Pensioni, l’Ue apre una nuova procedura d’infrazione contro l’Italia

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Pensioni, l’Ue apre una nuova procedura d’infrazione contro l’Italia

25 Giugno 2009

L’Italia è il Paese Europeo che spende di più per pensioni, lo rileva l’Ocse. Nel già socialisteggiante continente che non ha inventato ma adottato il “from cradle to grave”, l’Italia primeggia e alla tomba ci si sta arrivando causa una spesa del 30% del bilancio pubblico (media Ocse 16%)  e del 14% del Pil (media Ocse 7,2%). Il rischio default esiste per tutti gli Stati e il rating sui titoli di debito pubblico ne risente costantemente. Inoltre visto che il Pil diminuirà e la spesa aumenterà ancora (come segnalato anche dalla Ragioneria generale) la proporzione aumenterà ancora.

Non è affatto una novità. Gli stessi dati mostrano che nel decennio 1995-2005 la spesa pensionistica è aumentata del 23%. Al di là dei dati empirici, lo lasciavano già intendere il baby boom, la “piramide rovesciata” e le intuizioni di Buchanan sull’incentivo dei burocrati di governo ad aumentare esponenzialmente la spesa pubblica.

È una di quelle riforme che, da decenni, tutti dicono di volere ma che nessuno mette in pratica. La spesa in pensioni va ridotta ed efficientata. Il problema sembra essere solo politico: chi tocca le pensioni muore. Si ritrova subito i sindacati in piazza e gli effetti positivi nel lungo periodo. Anche se spesso non ci si accorge che le minoranze mobilitate non rispecchiano il sentire aggregato e che un taglio darebbe spazio immediato ad altre manovre per restituire a tutti più benessere, magari ripagando parte del debito pubblico.

Il modello a ripartizione, di derivazione bismarckiana, non può sopravvivere all’evoluzione demografica e sociale. Persistono i retaggi maschio-centrici della pensione di reversibilità e la differenza dell’età pensionabile di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego (la Commissione europea ha deciso di aprire una nuova procedura d’infrazione contro l’Italia per non essersi adeguata alla sentenza della Corte di Giustizia Ue che prevede l’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne nel settore pubblico). Si attende poi, in linea con il resto d’Europa, un radicale aumento dell’età pensionabile.

Eppure non è detto che debba essere per forza così, e non è neanche l’età pensionabile il fulcro della questione. La pensione andrebbe lasciata al principio di common sense di restituire, secondo metodi attuariali, a ciascuno sulla base dei contributi versati. Tanto ho dato, tanto ottengo: l’unica soluzione che consente di evitare qualsiasi rincorsa di “tutti a vivere sulle spalle di tutti gli altri”. Effettuato il calcolo di quanto ciascun interessato ha maturato e quanto riceverà, la scelta dell’età pensionabile è lasciata alla decisione individuale, perché nulla gli elargiscono i contribuenti, nulla gli sottraggono. Si ha a disposizione un conto chiaro di quanto si riceverebbe andando in pensione subito, fra cinque anni, dieci e così via. Qualcosa di simile alla “busta arancione” proposta da Sacconi, qualcosa di molto simile alla libreta concretamente realizzata nel 1980 da Josè Pinera in Cile.

L’allora ministro del lavoro e della sicurezza sociale, introdusse il sistema a capitalizzazione, con il Decreto legge n° 3, 500 del 1980, implementato a il 1 gennaio 1981. I lavoratori versano una parte dello stipendio nei fondi pensione privati (Administradoras de Fondos de Pensiones AFP), che sono vigilati da una struttura governativa la Superintendencia de Afp. Il cittadino può passare da una Afp all’altra (con un limite massimo di 4 volte in un anno), può decidere la quantità di stipendio da versare (in aggiunta al 10% versato obbligatoriamente) e l’età a cui ritirarsi. I contributi sono deducibili dalle tasse e i rendimenti del fondo sono esentasse. L’età pensionabile (65 per gli uomini, 60 per le donne) è necessaria solo se si vuole accedere alla pensione minima statale e nel caso in cui il capitale maturato non garantisca una rendita almeno pari all’ultimo stipendio; chi dovesse raggiungere questa soglia prima di quella età può pensionarsi anche in anticipo.

Questo sistema ha avuto successo e ed è stato (variamente) copiato in Svezia, Messico, Bolivia, Perù, Salvador, Colombia, Ungheria e Polonia. I fondi pensione hanno registrato e registrano performances ottime nel lungo periodo, (infatti nel caso delle pensioni non si tratta mai meno di 25 anni), anche al netto degli interventi pubblici nel mercato finanziario che, volendo o non, creano moral hazard (e quindi crisi periodiche). Certo, se questi si evitassero i risultati ne gioverebbero ancora, ma anche così stante le cose, quella della capitalizzazione è una riforma di efficienza e di necessità.