Pdl, il giorno dopo. Alemanno riflette, Alfano sprona Letta
10 Giugno 2013
di Ronin
La sconfitta ai ballottaggi – Roma e gli altri capoluoghi tutti finiti nelle mani del Pd – riapre il fermento all’interno del Pdl. Ieri Silvio Berlusconi non ha commentato i risultati, almeno non ufficialmente, mentre nelle due anime del partito, ex An ed ex "forzisti", sembra riemergere la tentazione di ridare vita a esperienze del passato per fare i conti con il presente.
Nella girandola dei boatos c’è chi pensa a un nuovo soggetto di destra. C’è chi guarda con poca fiducia al Governo Letta. C’è chi si chiede cosa farà Gianni Alemanno. Chi si affida ai sondaggi che a livello nazionale sembrano premiare ancora il partito a trazione berlusconiana. Ma con Grillo ridimensionato e Renzi che va a raccogliere il risultato in prima serata a Piazza Pulita, l’impressione è che far "saltare" l’Esecutivo prima del tempo o scuotere il Pdl dalle fondamenta sarebbero due mosse azzardate dal punto di vista elettorale.
In realtà il trattenuto scetticismo che accompagna spezzoni del Popolo della Libertà, quando si affrontano i piani economici del Governo o la natura del processo riformista appena avviato, nasce da una sottovalutazione dell’Esecutivo: molte delle riforme di cui si parla in questi giorni sono nel dna del centrodestra fin dalla discesa in campo del Cavaliere.
Quelle idee sono venute meno nella loro complicata realizzazione con il passare degli anni e oggi, in un contesto di crisi economica acuita dalla debolezza dei partiti e della cornice istituzionale, l’unica strada percorribile sembra davvero quella di mantenere la parola, rispettando gli impegni presi quando si chiese a Napolitano di tirare fuori la politica dalla palude.
Spingendo sul terreno riformista, il Pdl può dare un segnale chiaro a quei milioni di elettori che sembrano non fidarsi più di nessuno. Vanno lette in questo senso le dichiarazioni del vicepremier e segretario Alfano, che stimola Letta a dare una missione chiara alle larghe intese. Missione difficile, perché le riforme non sembrano a portata di mano.
L’alternativa però sarebbe il fallimento di una intera classe dirigente. E l’antipolitica rialzerebbe di colpo la testa. Invece di un partito estenuato dalle rivalità o di improvvisare operazioni di restyling, si provi a persuadere l’elettorato più mobile, indipendente, che non vota ma probabilmente tornerebbe a farlo se vedesse che le promesse vengono mantenute. E allora anche una ricandidatura di Silvio Berlusconi ne uscirebbe rafforzata.