Per capire il comandante Schettino è meglio Totò di Lord Jim
18 Gennaio 2012
Bene e male, mostri ed eroi, gogne e troni: questo è il modo con cui il carattere italico ama celebrare se stesso, le sue sventure e le sue fortune. Per questo la comparsa sulla scena pubblica di due personaggi come il comandante Francesco Schettino e l’ufficiale della Capitaneria, Gregorio De Falco ha generato un un intero nuovo capitolo di questa pigra e roboante epica nazionale.
Schettino, il furbo esibizionista che ama sfidare e infrangere le regole poi sfuggire alle sue responsabilità è un carattere immancabile della commedia all’Italiana; così come De Falco, schivo ma con la schiena dritta, l’uomo della regola e della legalità ne costituisce il necessario complemento. Ma è commedia di bassa lega, senza sfumature e dunque senza verità. Non c’è bisogno di scomodare Lord Jim e Joseph Conrad, bastano i sommi Totò e Fabrizi dei Tartassati o di Guardie e Ladri per capire che bene e male, mostri ed eroi, guardie e ladri danno parte dello stesso impasto umano e dentro ogni italiano c’è un po’ di Schettino e un po’ di De Falco. Nessuno infatti ci può dire se i due personaggi a parti invertite: il primo in poltrona e l’altro sugli scogli del Giglio, si sarebbero comportati diversamente.
Invece il grande teatro mediatico ha subito scelto: siamo tutti De Falco, siano tutti eroi, tutti integerrimi, tutti pronti a lasciare il posto in scialuppa, tutti bramosi d’affondare con onore piuttosto che salvarci con ignominia. E che gusto sopraffino e a buon mercato correre a crocefiggere l’orrido Schettino, “il Capitan Codardo” come lo chiama Libero in prima pagina, già personaggio da opera dei pupi su cui tutti vogliono aggiungere la loro bastonata.
La narrazione televisiva ha fatto scempio di ogni prudenza nell’uso dell’oltraggio e dell’encomio: Mentana sulla 7 ha superato se stesso nel mettere in scena la trasfigurazione dei due uomini in caratteri da commedia e a trascinarci tutti nell’allegra brigata del fischio e dell’applauso. Il tutto condito con le telefonate tra la nave e la capitaneria, uscite da chissà dove e grazie a chi, ma sempre pronte alla bisogna. L’effetto si è subito sentito, ferocemente amplificato, nelle piazze mediatiche dei social network, dove il sangue virtuale scorre con grande facilità e soddisfazione per tutti.
“Vadabbordocazzo”, l’urlo telefonico di De Falco, è diventato il grido di guerra degli eroi feisbucchiani che graniuolvano giulivi le loro tastiere con furia e con sdegno un tanto a riga.
La ciliegina ovviamente ce l’ha messa Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, che materia non si fa mancare nulla, quando ha tratteggiato un arzigogolato parallelo tra Schettino e Berlusconi, sulla base che del fatto che entrambi hanno cominciato la loro carriera sulle navi da crociera e entrambi hanno fatto naufragio, l’uno con la Costa, l’altro con l’intero paese. Ecco scodellato ai lettori del fatto un surrogato per la corsa all’odio da troppo tempo in surplace.
Badate bene non sto facendo un discorso sulle persone: è possibile che Schettino sia il peggiore dei criminali e De Falco un santo senz’aureola; quello che colpisce è la capacità del nostro carattere nazionale nel raccontarsi fole auto consolatorie e purificatrici e di trasfigurare la realtà perché si accomodi al nostro gusto estetizzante (non estetico) e moralistico (non morale). Ma entrambi sono vittime della voracità del nostro immaginario collettivo: De Falco inseguito da torme di giornalisti microfonati che gli chiedono a macchinetta "cosa si prova a essere un eroe?" E Schettino sottoposto al waterboarding mediatico di tutti i talk a disposizione e anche di più.
Non sorprende quindi che la notizia della scarcerazione del comandante della Costa in favore degli arresti domiciliari abbia scatenato reazioni da malebolgie sui giornali su internet. Schettino a casa rovina tutta la sacra rappresentazione, rompe il paradigma mostrificante e mette in gioco l’idea balzana che ci sia bisogno di un processo vero e magari anche – dio ci scampi – di una difesa. Anche giornalisti normalmente accorti su questi temi, come il direttore del Tempo, Mario Sechi o quello di Europa, Menichini sono rimasti delusi. Il primo si augurava che il comandante rimanesse in carcere a meditare “senza distrazioni” sulle sue colpe, dimenticando che le colpe vanno prima accertate, anche quando sono sotto gli occhi di tutti (soprattutto quando sono sotto gli occhi di tutti perchè nessuno vede tutte altre). Il secondo sostiene che in questo caso il garantismo non debba essere scomodato: la condanna l’hanno già emessa giornali, tivvù, internet e tutti cittadini dabbene di questo paese. Benissimo, ci possiamo pure stare, ma allora, in tempi di crisi ecco dove tagliare: sciogliamo la magistratura e smettiamola di scomodare il garantismo che costa caro.