Pensioni, la crisi impone realismo anche per chi assiste un disabile

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Pensioni, la crisi impone realismo anche per chi assiste un disabile

14 Agosto 2009

Quando si tratta di lavoratori che assistono familiari gravemente disabili non è un compito piacevole e gratificante, per un uomo politico, fare appello a criteri rigorosi. In tali casi, è più facile cedere il passo ad un “buonismo” intessuto di retorica, facendo leva su reali condizioni di disagio di cui soffrono molte famiglie. Così, la Commissione Lavoro della Camera a grande maggioranza bipartisan (con i soli pareri contrari di chi scrive e di Guido Bonino della Lega Nord) ha trasmesso alle altre commissioni competenti il testo base che unifica 14 proposte di legge di parlamentari appartenenti a tutti gruppi (è relatore Teresio Delfino dell’Udc).

Il testo detta, appunto, norme in favore  dei lavoratori che assistono familiari gravemente disabili.  La ratio è più o meno la solita: chi si è dedicato al lavoro di cura per un parente handicappato ha diritto ad andare in pensione anticipata. In una prima fase, erano stati individuati  requisiti parecchio generosi : il lavoratore o la lavoratrice che avevano assistito per almeno 15 anni un figlio, un genitore, un fratello o una sorella o il coniuge disabili, potevano andare in pensione a cinquant’anni di età purchè facessero valere 25 anni di versamenti. Il tutto era arricchito da un congruo bonus di contribuzione figurativa allo scopo di implementare l’importo della pensione. Quando su questa prima stesura è stata chiesta la relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato, l’istituzione che presiede alle nostre virtù finanziarie ha "bollinato" le valutazioni  di Inps ed Inpdap che cifravano in 3 miliardi i costi a regime.

Un onere palesemente insostenibile. Così la Commissione si è prodotta in un’altra stesura con requisiti un po’ più severi: età pensionabile a 53 anni, dopo 25 di versamenti e 18 di assistenza; bonus di contribuzione figurativa, ai fini della misura del trattamento pensionistico, pari a due mesi per ogni anno di contribuzione effettiva fino ad un massimo di 4 anni, con l’aggiunta di un ulteriore beneficio (6 mesi di contribuzione figurativa ogni 5 anni) se il disabile è un figlio. L’onere è stato valutato, nella clausola finanziaria, in 712,3 milioni di euro annui a decorrere dal 2010. Tale ammontare è sicuramente sottostimato perché le modifiche in pejus rispetto al precedente testo sono molto modeste. Ma se anche fossero 712,3 milioni come si possono reperire in una situazione di finanza pubblica come l’attuale ?

I componenti della Commissione Lavoro sono assolutamente consapevoli di tale situazione, ma vogliono farsi dire di no dalla Commissione Bilancio (e dal ministero dell’Economia). A quel punto si cercheranno soluzioni più ragionevoli, ma intanto passeranno i mesi inutilmente, come è sempre avvenuto nelle precedenti legislature con coloro che "vorrebbero, ma non possono" perché c’è qualche "cattivo" che non si fa carico del dolore della gente. Nessuno si pone il problema di compiere un ragionamento organico che tenga conto di tutte le provvidenze – poche o tante che siano –  riconosciute dal sistema di welfare ai disabili e ai loro familiari: la pensione di invalidità civile e l’assegno di accompagnamento sul piano economico; l’assistenza domiciliare a carico dei Comuni come servizio.

Quanto ai familiari è vigente ed operante la legge numero 104 del 1992, che consente, tra i tanti aspetti, delle giornate di permesso retribuito per l’assistenza. Questa legge, poi, regola la materia della disabilità (in ben 37 articoli) con criteri e modalità tra le più avanzate di Europa (non mancano gli abusi che il ministro Brunetta vuole correggere). I familiari dei disabili, quindi, non vengono abbandonati a se stessi durante la vita attiva. Se si vuole riconoscere un anticipo per la quiescenza, è bene avere un po’ di misura; ma nel testo della Commissione Lavoro della Camera è ancora insufficiente.