Per accelerare la manovra bisogna metter mano a pensioni e art. 18
08 Agosto 2011
Non c’era bisogno sicuramente del declassamento dei titoli Usa (nonostante l’accordo anti-default raggiunto in extremis dal Presidente Obama) o della <tempesta perfetta> che ha sconvolto i mercati europei e buona parte di quelli asiatici, per capire che al mondo non esiste solo un caso Italia, immediatamente attribuibile alla leadership di Silvio Berlusconi.
Parimenti si saranno resi conto i gruppi dirigenti del Pd e della Cgil che ai mercati della tanto agognata crescita dell’economia non interessa più di tanto: la Borsa di Francoforte ha conosciuto giornate tragiche nonostante che in Germania crescano il pil e l’occupazione e che i bund diano filo da torcere a tutti i titoli degli altri Stati (la Spagna di Zapatero – uno degli ultimi leader socialisti europei – ha persino annullato l’emissione di Buoni del Tesoro del 18 agosto nel timore di un clamoroso fallimento). Ma l’Italia qualche problema ce lo ha, è inutile nasconderlo. Non è detto che, risolvendo le questioni aperte, il BelPaese sia in grado di mettersi al riparo dal vento di crisi che soffia in tutto il mondo occidentale e, in particolare, nell’area dell’euro. Ma una riflessione autocritica va compiuta, perché è ormai evidente che la manovra non ha convinto i mercati.
Nel breve arco di poche settimane i tassi di interesse dei Btp hanno subito un incremento talmente forte da rischiare la perdita di controllo, lo spread con i titoli tedeschi è ormai prossimo a quadruplicarsi. Basterebbero questi dati per farci capire che ci stiamo giocando gran parte della manovra per fare fronte al servizio del debito. Per mandare un segnale di discontinuità ai mercati Berlusconi e Tremonti, nella conferenza stampa di venerdì scorso, hanno annunciato che la manovra sarà anticipata in modo da raggiungere il pareggio nel 2013, nel frattempo il Governo proporrà una riforma rivolta a <costituzionalizzare> il pareggio di bilancio. A quest’ultimo proposito, nei prossimi giorni, saranno convocate le Commissioni Affari costituzionali e Bilancio delle due Camere, dove il ministro dell’Economia illustrerà le intenzioni dell’esecutivo. Vedremo oggi le reazioni dei mercati.
Ad essere onesti, però, non è del tutto convincente la linea di condotta del Governo. Si ha l’impressione che prevalgano gli accorgimenti tattici nella speranza di ottenere delle tregue nei confronti di scelte che non sono ancora mature in Italia. Ma le furbizie hanno le gambe corte, come le bugie. Gli investitori si sono accorti che la manovra era troppo dilazionata nel tempo tanto da affidare la parte più consistente degli interventi ad una nuova legislatura e al governo e alla maggioranza che in quel contesto si formeranno. La verità è che, dopo la sconfitta nelle ultime elezioni amministrative, coesistono nella coalizione di centro destra due distinte strategie: quella (impersonata da Tremonti) che dà priorità al risanamento e quella (di Berlusconi stesso) che pensa di recuperare il consenso perduto allargando i cordoni della borsa. Si tratta di due linee antitetiche, difficilmente componibili. Due linee distinte che pur tuttavia si trovano all’interno della manovra, costretta a caricarsi di una riforma del fisco insostenibile ed incompatibile con le condizioni generali di finanza pubblica, tanto che, ora, le misure di carattere fiscale hanno assunto il connotato dei tagli ai benefici e alle esenzioni, piuttosto che il timbro della riduzione del prelievo per le imprese, il lavoro e le famiglie.
Per un singolare sortilegio della politica, poi, la riforma fiscale ha unito il suo destino con quella dell’assistenza, ma tutti si chiedono come sarà possibile materialmente conseguire in questo settore i risparmi che vengono indicati. Ecco allora il rischio che nella correzione della manovra il Governo di nuovo non risulti credibile. Eppure basterebbero ben poche misure per dimostrare che l’esecutivo agisce sul serio quando dichiara di voler accelerare la manovra: si dovrebbero anticipare gli interventi in materia di pensioni per quanto riguarda l’andata a regime del requisito anagrafico della vecchiaia a 65 anni per le lavoratrici del settore privato. Per essere equi occorrerebbe dare un giro di vite anche al trattamento di anzianità, una prestazione di cui si avvalgono, in maggioranza e per tante ragioni, gli uomini.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro è già stata promessa la presentazione al Senato dello Statuto dei lavori. La flessibilità regolatoria è la principale caratteristica della bozza preliminare di delega – presentata dal ministro Sacconi – che ha il merito di non rinchiudere il mondo del lavoro – dominato dalle differenze – in una gabbia di regole uniformi, ma di affermare, invece, uno zoccolo di diritti universali ed inderogabili per tutte le tipologie di lavoro <economicamente> alle dipendenze, attribuendo, nel contempo, alle parti sociali la possibilità di adattare le norme alle situazioni di fatto, laddove comunemente se ne ravvisi la necessità di derogarvi, in nome di un interesse reale dei lavoratori e delle imprese. La delega affronta, poi, il tema della razionalizzazione e della semplificazione del quadro legale con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa attualmente vigente frutto di una stratificazione disorganica.
Ma se si volesse davvero rabbonire i mercati e dare una scossa all’economia sarebbe utile sospendere per qualche hanno l’applicazione dell’articolo 18 della legge n.300 del 1970 nel caso di nuovi occupati a tempo indeterminato (ovviamente prevedendo una tutela risarcitoria nella fattispecie di licenziamento illegittimo, fatta salva la reintegra giudiziale nel posto di lavoro se il licenziamento ha un carattere discriminatorio). La sinistra politica e sindacale non ha capito che la manovra non viene criticata perché è troppo severa, ma perché lo è troppo poco. In tale contesto non si capisce quale approdo possa avere il confronto con le parti sociali. Sempre che il Governo decida finalmente di fare sul serio.