Peggio del capitalismo di ventura c’è solo il socialismo da casinò
17 Dicembre 2008
Nel momento in cui enormi perdite da parte di investitori grandi e piccoli mettono in discussione la nostra fiducia nel potere di auto-regolamentazione dei mercati, fiducia che è rimasta invariata per un quarto di secolo, il capitalismo di ventura si è fatto una brutta nomea. Mentre la recessione globale si allarga a macchia d’olio, infatti, incolpare il libero mercato sembra quasi diventata una reazione automatica. Attualmente i mercati vengono descritti come non regolati e quindi irresponsabili, dei mostri che fagocitano i risparmi e i fondi pensione ottenuti col duro lavoro dei cittadini.
E’ per caso finito il consenso nato nel Dopoguerra verso l’economia mista? (quell’economia guidata dal mercato con diversi ma comunque esigui livelli di redistribuzione sociale) Se è così, cosa dovremmo aspettarci? La risposta, basata su alcuni mesi di esperienza con i programmi di aiuto economico in giro per il mondo, suona più o meno questa: aiuti governativi in gran parte non regolati, regolamentazione rampante, e politiche di corto respiro basate sul “panico” e sull’interventismo piuttosto che sulla ragione. Il pacchetto di aiuti da 700 miliardi di dollari del tesoro Usa era soltanto l’inizio.
È vero, dovremmo sempre aspettarci risultati di questo genere quando lo Stato decide di interagire con i mercati in maniera greve, ma non sa ancora come farlo. Al Tesoro Usa servivano “disperatamente” questi 700 miliardi di dollari per comprare le azioni dei mutui a rischio; ma una volta incassati i soldi, non ha comprato le azioni. Adesso il Segretario Paulson vorrebbe tagliare i pignoramenti e forse rivedere al ribasso i tassi di tutti i mutui esistenti, ma per farlo ha bisogno di più soldi. Anche questo però sarebbe niente in confronto a ciò che aspetta la squadra di Obama e Geithner. La New York Fed ha tenuto a galla l’AIG con un prestito da 85 miliardi, seguito da una ristrutturazione a opera del Tesoro e della Fed di ulteriori 40 miliardi; questa volta in equity della stessa AIG.
I “Big Three” potrebbero avere presto uno “Zar delle Macchine”, come condizione per accedere al prestito salva-vita, ma gli è stato comunque negato di far parte del programma di aiuto (Asset Recovery). C’è ancora una speranza di entrare a far parte di questo programma per il ramo finanziario della GMC, GMAC. Il Capitale della GE ha ottenuto 139 miliardi in garanzie dall’FDIC. Poi c’è Citibank. Ora i finanziatori di prestiti per auto, i distributori di carte di credito (AMEX), i fornitori di ricambi per auto, gli uffici dell’Avis, i finanziatori di prestiti per studenti e i governi locali e statali (specialmente nelle grandi città) stanno facendo anche loro la fila. Perché qualcuno dovrebbe stupirsi del fatto che queste grandi compagnie stanno in fila per i viveri come nel ’29, mentre chiedono l’elemosina alla maggior parte dei contribuenti che a loro volta vengono ripagati con zero discrezione e standard di trattamento poco intellegibili?
Questo tipo di aiuti portano i segni degli eccessi di capitalismo, reso addirittura stratosferico dall’invocazione del potere statale. È già abbastanza grave bluffare con i fondi pensione di zio Harry sui pacchetti di azioni dei mutui, ma mettere addirittura a rischio il credito del governo Usa – non soltanto selezionando vinti e vincitori di questa turbolenza finanziaria, ma facendolo senza disciplina alcuna, con poca conoscenza dei prezzi e nessuna idea di come saranno le industrie del futuro, è anche peggio.
Questa completa mancanza di disciplina, d’altronde, è sempre più spesso denunciata sia da Wall Street che dalle altre grandi piazze d’affari. Quando però il “governo –salvatore” tenta di ricalibrare il nostro intero universo di investimenti, gli viene concesso il beneficio del dubbio (bisogna riconoscerlo, con le critiche della stampa finanziaria e della comunità dei think-tank).
Un comportamento altamente rischioso è del tutto endemico soprattutto quando il governo bypassa le decisioni del mercato. In questo caso arriverà comunque qualcosa di positivo (secondo la teoria dell’orologio fermo che è preciso almeno due volte al giorno), ma non esiste un governo che possa schierare le sue forze con la stessa efficacia di un mercato efficiente. Anche questo è un problema morale, visto che l’inefficienza pianificata sacrifica per definizione la creazione di benessere, di lavori, di innovazioni e l’innalzamento degli standard di vita. Sfortunatamente i governi commettono errori che raramente vengono puniti nello stesso modo in cui un mercato efficiente punirebbe decisioni sbagliate, prodotti o servizi scadenti.
Regalare 15 miliardi di dollari (presto saranno 35 e forse di più) ai produttori di auto di Detroit che sono in via di fallimento è un po’ come obbligare ogni cittadino che paga le tasse a comprare una Chevy, a parte il fatto che non gli si darebbe quella macchina e che loro neanche l’avrebbero comprata. Questa scelta de facto da parte del governo di vincitori e vinti (che significa che i politici stanno scegliendo quali industrie dovranno affrontare le dure regole del mercato e quali no) è meno attendibile e più orientata a errori madornali e distruzioni di capitali di quanto potrebbe esserlo la peggiore crisi possibile di Wall Street.
I politici dichiarono che questi eccessi sono soltanto temporanei, ma quando è stata l’ultima volta che la giurisdizione politica e burocratica delle nostre vite, una volta acquisita, è stata ritirata volontariamente? Il risultato potrebbe essere che, negli anni a venire, saranno i politici a “bluffare” con i nostri soldi al posto dei banchieri. In effetti stiamo scambiando il “Capitalismo da Casino” per una nuova era di “Socialismo da Casinò”.
Il socialismo dei mercati è già abbastanza malvagio. Il Capitalismo da Casinò è un problema che tutto sommato possiamo anche gestire. Ma il Socialismo da Casinò, storicamente, ci ha sempre portato in un vicolo ceco economico, è una cosa che unisce il peggio dei due sistemi economici.
George A. Pieler è un ricercatore dell’Institute for Policy Innnovation. Jens F. Laurson è il caporedattore dell’International Affairs Forum.
Traduzione Andrea Holzer
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