Pdl e Lega firmano un compromesso. Bersani va in Aula col Pd diviso a metà
03 Maggio 2011
Era iniziata con una crisi di governo che pareva imminente, è finita con una mozione unitaria che se non sancisce proprio la pace, almeno riafferma il senso e gli obiettivi dell’alleanza. Sul dossier Libia, Pdl e Lega firmano un compromesso e chiudono il caso con un pari e patta, salvando la road map di legislatura. Oggi il voto a Montecitorio sul testo frutto del vertice di maggioranza convocato dal Cav. a Palazzo Chigi, ma se nel centrodestra ci si è intesi su una linea comune in politica estera, nelle opposizioni esplode la ‘grana’ Di Pietro, con Bersani costretto a corteggiare Casini per non perdere la faccia e arrivare al voto col suo partito spaccato a metà.
La tensione nella maggioranza si allenta, ma i problemi restano. Bossi tiene ancora il broncio al Cav. che da giorni si rifiuta di vedere e i suoi ieri alla Camera sfoderavano grandi sorrisi e toni trionfanti dopoché il capogruppo Marco Reguzzoni a tarda mattinana per primo annuncia che la quadra con il Pdl c’è e l’accordo è soddisfacente. Una mossa che ha molto a che fare con le amministrative ma che intreccia più questioni che portano in superficie il malumore dei leghisti.
Non c’è solo la Libia, anzi, per la verità c’è chi nelle file della maggioranza ritiene che in fondo quello della missione Nato autorizzata dall’Onu per rovesciare il regime di Gheddafi sia solo una ‘chiave’ per aprire altre porte. Le ‘porte’ che stanno a cuore al Carroccio, si chiamano due posti da sottosegretario nel rimpasto di governo (in particolare quello all’Agricoltura per il quale i lumbard hanno aperto un contenzioso con Alemanno che rivendica per uno dei suoi fedelissimi la stessa poltrona attualmente contesa tra l’ex Fli ora tornato al Pdl Bellotti e l’eurodeputato Berlato), il ridimensionamento del ruolo (e degli appetiti) dei Responsabili, il trasferimento della sede Consob a Milano come pure quello del centro di produzione Rai, il vicesindaco di Milano per il quale sembra in pole position l’eurodeputato Matteo Salvini, la difesa di Tremonti dal fuoco amico, il caso Parmalat-Lactalis che il Carroccio spera di poter riaprire, la gestione del capitolo immigrazione e i rapporti tra Italia e Francia.
Un ‘pacchetto’ che con molta probabilità il Senatur metterà sul tavolo del Cav. nel faccia a faccia che ieri sera alla cena coi senatori, il ministro delle Riforme ha annunciato a breve, giocando al rialzo per ottenere il massimo possibile. Ma non è detto che la strategia leghista vada in porto perché a fare i conti senza l’oste (il Cav.) si rischia che alla fine i conti non tornino.
Nei commenti in Transatlantico molti deputati pidiellini non nascondono una certa insofferenza per le ‘intemerate’ del Carroccio, perché al di là della ritrovata intesa sul capitolo – delicatissimo – della politica estera, non va giù il modo col quale si è imbastita tutta la vicenda in una fase complessa che sul piano internazionale rischiava di esporre al ridicolo l’Italia nel rapporto con gli alleati e sul piano interno di pregiudicare la stabilità della maggioranza e del governo. Non a caso c’è chi parla di un premier irritato per l’atteggiamento del Senatur, nonostante abbia lavorato per ricucire lo strappo e anche ieri abbia ribadito nel vertice di maggioranza che la priorità è restare uniti e marciare compatti. Se la Lega canta vittoria, a ben guardare il testo che oggi va al voto contiene più di una limatura e su passaggi strategici, che il Pdl ha voluto inserire tra gli ‘aggiustamenti’.
L’idea di fondo la riassume Berlusconi a Palazzo Chigi quando invita i capigruppo a mantenere una posizione di equilibrio capace di tenere nel giusto contro la contrarietà degli italiani alla guerra in Libia (cita un sondaggio dove i no sono il 72 per cento) e la necessità di rispettare gli impegni internazionali assunti con gli alleati. E’ su questo che l’intesa poche ore dopo si traduce in un testo condiviso.
Sono tre i filoni lungo i quali si è arrivati a una mediazione. Il primo riguarda i ‘tempi certi’ della missione: nel testo originario del Carroccio si chiedeva di fissare una data chiara entro la quale stabilire il disimpegno dell’Italia. Adesso c’è un passaggio fondamentale sul quale il Pdl ha puntato molto. Sta nella frase “in accordo con le organizzazioni internazionali e con i paesi alleati”. Il che significa che l’Italia non potrà svincolarsi a suo piacimento come volevano i leghisti ma dovrà concordarlo con Nato e Onu. Un margine di manovra più ampio per il governo che non può certo permettersi di ipotecare la propria credibilità di fronte alla comunità internazionale, posto che lo stesso Berlusconi ha sempre ribadito che l’intervento in Libia non solo non può essere all’infinito ma per quanto riguarda il nostro paese, deve limitarsi a colpire solo obiettivi militari selezionati.
Concetto ribadito dal ministro della Difesa La Russa che a Ballarò rivela un elemento finora non noto: “Su mio input con la Nato è stato concordato che nel comando ci sono due ufficiali italiani con un metaforico cartellino rosso. Se la missione non ci appare in sintonia con la volontà di impedire che i civili vengano colpiti, gli aerei italiani non partecipano a quella missione. E questo lo fanno solo italiani”.
E se ieri mattina Luciano Sardelli, capogruppo dei Responsabili, subito dopo il vertice ipotizzava un periodo di tre mesi, si può comprendere come il ragionamento su un coinvolgimento il più possibile breve in Libia sia un tema condiviso nella maggioranza. Non solo: il premier ha sempre ribadito la sua perplessità ad ipotesi che possano contemplare il coinvolgimento di truppe di terra e nella mozione unitaria questo passaggio è riportato con chiarezza. Senza dubbio quando si partecipa a un’operazione militare non si possono stabilire a priori tempi e modi, e del resto dalla Nato fanno sapere che fissare una ‘deadline’ è impresa complessa, ma è altrettanto vero che molti nella maggioranza e nelle stesse file leghiste seppure a taccuini spenti, dubitano che alla fine sarà davvero possibile. Domani è probabile che il ministro Frattini affronti la questione nella riunione del gruppo di contatto per la Libia che si riunisce a Roma, cercando insieme agli alleati di stabilire un termine delle operazioni militari. Tuttavia resta il fatto che nessuno crede che di fronte a un eventuale ‘no’ della Nato, la Lega potrà permettersi di far saltare governo e legislatura. Ciò significa – osservano alcuni deputati pidiellini – anche tenere il punto con gli alleati e in particolare con la Francia che sulla Libia ha interessi più geopolitici ed economici che attenzione alla tutela della popolazione dagli attacchi di Gheddafi.
Il secondo filone riguarda i costi della missione: nella mozione originaria del Carroccio c’era scritto che si impegna l’esecutivo “a non determinare aumenti della pressione tributaria finalizzati al finanziamento della missione in oggetto, operando nell’ambito degli stanziamenti ordinari per la difesa”. Quest’ultima parte sugli ‘stanziamenti ordinari’ è stata tolta. Frutto della mediazione è stato anche l’inserimento nel testo dell’impegno a rivedere la quantità di missioni militari all’estero: in particolare al governo si chiede di dare “esecuzione al piano di razionalizzazione delle missioni già in corso" che riguarderebbe Libano, Kosovo e Afghanistan, ma anche in questo caso, in accordo con gli alleati. La Russa ricorda che la questione non la scopre ora la Lega, perché da tempo c’è “un impegno per ridurre tutte le missioni militari. Anche con l’accordo del Presidente della Repubblica” che presiede il Consiglio supremo di Difesa.
Sarà anche da questo piano di razionalizzazione che si determinerà la necessaria copertura finanziaria per sostenere la missione in Libia e comunque non ci sarà alcun innalzamento della pressione fiscale – vedi aumenti delle accise sui carburanti – per i cittadini. Vedremo gli effetti nei prossimi giorni. Il ministro Altero Matteoli la mette giù così: “Abbiamo preso un’aspirina, siamo in fase di guarigione”. Il tempo e soprattutto l’esito delle amministrative diranno se la cura era azzeccata.
Se la maggioranza va al voto con una mozione unitaria, l’opposizione va in Aula in ordine sparso. Ieri il Pd ha tentato a lungo un pressing sull’Idv firmatario di una mozione che dice no all’intervento in Libia. Ci ha provato Franceschini con Donadi insistendo su fatto che se i dipietristi rinunciano alla parte della loro mozione dove parlano esplicitamente di bombardamenti si potrebbe arrivare a documenti condivisi. Il problema per il Pd non è di poco conto visto che la mozione democrat è favorevole all’operazione Nato e dunque di sostegno alla decisione del governo. Ma a questo punto dovrebbe lasciare il campo (elettorale) tutto nelle mani di Di Pietro che non a caso non è intenzionato al dietrofront.
Il Terzo polo, con Casini, ha già annunciato la “disponibilità a votare la mozione del Pd”, ma non quella dell’Idv. Risultato finale: il massimo livello di coesione che per ora sembra raggiungibile è che democrat e terzopolisti sostengano a vicenda le rispettive mozioni. Un po’ poco per Bersani che oltretutto dovrà fare i conti pure con l’ala pacifista del suo partito per nulla disposta a votare la mozione. Una componente trasversale che va dalla sinistra ai cattolici (specie quelli vicini a Fioroni) e ha tra i protagonisti Enrico Gasbarra, Gero Grassi e Vincenzo Vita. Il Pd, dunque, tenterà fino all’ultimo la mediazione per arrivare a un nuovo testo che tenga conto delle perplessità dei pacifisti democrat e salvi l’immagine di un partito che rischia di presentarsi al voto spaccato a metà.
Il paradosso è che anche stavolta le opposizioni erano convinte di dare la spallata al Cav. puntando sullo strappo con la Lega , ma alla fine si ritrovano con mozioni diverse, lacerazioni interne e voti a perdere.