Pechino vuole la luna e ha già un plotone di Taikonauti pronto all’azione
29 Settembre 2008
Missione compiuta. Zhai Zhigang, Liu Boming e Jing Haipeng sono ritornati, tutti e tre sani, salvi e pieni di allori, ovviamente. I tre taikonauti cinesi (cosi li chiamano in Cina per permettere alla popolazione, al pari dei cosmonauti russi e degli astronauti americani, di dare un nome “nazionale” ai propri eroi cosmici) hanno effettuato la prima “passeggiata nello spazio” nella storia nazionale cinese.
Una missione avvenuta tra il 24 settembre e il 26/27 settembre scorsi. Breve, se non brevissima, la missione ha avuto inizio con il lancio del missile, dal nome tutto evocativo, Lunga marcia 2f, il quale ha proiettato in orbita la capsula Shenzhou-7 (letteralmente Vascello celeste) con i suoi tre taikonauti a bordo. Solo 68 ore in orbita e un contatto umano con lo spazio di poco più di 20 minuti, contro i 40 previsti. Insomma più che uno “space walk” ovvero una passeggiata spaziale, quella della missione cinese è parso poco più che un giretto nel vuoto ma dai forti contenuti simbolici, tanto per il governo cinese quanto per la popolazione.
Infatti, incassando il successo di questa missione, la Cina popolare è divenuta il terzo paese al mondo ad aver messo un proprio uomo in condizioni di “passeggiare” lassù, nello spazio. Dopo Edward White e Alexey Leonov, rispettivamente l’americano e il russo che nel 1965 effettuarono le prime ”space walk” nella storia dell’umanità, i tre cinesi (e con loro tutta la Cina) si possono fregiare oggi di essere i primi asiatici ad aver raggiunto questo obiettivo.
Rincorsa tecnologica cinese
Sin dal 1970, anno in cui il primo satellite cinese popolare fu lanciato in orbita, la Cina popolare persegue un riavvicinamento tecnologico in ambito aerospaziale nei confronti di Stati Uniti e U.R.S.S./ Russia, al tempo e forse ancora oggi, le due maggiori potenze tecnologiche del settore.
Proprio con la Russia il governo cinese intrattiene, tra l’altro, una collaborazione risalente al 1989 prima (anno in cui Gorbachev e Deng Xiaoping rifondarono le relazioni sino-sovietiche dando il là ad un processo di distensione che oggi più di ieri produce i suoi effetti, vedi ONU, manovre militari comuni, collaborazione energetica, et cetera ) e rinnovata poi nel 1996 da un trattato dal contenuto segreto, che ha permesso agli scienziati cinesi di accedere al know how aerospaziale post-sovietico.
Nel 1992 la leadership cinese dava il via libera all’obiettivo “uomo nello spazio”. Dopo molti lanci e test con animali, miglioramenti tecnologici (anche di fattura russa), nel 2003 l’agenzia spaziale cinese raggiungeva finalmente il suo obiettivo: l’ex pilota di jet, Yang Liwei, era spedito in orbita geo-stazionaria e restandovi per ben 21 ore. Il 2005 è l’anno del lancio dello ShenZheng 6: questa volta due astronauti a bordo. La missione: compiere 75 orbite intorno al globo terrestre. Anche quest’ultima con successo.
A tappe forzate e “in modo molto metodico”, come ricorda Dean Cheng, analista cinese intervistato di recente dalla CNN sul dossier, i cinesi in poco più di trent’anni, hanno colmato gran parte del divario tecnologico nei confronti delle due potenze del settore e si accingono a perseguire l’obiettivo lunare di qui al 2020.
Tutti sulla Luna
Il governo cinese popolare non fa mistero di ambire a piantare una propria bandiera nazionale sul territorio lunare entro il 2020. Un programma aerospaziale è stato creato all’uopo: il suo nome è Chang’e. Con questo programma i cinesi prevedono di far atterrare un veicolo lunare entro il 2012, e di lanciarne un altro nel 2017 questa volta capace di prelevare e riportare campioni di materia lunare sulla terra. L’obiettivo “taikonaut on the moon” è dato per possibile solo per l’anno 2020 in realtà anche se Ouyang Zeyuang, capo scientifico del progetto Chang’e, spera addirittura per il 2017.
Nel frattempo non solo la Cina accarezza il sogno di un primo sbarco lunare o di un ritorno: innanzitutto la Nasa statunitense non cela di volervi ritornare proprio per il 2020. Il programma lunare statunitense appare in stallo, soprattutto per un cambio di tecnologie in corso. Un esempio fra tutti: il famoso Shuttle sta per andare in pensione, prevista per il 2012, e il nuovo apparecchio, chiamato a sostituirlo, sarà pronto solo per l’anno 2015. Si sa che durante quei tre anni di vacanza, gli USA faranno uso di un velivolo, niente di meno che, russo. Alla NASA sanno che, almeno che qualcosa non cambi alla Casa Bianca, poco potrà essere fatto per accelerare la data 2020.
Anche la Russia prevede di potersi impegnare in una missione di atterraggio sul suolo lunare solo per il mitico 2020 (ormai candidato ad anno principe per il sequel del capolavoro di Kubrick). Ma anche altre potenze regionali asiatiche ambiscono a un atterraggio sul suolo del nostro satellite: l’India prevede di poter atterrare sulla Luna, addirittura per il 2018. Gli indiani hanno fatto importanti progressi negli ultimi anni nel settore della missilistica che ha anche importanti ricadute sul piano militare.
Negli anni gli scienziati del sub-continente indiano hanno condotto una serie di collaborazioni in ambito spaziale con il Giappone, il quale ha fornito loro un importante know how.Proprio il programma del Giappone assieme a quello della European Space Agency (Agenzia Spaziale Europea) di fatto in mani francesi, rimangono le due incognite nel grande risiko strategico della corsa alla Luna. Ciò che è certo, come conferma sempre lo stesso Dean Cheng, della Cna corp, è che “Beijing ha dimostrato di saper fare delle cose che solo USA e Russia sino a questo momento sapevano fare. La Cina è oggi sicuramente al pari di E.U. e Giappone quanto a voli nello spazio.”
Ricadute politiche del successo della missione
Il governo cinese conquista, con il successo di tre giorni fa, alcuni grandi vantaggi. Primo fra tutti consolida la propria immagine sul piano interno, già rafforzata dal successo delle Olimpiadi dello scorso agosto, e lo fa con un controllo molto efficace dell’informazione.
La copertura mediatica, e la sovraesposizione del governo durante il lancio, è stata molto ben gestita. Inutile ricordare di come le autorità cinesi siano riuscite a gestire, durante gli ultimi sei mesi, con disciplina autoritaria, crisi interne e eventi globali. Innanzitutto la crisi tibetana, il terremoto nel Sichuan, o ancora le Olimpiadi e, di recente, lo scandalo del latte. Salvo qualche sbavatura (come l’uscita di un’agenzia, munita di foto, dell’avvenuto decollo del Shenzheng 7 con varie ore di anticipo sull’effettivo decollo) anche questa volta il governo ha gestito con perizia l’evento.
Secondariamente la Cina si posiziona definitivamente sul mercato dei sistemi satellitari in posizione di forza al motto “se alle nostre tecnologie affidiamo i nostri uomini, voi (imprese e Stati) perché non dovreste metterci i vostri soldi?”
Infine Beijing vede accrescere il proprio prestigio militare-scientifico. Il successo dell’ultima missione porta con sé un segnale molto chiaro: il mondo, d’ora in avanti, anche in ambito aerospaziale, dovrà fare i conti con loro, con la loro motivazione e la loro ambizione.