Pdl, guerra di nervi in vista del vertice col Cav. Fini pronto ai gruppi autonomi

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Pdl, guerra di nervi in vista del vertice col Cav. Fini pronto ai gruppi autonomi

29 Luglio 2010

E’ una guerra di nervi. Che si consuma da ore in un fuoco incrociato di mosse, riunioni, contatti. Da un lato la maggioranza del Pdl, dall’altro la pattuglia dei finiani. Tutto in attesa del vertice col Cav. a Palazzo Grazioli che tra tre ore potrebbe sancire la rottura definitiva tra Fini e Berlusconi. Le prime avvisaglie già stamani a Montecitorio coi commenti alle dichiarazioni di Fini dalle colonne de Il Foglio nella conversazione con Giuliano Ferrara. 

Il segnale distensivo che l’ex leader di An prova a lanciare per evitare che il vaso ormai incrinato finisca in mille pezzi, viene considerato dai berlusconiani come “tardivo” e “sospetto”. Non ci capisce perché – è il ragionamento – Fini dopo “tutto quello che ha detto e non ha fatto per fermare, smentire, prendere le distanze dalle accuse che i suoi pretoriani Bocchino e Granata da settimane rivolgono a mezzo partito e al governo – si svegli adesso che la frittata è fatta”.

Il “sospetto” sta nell’idea che possa trattarsi dell’ennesima “tattica per portare avanti la guerriglia dentro il Pdl. Della serie: un piccolo passo indietro per calmare le acque e poi ripartire”. I finiani non si scompongono e già di buon mattino le dichiarazioni sulle agenzie di Bocchino&C. segnalano che se sarà rottura, non sarà dipeso da loro. Dai commenti ai fatti. Sono da poco passate le undici e a Montecitorio si votano gli ordini del giorno sulla manovra economica.

Tra i banchi della maggioranza mancano diciassette finiani e la cosa non sfugge ad alcuni deputati pidiellini tra i quali Giancarlo Lehner che denuncia la mossa di Bocchino “che sta chiamando  al telefono alcuni deputati del Pdl esortandoli ad uscire dall’aula per far andare sotto la maggioranza”. E aggiunge: “In pochissimi danno retta al telefono nemico perché tra gli ex An la maggioranza è fatta di persone leali”.  Il voto va avanti senza colpi di scena per il centrodestra.

Il diretto interessato smentisce e sbotta: “Macchè… siamo qui a fare il nostro lavoro”. Più o meno in contemporanea arriva la notizia che il Pdl ha presentato i propri candidati per l’elezione degli otto membri laici del Csm ma non voterà Nino Lo Presti, nome indicato da Fini. Una mossa che appare tutta calibrata sul redde rationem che per il Cav. ormai è inevitabile, nonostante gli auspici e gli appelli delle “colombe” : da Alemanno a Matteoli, a un diplomatico La Russa che commenta l’aria a Montecitorio sottolineando che “è in arrivo una perturbazione…”, poi aggiunge che la candidatura di Lo Presti al Csm non ha nulla a che vedere col fatto che sia un uomo di Fini.  

Anche se c’è chi nelle file della maggioranza legge il "veto" sul candidato in quota al presidente della Camera come “l’ultimo avviso ai naviganti, prima della tempesta”. Passano pochi minuti e Bocchino chiama a raccolta i suoi per fare il punto della situazione: nonostante le votazioni in Aula lo raggiungono diciotto parlamentari (gli stessi che i berluscones davano in odore di boicottaggio e che invece erano a colloquio col vicecapogruppo, nonché leader di Generazione Italia) per fare il punto della situazione. Rapido consulto anche con il presidente della Camera.

Ma c’è chi tra i banchi della maggioranza non eslcude che quella riunione convocata nell’ufficio di Bocchino sia servita in realtà a preparare la contromossa se dal vertice di stasera si uscirà con la rottura definitiva: la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo. Le voci si rincorrono in Transatlantico: chi parla di una raccolta di adesioni alle quali avrebbero già detto sì una ventina di parlamentari di stretta osservanza finiana e chi aggiunge che "alla fine saranno pochissimi". Se ciò accadrà (la decisione definitiva potrebbe essere presa domani) , forse Italo Bocchino potrà finalmente coronare il suo sogno: fare il capogruppo.

L’aria si taglia col coltello a Montecitorio e non si parla d’altro se non del vertice che stasera dovrà dire una parola definitiva, in un modo o nell’altro: chiarire e siglare la tregua oppure sancire la rottura, mettere un punto e andare accapo.

Ma se il buongiorno si vede dal mattino come recita un vecchio adagio popolare, il fatto che Berlusconi e Fini, distanti solo pochi metri nell’Emiciclo di Montecitorio, si siano ignorati reciprocamente, racconta già molto di quello che tra tre ore sarà.