazionale è composito. Da statuto ne fanno parte parlamentari nazionali ed europei, ministri, viceministri e sottosegretari, membri dell’ufficio di presidenza e della direzione nazionale, coordinatori regionali e vice, presidenti di regioni, assessori, presidenti di provincia, sindaci dei comuni capoluogo, dirigenti nazionali del movimento giovanile e una sfilza di eletti negli enti locali. Una platea larga, dunque, ed è facile ritenere che ogni referente nazionale avrà il compito di portare a Roma un congruo numero di voti per sostenere la nomina di Alfano. Nomina sulla quale nessuno, a parole, ha mai detto di no, anche perché significherebbe contestare la designazione unanime del ‘parlamentino’ Pdl presieduto dal Cav.

La partita, semmai, si gioca sul livello immediatamente inferiore a quello di Alfano ed è lì che le correnti fanno pressing. Il target, non dichiarato, delle componenti più movimentiste – molto attivi Alemanno (che La Russa e Gasparri vorrebbero dalla loro parte) e Formigoni che secondo i rumors di Palazzo avrebbero stretto un accordo al quale guarderebbe con interesse anche l’ex ministro Scajola rivendicando, tra l’altro, un congresso prima delle politiche – sarebbe il triumvirato o quanto meno l’idea di un organismo intermedio tra il segretario politico e i coordinatori che, invece, restano pienamente confermati nei loro ruoli, con compiti operativi e di settore. C’è poi l’attivismo dei ministri di Liberamente, quello degli azzurri della prima ora che invocano il ritorno allo spirito del ’94 e quello degli ex An che soprattutto dopo l’uscita di Fini e i suoi dal partito ambiscono a occuparne lo spazio in termini di rappresentatività.

Il tentativo è affiancare al numero uno di via dell’Umiltà una sorta di segreteria allargata dove siedano tutte le ‘anime’ pidielline. Accanto a questo, l’introduzione delle primarie. Ma se sulle primarie si registra una convergenza pressoché unanime e dichiarata (con accenti diversi ad esempio per Formigoni che vorrebbe primarie anche per il candidato premier ed altri che le invocano pure per le altre cariche e persino per la scelta dei candidati alle elezioni), non è così sulle formule dei ‘direttori’ (copyright Frattini) o annessi e connessi. Perché? Sospetti e incognite.

“E’ una mossa per blindare il ruolo del segretario e condizionarne dall’interno le scelte”, spiega un deputato di comprovata fede berlusconiana, convinto del fatto che “di organismi intermedi non c’è alcun bisogno, così si torna indietro, altro che svolta…C’è un segretario che ratificheremo venerdì e i tre coordinatori. Punto”. Del resto lo stesso Alfano ha già fatto intendere chiaramente che lo schema stabilito non si cambia: un conto è dialogare con tutte le componenti (cosa che sta avvenendo anche in questi giorni), ben altro è farsi dettare l’agenda dalle logiche correntizie. Il suo è e resta un appello all’unità.

Ma da qui a venerdì, nell’agenda delle correnti rispuntano cene, riunioni, mini-vertici. Gianni Alemanno incontrerà i ‘suoi’ parlamentari; i ministri di Liberamente faranno il punto, così come gli uomini di Formigoni e domani Scajola dovrebbe convocare i fedelissimi. La partita si gioca adesso. E a come uscirà Angelino Alfano dal congresso del Pdl, guarda con attenzione anche Umberto Bossi.