Pensioni, Maroni: lo scalone non l’ho voluto io

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Pensioni, Maroni: lo scalone non l’ho voluto io

16 Luglio 2007

Oggi nuovo vertice del governo sul tema pensioni. E sul
banco dei deputati c’è ancora la questione “scalone”, che porta con sé serie
difficoltà all’interno della maggioranza. Così l’ex ministro del Lavoro,
Roberto Maroni, oggi presidente dei deputati della Lega Nord, racconta la sua scelta
di innalzare l’età pensionabile dal 2008.

 “Io lo scalone l’ho
subito. Non lo volevo, ma me lo imposero Bossi e Tremonti”, spiega Maroni in un’intervista
a Repubblica. Si dichiara però soddisfatto della legge approvata nella scorsa
legislatura dal centrodestra. E infatti afferma: “Resto orgoglioso di quella legge
ma nel testo originario lo scalone non c’era. Basta tornare alla fine del 2001:
nel mio disegno di legge per la riforma delle pensioni l’aumento obbligatorio
dell’età pensionabile non c’era”.

“C’erano la totalizzazione dei contributi, il superbonus per
incentivare la permanenza al lavoro, la riforma del Tfr. Lo scalone arrivò più
di due anni dopo, durante la discussione in Parlamento. Ricordo ancora, sarà
stato intorno a gennaio del 2004. Eravamo nel mio covo romano. Intorno al
tavolo c’erano Tremonti, Pezzotta e Angeletti per i sindacati, e D’Amato e Parisi
per la Confindustria; mancava invece la Cgil”. Così commenta Maroni.

E ancora prosegue: “In quell’occasione Tremonti dipinse un
quadro drammatico. Ci disse: o si aumenta l’età pensionabile per garantire la
sostenibilità del sistema previdenziale e quindi dei conti pubblici italiani, o
il governo cade, l’Europa non ci fa sconti. La discussione andò avanti per
tutta la notte. Alle due chiamai Bossi”.

 “La risposta
-continua Maroni – fu netta: non se ne parla nemmeno. Se salta il governo non
m’interessa. Io devo guardare agli interessi del popolo padano. Quella notte
finì così, con la crisi di governo alle porte. Ma la mattina dopo Bossi annunciò
a Radio Padania che la riforma andava fatta, nonostante fosse penalizzante per
i lavoratori padani”.

“Bisognava guardare alla pensione dei giovani, spiegò. Erano
gli argomenti di oggi di Veltroni, ma senza il veltronese”, ricorda Maroni. Io,
come ministro del Lavoro, mi immolai, come un soldato, per difendere la linea
nonostante fosse contro i nostri interessi elettorali”.

Intanto, proprio per rimanere in tema di interessi
elettorali, chiare sono le parole di Oliviero Diliberto nei confronti del
governo: “nella maggioranza c’è già chi sta facendo i conti del dopo Prodi. È
un disastro, perchè, con tutti i suoi limiti, questo governo per noi
rappresenta l’equilibrio più avanzato possibile. E c’è chi è al lavoro per
scardinarlo”.

E quindi prosegue ancora 
in un’intervista a Repubblica: “C’è un disegno esplicito che è stato
persino teorizzato da Cordero di Montezemolo, cioè dalla Confindustria. È
quello di costruire un sistema di alleanze centriste, con dei precisi referenti
sociali, che tendano a marginalizzare sinistra e sindacati. È una logica che
contrasta, prima che con il programma dell’Unione, con il vocabolario: Rutelli
parla di coraggio riformatore, Dini ci definisce conservatori. Ma le riforme
sono quelle cose che servono per estendere i diritti, non per restringerli. E
conservatore e’ colui che tende a mantenere dei privilegi, non la sinistra.
Rutelli spaccia per riforme un pesante arretramento dei diritti”.

E il nodo centrale del problema secondo Diliberto è oggi
rappresentato dal tema pensioni: “dobbiamo rispettare l’impegno di abolire
l’innalzamento da 57 a 60 anni e modulare, a seconda del lavoro che si svolge,
eventuali modifiche”. E questa, spiega il leader del Pdci, non e’ un’apertura:
“tutto il contrario. Confido che i sindacati tengano duro”.