Pensare al referendum è una forzatura, meglio le elezioni subito
01 Febbraio 2008
di Nicolò Zanon
Il mandato affidato dal Presidente della Repubblica al
Presidente del Senato consiste in ciò: “verificare le possibilità di consenso
su un preciso progetto di riforma della legge elettorale e di sostegno a un
governo funzionale all’approvazione di quel progetto e all’assunzione delle
decisioni più urgenti in alcuni campi”. Il Capo dello Stato non fornisce, e non
potrebbe del resto farlo, indicazioni specifiche circa il contenuto del nuovo
sistema elettorale, a parte qualche generico accenno alla necessaria stabilità
politica e all’efficienza istituzionale.
%0A
Napolitano non dice: voglio “una” particolare legge
elettorale. Però dice: vorrei che voi forze politiche cambiaste la legge
elettorale che c’è. Anzi, piuttosto che sciogliere le Camere e far votare il corpo
elettorale cerco comunque di dar vita a un Governo che realizzi questo
obbiettivo.
Non è chiarissimo se Marini abbia avuto un incarico da mero
“esploratore” o se invece si tratti di un mandato per un Governo “a tema”,
presieduto da lui stesso, ma questa seconda possibilità sembra meglio
descrivere la volontà del Quirinale. Non discuto qui se un tale incarico sia
conforme alla prassi o invece inusuale (come credo). Mi chiedo invece cosa
potrà accadere ora, dal punto di vista costituzionale.
Prima ipotesi: se Marini mette insieme il consenso ampio che
cerca sulla legge elettorale e ritiene di poter dar vita a un Governo in grado
di ottenere la fiducia delle Camere, deve tornare dal Capo dello Stato,
sciogliendo in positivo la riserva. Sarà così nominato ufficialmente Presidente
del Consiglio e proporrà al Capo dello Stato la lista dei ministri. Il Governo
sarà così ufficialmente in carica al posto dell’esecutivo di Prodi, ma entro
dieci giorni dal giuramento dovrà presentarsi al Parlamento per ottenerne la
fiducia.
Seconda ipotesi: Marini non riesce a trovare spazi utili di
consenso. Egli torna al Quirinale per rinunciare al mandato. A questo punto non
sembra possano esserci alternative allo scioglimento anticipato, con elezioni
gestite dall’esecutivo (dimissionario) in carica, cioè dal Governo Prodi.
Per la verità, è stata ventilata l’ipotesi che Marini, pur
consapevole dell’inesistenza di margini per ottenere la fiducia, intenda
ugualmente formare un Governo. Ma questo esecutivo verrebbe fermato subito, per
mancata fiducia iniziale (qualche precedente in effetti c’è, ma raro). Dovrebbe
perciò dimettersi, ma potrebbe gestire le elezioni. Anzi, qualcuno sostiene che
il vero scopo di tutta la procedura sarebbe proprio e soltanto questo, cioè far
gestire le elezioni a qualcuno di diverso da Prodi.
Ebbene, se per caso le cose stessero così (ciò che sembra
però non verosimile), va detto con chiarezza che gli incarichi di formare il
Governo si danno – e le consultazioni dell’incaricato si fanno – per ottenere
la fiducia, non per farsi votare contro. Sarebbe un non senso costituzionale e
un abuso della prassi ipotizzare qualcosa di diverso.
C’è poi un’ipotesi ancora diversa, che circola con
insistenza in queste ore. Il Capo dello Stato, pur dopo il fallimento di
Marini, avrebbe in serbo la “carta referendaria”. Egli potrebbe cioè decidere
di non decretare lo scioglimento, ma di mantenere in carica il Governo Prodi e
consentire la celebrazione del referendum alla prima data utile (domenica 20
aprile). Le ragioni costituzionali di questa scelta consisterebbero nella
difesa del legittimo interesse dei cittadini firmatari di potersi esprimere
sulla richiesta di abrogazione/trasformazione della legge elettorale, che
verrebbe altrimenti leso dallo scioglimento anticipato e dalle nuove elezioni.
La legge infatti prevede che, in caso di elezioni politiche, il referendum non
sia cancellato, ma rinviato di un anno, con ciò però determinandosi l’aggiramento della
richiesta dei promotori, quella cioè di non votare con questa legge elettorale.
Personalmente vedo con favore il referendum elettorale e
l’ho sostenuto. Riterrei tuttavia una grave forzatura il giocare la carta
referendaria e non credo che il Capo dello Stato ci penserà seriamente Se
Marini torna al Quirinale per rinunciare, non esistono basi costituzionali
sulle quali evitare lo scioglimento anticipato. Non avrebbe senso, in
particolare, ragionare di un’ipotetica gerarchia costituzionale che metta la
celebrazione del referendum prima dello scioglimento anticipato. Non vi sono
nel nostro ordinamento segnali che possano far pensare a una tale gerarchia.
Anzi, il principio per il quale il Parlamento, anche a referendum indetto,
conserva il diritto di modificare la legge sottoposta a referendum,
determinando l’arresto del procedimento referendario, depone in senso
contrario: indicando la preminenza della democrazia rappresentativa e la
preminenza dei suoi poteri, lascia intendere che priorità va data proprio alla rinnovamento
della rappresentanza democratica del corpo elettorale, che deve ritrovarsi al
più presto nella pienezza della sua legittimazione, per esprimere un governo e
deliberare su tutte le altre questioni, referendum compreso.
Dopo l’eventuale fallimento di Marini, insomma, ci sono solo
(e presto) le elezioni.