Per chi suona la Campania?
03 Marzo 2008
di Enzo Sara
Per chi suona la Campania? E’ un interrogativo destinato a farsi sempre più insistente e pressante, stringente e penetrante, man mano che la campagna elettorale andrà avanti. Già, perchè questa è una regione-chiave per la conquista di una maggioranza ampia e sicura al Senato. Ed è, soprattutto, una regione-simbolo. Il simbolo di tutto ciò che bisognerà ricordare al momento di esprimere il voto, il simbolo delle trappole in cui evitare di cadere, il simbolo della fragilità e vacuità del presunto rinnovamento veltroniano, il simbolo della fumosità e contraddittorietà del progetto (?) centrista di Casini e soci.
POLITICA DA DISCARICA – E’ una “Campania infelix”, piegata-ferita-umiliata da quella che per troppo tempo è stata definita emergenza e che invece si può e si deve finalmente chiamare col suo nome: vergogna, anzi scandalo, dei rifiuti. Qui più che altrove i cittadini hanno sotto gli occhi (e sotto il naso) il clamoroso e avvilente fallimento di tutto il centrosinistra. Non solo di quella sinistra radicale che sta diventando l’unico quanto comodo capro espiatorio, ma anche (è proprio il caso di dirlo in veltronese puro) di amministratori ed esponenti politici con ruoli di primo piano nel Partito Democratico. Tali sono e restano, fino a prova contraria, il governatore Bassolino e il sindaco partenopeo Iervolino. Due protagonisti indiscussi dello scempio che ha gettato valanghe di fango sull’immagine dell’Italia intera, con la partecipazione straordinaria del ministro Pecoraro Scanio e del premier uscente, Romano Prodi, che del Pd continua ad essere il presidente nazionale (acclamato e osannato dai suoi compagni di partito nelle – chissà perchè – sempre più rare uscite pubbliche). Alzi la mano chi ha dimenticato le sue ultime parole famose, qualche giorno prima della nomina di De Gennaro a commissario: “Risolveremo tutto in 24 ore”. Sono passati due mesi e siamo più o meno al punto di partenza. L’unica novità concreta, nel frattempo, è stata il rivio a giudizio del presidente Bassolino per la gestione del ciclo dei rifiuti. Tra le accuse: truffa, abuso e frode. Aspettando serenamente che la giustizia faccia il suo corso e considerando l’imputato – nel segno di un autentico e sincero garantismo – innocente fino al terzo grado di giudizio, nessuno può esimersi dal ritenere già emesso dai fatti e dalla storia il verdetto politico: la piena colpevolezza di una sciagurata amministrazione del territorio campano. E, mentre fioccano su Bassolino le inevitabili richieste di dimissioni, Veltroni sceglie di reagire ispirandosi a quello che è (al di là di falsi referenti come Kennedy e Obama) il suo vero modello politico: Ponzio Pilato. “Bassolino – ipse dixit – saprà compiere la scelta giusta, lasciandosi guidare dalla sua coscienza”. E intanto nulla cambia, con buona pace della grancassa mediatica che tende a presentare il leader del Pd come l’artefice di una sorta di rivoluzione copernicana. In Campania, di queste presunte innovazioni epocali non si hanno tracce. E Veltroni dovrà dare davvero fondo a tutta la sua fantasia e alla sua sfrontatezza, inventandosi nuovi effetti speciali, per trovare una strada che consenta al suo pullman di arrivare anche da queste parti.
E LO CHIAMANO RINNOVAMENTO – Veltroni ha provato a dare la solita mano di vernice alla facciata del Partito Democratico, che soprattutto in Campania aveva bisogno di nascondere con procedura d’urgenza la polvere sotto il tappeto. I sondaggi di qualche settimana fa, stando a quanto è filtrato dagli stessi ambienti vicini all’ex sindaco di Roma, davano il Pd regionale precipitato al 20% o giù di lì. E allora è scattata senza indugi l’operazione-immagine, passata ovviamente per l’accantonamento dei dioscuri di un veccchio e consolidato sistema di potere: Bassolino e De Mita. Per l’altolà alla candidatura di Bassolino al Parlamento, nessun intoppo. Il governatore ha finto di compiere il “beau geste” del fatidico passo indietro (in attesa – si dice – di una prossima candidatura “europea”) prima ancora che gli arrivasse dall’alto l’ordine di defilarsi senza rumore e possibilmente senza lasciare tracce troppo profonde. Ma per la presidenza della giunta regionale, il compito è apparso subito più arduo e improbo. La “moral suasion” veltroniana, con avvertimenti criptici e riferimenti velati alla “cosa giusta da fare secondo coscienza”, non ha sortito gli effetti previsti. Bassolino ha annunciato che non mollerà e andrà avanti, perchè non intende “disertare”. E pazienza se questa scelta è fonte non solo di attacchi a raffica da parte dell’opposizione di centrodestra (da Berlusconi in giù), ma anche di dure critiche della Sinistra Arcobaleno (da Bertinotti in giù) e dell’Italia dei Valori (da Di Pietro in giù), oltre che di distinguo e prese di distanza all’interno dello stesso Pd.
Per quanto concerne De Mita, invece, Veltroni ha risolto (o si è illuso di farlo) la vicenda a modo suo. Niente ricandidatura per il deputato di Nusco, che ha sbattuto la porta e si è immediatamente messo in navigazione per sbarcare sul “nuovo” arcipelago centrista formato da Udc e Rosa Bianca. Il posto di De Mita, come capolista della circoscrizione Campania 2 alla Camera, è stato affidato alla ventiseienne Pina Picierno. Il rinnovamento politico, insomma, inteso ancora una volta come una passerella di dilettanti allo sbaraglio. La Picierno era nota finora per essersi laureata, con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi sul lessico e il linguaggio politico di De Mita. “Ciriaco è’ il mio mito – si è affrettata a dichiarare – e non farò campagna elettorale contro di lui”: sembra il primo, probabilmente unico, caso di “desistenza psicologica”.
E qui cominciano a scattare i segnali d’allarme o almeno i sospetti relativi a rischi di cortocircuito all’interno del Pd. Una forza politica, questa, che in Campania si trova ad avere un giovane coordinatore regionale come Tino Iannunzzi, che fu eletto (tra mille polemiche, minacce di ricorsi e addirittura accuse di brogli) come espressione di un accordo di potere raggiunto sull’asse Bassolino-De Mita. Rinnovamento anagrafico-generazionale, dunque, ma non politico. Nel solco del più tipico veltronismo. Ora Iannuzzi ribadisce fedeltà al Pd, ma dice che è stato un errore non ricandidare De Mita: avrà personalità e forza per garantire la necessaria indipendenza rispetto ai suoi mentori e sponsor? Non è una domanda da poco.
E quali dimensioni assumerà lo smottamento elettorale provocato dall’uscita di De Mita? C’è chi ha calcolato in cinquantamila voti il patrimonio elettorale che il politico di Nusco porterebbe in dote al soggetto politico che gli consentirà di candidarsi per la dodicesima legislatura consecutiva. Rispetto a questa previsione, ha destato un po’ di sorpresa il fatto che finora siano relativamente pochi i fedelissimi di De Mita che hanno già ufficializzato l’intenzione di abbandonare il Pd per seguirlo nella nuova avventura. Eppure, non solo in Irpinia ma nell’intera regione, esiste una miriade di demitiani doc: esponenti politici, amministratori, rappresentanti di enti e istituzioni in genere. Molti, probabilmente, sono in semplice attesa di un richiamo, di un cenno, di un ordine. E gli altri? Da più parti si fa strada l’ipotesi o il sospetto che possano restare all’interno del partito veltroniano nelle vesti di “infiltrati speciali”, contribuendo ad accrescere la confusione.
INGORGHI IN CENTRO – La prevista adesione di De Mita al soggetto politico nato dalla fusione tra Udc e Rosa Bianca contribuirà a renderne ancora meno nitidi e convincenti i contorni. Già c’era da nutrire seri e fondati dubbi sul significato e le prospettive di un’intesa raggiunta da Casini con coloro che non più tardi di qualche settimana fa lo avevano bocciato politicamente (i vari Baccini e Tabacci) e che adesso sconfessano se stessi riaccogliendo l’ex presidente della Camera a braccia aperte, tanto da accettarne addirittura la candidatura a premier. D’ora in avanti, però, ci sarà da fare i conti con un altro interrogativo e ulteriori perplessità: come e con quali risultati potranno convivere in una stessa forza politica l’ideologo del compromesso storico con la sinistra comunista (De Mita) e un politico rampante (Casini) che per tutta la scorsa legislatura – sia pure tra mille distinguo – ha continuato a professarsi di centrodestra?
Ma a queste incongruenze e incoerenze di carattere generale, si aggiungono contraddizioni e dietrofront a livello territoriale. In Campania, infatti, l’Udc si è per anni costantemente presentata ai cittadini in netta antitesi e rigorosa alternativa al sistema di potere bassoliniano e demitiano. Pressochè quotidiane le denunce su degrado e clientele, provenienti in particolare dal portavoce nazionale del partito: l’irpino Francesco Pionati, ex giornalista Rai e senatore uscente, politico emergente e combattivo che si è lungamente speso in una tenace battaglia antibassoliniana e antidemitiana. E che adesso si ritrova intruppato (presumibilmente suo malgrado e con malcelato disagio) in un progetto che snatura e distorce il senso di tutto il lavoro svolto e di tutti gli obiettivi annunciati dall’Udc sul piano regionale.
E’ sulla base di questa “mappa” e di questi presupposti che il Popolo della Libertà ha l’occasione storica di cambiare colore – e odore – a una regione come la Campania, che più di ogni altra ha bisogno di “rialzarsi”.