Per Bossi il federalismo è il fine,  tutto il resto è lo strumento

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Per Bossi il federalismo è il fine, tutto il resto è lo strumento

17 Luglio 2008

Secondo molte delle prime pagine dei giornali di oggi dalle parti del Carroccio iniziano a trapelare segnali di rimostranza verso le performances di Silvio Berlusconi.

Alcuni dei commentatori che si stanno dedicando all’argomento partono dalle ultime esternazioni di Bossi e Calderoli per poi approdare, con una strana consequenzialità, ad una zona grigia in cui, in virtù dell’obbiettivo del federalismo fiscale, vengono auspicate prossime convergenze a sinistra. Perlopiù si tratta di comprensibili strumentalizzazioni messe in risalto per rendere la vita difficile al governo e tuttavia questo non toglie che rispetto alle posizioni leghiste ci siano interessanti spunti di riflessione da non sottovalutare.

Se restiamo strettamente nel merito della questione è comprensibile che dopo le ultime elezioni, come nel ‘92, raggiunto il suo picco elettorale in quanto opposizione a un governo percepito come centralista e fiscalmente oppressivo, il Carroccio rivendichi ora e innanzitutto il compimento integrale del federalismo. Del resto sin dalla propria origine e in tutti gli anni del suo sviluppo la Lega ha perseguito, coerentemente con l’Art. 1 del proprio Statuto che vincola la sopravvivenza stessa del movimento al raggiungimento dell’autonomia dei popoli del Nord, l’obiettivo della riforma dello Stato in senso federale. La missione strategica federalista del Carroccio quindi è sempre stata concepita come un totem a cui sacrificare tattiche contingenti e a volte apparentemente in contraddizione tra loro.

Dopo il ’94 quando il Senatur all’interno dell’alleanza asimmetrica con Silvio Berlusconi si accorse di non aver inoculato nel Polo abbastanza federalismo, vi fu una prima trattativa a sinistra seguita da un brusco ripiegamento dietro la linea del Po’ con tanto di proclamazione di secessione. Cavalcando questa utopia e promuovendo una dimensione fortemente simbolica e rituale al suo movimento Bossi ha coltivato il duplice intento di rafforzare l’identità leghista, e contestualmente di tenere al centro del dibattito politico la mistica del federalismo, approdo imprescindibile verso una forma nuova di organizzazione dello Stato.

In questa estenuante trattativa con il sistema istituzionale il movimento leghista ha infine rimodulato l’alleanza con il centro berlusconiano per assumersi la responsabilità storica di tradurre in pratica la mission ciclicamente ritualizzata dalle valli di Pontida. Incassata la devolution del 2006 tuttavia il Carroccio si è dovuto arrestare dinnanzi al fallimento del referendum istituzionale che la sinistra ha ammantato di ideologia retrograda antimeridionalista.   

Due anni dopo, galvanizzata da un roboante successo elettorale e varata una nuova alleanza di governo con il Cavaliere  il refrain non cambia “La Lega per il federalismo è disposta a tutto” proclamano dalle parti di Via Bellerio.   

”Questa è sempre stata la posizione della Lega. Lo diceva Gianfranco Miglio tanti anni fa. Il nostro obiettivo è il federalismo. È la nostra missione. La Lega esiste per questo motivo, non per altro. Quindi, come avviene in tutte le zone del mondo per tutti i partiti federalisti, se c’è la possibilità di raggiungere lo scopo senza allearsi con nessuno bene, altrimenti ci si allea. Ma lo si fa con chi in quella fase dà le maggiori garanzie di aiuto nel conseguimento dell’obiettivo. Lo abbiamo fatto con Berlusconi e la Cdl per ottenere la devolution. Riconosciamo la lealtà dei nostri alleati, in particolare di Berlusconi, perché l’abbiamo ottenuta. Purtroppo poi è andata come è andata, il referendum l’ha bocciata. Ma questo non significherà la fine della nostra battaglia». Così si esprimeva , con un’enfasi che ricalca punto su punto le recenti uscite di Bossi, già lo scorso anno il “moderato” Roberto Maroni neo ministro dell’Interno. Ed ancora: «Il federalismo è una pratica tutt’altro che archiviata. I tempi sono necessariamente lunghi perché le resistenze sono enormi. Basti pensare che il Belgio, che è più piccolo della Lombardia, ha impiegato oltre cento anni per diventare uno stato federale. Ma non ci sono altre strade, né la possibilità di fermare questo processo. Più la complessità della società aumenta, più c’è bisogno di ammortizzatori sul piano istituzionale. E il modello federale è esattamente questo. Da settembre si apre una nuova fase e vediamo se ci sono segnali di dialogo, valutando nel merito ogni proposta fatta>>.

<<Questo non significa che la Lega intenda tradire i propri alleati e cercare sponde a sinistra. Vuol dire solo cercare senza pregiudizi né pregiudiziali di raggiungere il nostro scopo: la vera riforma federale>>.

 Aldilà di ogni speculazione e guardando al prossimo futuro per il Carroccio la possibilità di dialogo con il Loft non sarà mai lo scopo bensì solo uno dei possibili mezzi.