Pechino ’08: la fiaccola olimpica incendia Parigi

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Pechino ’08: la fiaccola olimpica incendia Parigi

07 Aprile 2008

Da
Londra a Parigi monta la protesta contro il simbolo delle prossime Olimpiadi,
quella fiaccola “Fuoco sacro della concordia” accesa in
Grecia il 25 marzo scorso e destinata – salvo imprevisti – a raggiungere
Pechino l’8 agosto, data d’inizio dei Giochi cinesi.

C’è chi manifesta
pacificamente il suo dissenso sulla politica del regime contro il popolo
tibetano e c’è chi soffia sulla polemica forzando i toni e i contenuti della
campagna internazionale, lasciandosi andare ad azioni dimostrative del tutto
gratuite e inopportune.

C’è chi sostiene apertamente le prese di posizione
ufficiali espresse da governi e altre istituzioni e c’è chi risponde
immancabilmente all’appello di ong e altri network sociali sempre solerti
nell’attivare qualsivoglia mobilitazione, più o meno organizzata e più o meno
motivata. Nel caso francese hanno fatto effetto innanzitutto le recenti
dichiarazioni di Nicolas Sarkozy e del ministro degli Affari esteri Bernard
Kouchner, entrambi molto decisi nel voler mettere pressione su Hu Jintao e sui
suoi collaboratori.

Il resto l’hanno fatto clamorose iniziative locali, come
quella dello striscione esposto sulla facciata dell’Hôtel de ville per
iniziativa del sindaco Delanoe e dell’amministrazione metropolitana, “In difesa
dei diritti dell’uomo ovunque nel mondo”.

Buoni ultimi, Ségolène Royal e altri
leader minori si sono infine espressi per la riconsiderazione dell’ipotesi
boicottaggio, in realtà una pista considerata “impraticabile” per esplicita (e
unanime) ammissione della totalità dei comitati olimpici nazionali,
continentali ed extraeuropei. A proposito dei comitati e dei Giochi che si
fanno sempre più duri: la notizia del giorno è proprio il primo, timido eppure
quantomai significativo, pronunciamento del Cio
di Losanna sul merito degli ultimi accadimenti, con un inedito riferimento alla
situazione interna cinese.

“Facciamo appello per una soluzione rapida e
pacifica della crisi in Tibet, che ha scatenato un’ondata di proteste nel
mondo” ha lasciato detto il presidente Jacques Rogge, comunque rammaricato per
gli incidenti, per le interruzioni sul percorso e per il clima generale di
tensione venutosi a creare attorno all’evento Pechino 2008. Il ghiaccio s’è
dunque rotto anche dalle parti della fredda, cinica autorità dello sport
internazionale, organismo neutralissimo ma non per questo meno influente o poco
decisivo sugli assetti di diplomazie e sistemi di cooperazione tra stati,
magari per lo sfruttamento del business attorno alle grandi manifestazioni. E
chissà che a questa esortazione non ne seguano poi altre, in consonanza
d’intenti con quelle mosse rispettivamente dei governi Bush, Brown e Merkel,
tra i tanti i più solerti.

Frattanto per mercoledì si annunciano ulteriori
manifestazioni di dissenso sulle strade di San Francisco, da dove il corteo
olimpico riprenderà la sua lunga marcia. L’importante non è spegnere la
fiaccola, l’importante è partecipare (a una campagna liberale).