Per adesso c’è Hamas ma il vero obiettivo di Israele è l’Iran

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Per adesso c’è Hamas ma il vero obiettivo di Israele è l’Iran

12 Gennaio 2009

E’ passata circa una settimana dall’inizio dell’offensiva di terra che ha portato l’esercito israeliano all’interno di Gaza e si moltiplicano le iniziative diplomatiche per fermare la guerra. L’attenzione sembra convergere sul piano franco-egiziano nei confronti del quale Israele ha dichiarato il proprio interesse (ma sono ancora da definire i dettagli) e che ha ottenuto l’appoggio del Presidente Abu Mazen, ma non quello di Hamas (almeno per ora).

Ma le cose potrebbero cambiare. Il fatto che il presidente del parlamento iraniano Ali Larijani si sia incontrato con il presidente siriano Bashar al-Assad e con Khaled Meshaal – uno dei capi di Hamas da tempo rifugiato a Damasco – segnala una novità che potrebbe portare a sviluppi importanti. Se è vero che l’obiettivo primario di Israele è  raggiungere “la sicurezza nel sud del Paese”, come ha dichiarato nei giorni scorsi il ministro della Difesa, Ehud Barak, il vero obiettivo strategico in realtà sembrerebbe proprio l’Iran e la sua capacità di influenza nella regione.

Non è certo un mistero che l’organizzazione terroristica di Hamas sia nata su impulso dei governi di Teheran e Damasco, per replicare nei territori palestinesi il successo di Hezbollah in Libano. E’ stato l’Iran a finanziare, armare ed addestrare nel corso degli anni i due movimenti terroristici, quello libanese e quello palestinese, che applicano le stesse tecniche di guerra, di propaganda e di creazione del consenso. Grazie all’aiuto di Teheran, Hamas ha vinto le elezioni politiche del gennaio 2006 e dopo il colpo di stato a Gaza, dal giugno 2007 si è moltiplicato il flusso di armi clandestine dall’Iran attraverso i tunnel scavati sotto il valico di Rafah, al confine con l’Egitto.

Indebolire e costringere Hamas a una trattativa significa indebolire l’Iran e spuntarne un’arma importante e sulla quale il regime degli Ayatollah fa affidamento per la realizzazione dei propri obiettivi. Non a caso il mondo arabo, dall’Egitto alla Giordania all’Arabia Saudita, pur condannando l’attacco di Israele ha accusato Hamas di avere provocato la reazione israeliana e di voler dividere i palestinesi. Gli arabi sono preoccupati dalla politica espansiva di Teheran il cui unico freno oggi è rappresentato proprio da Israele.

Negli ultimi giorni, numerosi osservatori internazionali hanno biasimato Hamas per aver provocato la reazione israeliana e le conseguenti sofferenze del popolo palestinese, con la ripresa “ufficiale” dei bombardamenti (che in realtà non sono mai cessati del tutto nemmeno durante la tregua), ma ciò che evidentemente non si vuole comprende è chi sia il burattinaio che sta dietro Hamas. Al regime di Teheran, infatti, non interessa assolutamente nulla delle sofferenze dei palestinesi, se ne occupa solo in forma strumentale e per il raggiungimento dei propri scopi strategici: l’isolamento diplomatico di Gerusalemme, il ricompattamento dei nemici di Israele, il rafforzamento delle forze terroristiche appoggiate da Teheran (un esempio per tutti agli altri paesi della regione, a cominciare dall’Iraq), e infine l’esportazione della rivoluzione islamica.

Una eventuale sconfitta, ma basterebbe anche una “non vittoria”, di Israele sarebbe un colpo importante per il regime degli Ayatollah e la sua influenza nell’aerea ne uscirebbe rafforzata. Al contrario, una vittoria militare di Israele non solo ristabilirebbe il fattore deterrenza, perso con la Seconda Guerra del Libano, ma determinerebbe un indebolimento politico di Hamas riequilibrando il potere palestinese in favore di Fatah, che a quel punto potrebbe negoziare da un punto di forza il ricompattamento dei palestinesi, e in un secondo momento rientrare a Gaza da liberatore consentendo ad Abu Mazen di riprendere il controllo dell’intero territorio palestinese. Questo permetterebbe finalmente ai negoziati di pace israelo-palestinesi di ripartire. E consentirebbe anche agli altri paesi arabi di controllare meglio le pulsioni estremistiche interne provocando una forte sconfitta del modello radicale iraniano.

La sconfitta militare di Hamas e un azzeramento della sua capacità offensiva eliminerebbero un fattore di accerchiamento per Israele nel caso decidesse di bombardare le installazioni nucleari segrete iraniane. Anche per questo appare ovvio il rifiuto del Ministro Livni alla proposta europea di inviare semplici osservatori nella Striscia di Gaza e la contro-richiesta, che sembrerebbe recepita nella proposta franco-egiziana, di avviare una missione di interposizione che controlli ed impedisca effettivamente il riarmo di Hamas, evitando che si ripeta la farsa libanese dove la forza Unifil osserva impotente il riarmo di Hezbollah, che oggi minaccia Israele con un arsenale più che raddoppiato rispetto alla capacità del luglio 2006 (quando scoppiò il conflitto israelo-libanese). A Gaza c’è in gioco molto di più che la sicurezza del sud di Israele, in ballo c’è il futuro stesso del Medio Oriente.