Per chi suona la campanella: con Donald Trump la ricreazione internazionale è finita

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Per chi suona la campanella: con Donald Trump la ricreazione internazionale è finita

11 Aprile 2017

Ora ci si interroga molto sul Trump ‘internazionalista’ che sgancia missili sulla Siria, contro il Trump ‘sovranista’ che prometteva di rinchiudere gli Usa su se stessi, e si scrive che il “deep state”, lo stato profondo, le strutture della forza, il Pentagono ma anche le grandi corporation, si sono tolte il fatidico sassolino dalla scarpa isolando gli isolazionisti come Steve Bannon, uscito solo apparentemente ridimensionato dal suo ruolo chiave nella sicurezza nazionale americana. Ci si chiede con chi il mutevole presidente Trump, che conserva come in campagna elettorale questa straordinaria capacità di rovesciare il tavolo e lasciare la coerenza agli stupidi, con chi stringerà alleanze, se con la Russia o la Cina, in questo mondo multipolare sempre più furioso. Con la Russia forse no, o non è ancora arrivato il momento, mentre il Cremlino fa sapere che Putin non incontrerà il segretario di stato Tillerson (il ministro degli esteri russo Lavrov invece sì) durante la prossima visita a Mosca. Ma come, Tillerson non era stato dipinto come il compagno di merende di Putin? A quanto pare tutta l’indignazione liberal sullo zar russo che avrebbe manovrato come un burattino il Don influenzando con i suoi hacker le elezioni Usa sta venendo giù come un castello di fake news.

Con la Cina staremo a vedere che succederà perché, dopo i salamelecchi nella residenza estiva quando Trump ha incontrato il numero uno di Pechino informandolo solo a cose fatte dello “strike” contro Assad, adesso il gruppo di fuoco Carl Vinson, con portaerei, aerei, cacciatorpedinieri naviga deciso verso le due Coree. Un’altra sventagliata di missili, questa volta contro la Corea del Nord, secondo alcuni osservatori trasformerebbe i salamelecchi con Pechino in una escalation militare tra le due superpotenze. E si litiga anche tra i sostenitori e gli elettori del presidente americano, e qualcuno si stupisce, e altri si preoccupano perché la politica estera è una cosa seria, e pericolosa, quando spari non sai mai chi o come risponderà al fuoco. Va ricordato però, come scrivemmo in campagna elettorale, che il “jeffersoniano” Trump, uno che nella vulgata paleoconservatrice doveva tirare i remi in barca e pensare unicamente a coltivare l’interesse nazionale, il suo Monticello, anche lui avrebbe incontrato i suoi pirati barbareschi – e non è un caso che il Don ricada come chiunque lo abbia preceduto da vent’anni a questa parte nel buco nero delle relazioni internazionali, il Medio Oriente. 

Così ci si stupisce dei missili (poco servirono quando Clinton, Bill, ne sganciò a tonnellate per eliminare Osama Bin Laden) e qualcuno arriva a pensare l’inimmaginabile: Trump come un neoconservatore qualsiasi? Trump che spara sugli “stati canaglia”? L’hard power che rientra dalla finestra dopo che Obama l’aveva fatto uscire dalla porta con il suo fallimentare soft power, tipo ingloriose primavere arabe? Che sta succedendo a Donald Trump? Niente di traumatico, ragazzi. Durante la campagna elettorale Usa furono le seconde generazioni dei neoconservatori, quelle ben piazzate nel sistema di potere Usa, nelle riviste e nei centri studi che contano, a bollare Trump come il peggior candidato possibile per il partito repubblicano e a tramare con la sua avversaria Hillary per boicottarlo e fargli lo sgambetto sul web. Ma i padri del movimento, la prima generazione dei neocon che ha fatto dell’internazionalismo democratico in punta di baionetta la sua parola d’ordine, un nome una garanzia Norman Podhoretz (l’autore di “La Quarta Guerra mondiale. La lunga battaglia contro il fascismo islamico”), già dall’anno scorso aveva messo in guardia colleghi e stupiti commentatori spiegando che, volente o nolente, Donald Trump avrebbe dovuto fare i conti con il ruolo dell’America nel mondo e la sua eredità del poliziotto globale. 

Avendo nominato Jim “Cane pazzo” Mattis alla guida del Pentagono e come consigliere per la sicurezza nazionale il duro HR McMaster, qualche sorpresa sulle relazioni, mettiamo, tra Usa e Iran, Trump l’avrebbe scatenata, diceva il decano dei neocon quando tutti si stracciavano le vesti al solo sentire nominare Bannon e la “alt-right”. Ora si capisce che sono finite le mani tese obamiane verso i regimi islamici. Si blocca l’immigrazione negli Usa dagli stati sponsor del terrorismo e piovono bombe sulla testa del regime più pericolante: un chiaro messaggio ad altri regimi, piccoli o grandi che siano, che si sentono al sicuro avendo le loro armi di distruzione di massa. La ricreazione è finita. Non è detta mai l’ultima parola con il presidente Trump.