Per colpa della crisi l’Africa avrà meno aiuti ma spreca troppe ricchezze
17 Ottobre 2008
di Anna Bono
In Africa la crisi finanziaria finora è stata attutita dalla marginalità economica del continente. Tuttavia fin dall’inizio della scorsa settimana il Fondo monetario internazionale ha espresso preoccupazione per le ripercussioni “estremamente serie” che può avere sull’economia degli stati africani una grave recessione dei paesi industrializzati. Altrettanto ha fatto l’Unione Africana, allarmata innanzi tutto dalla prospettiva che la crisi induca i paesi ricchi a ridurre o sospendere gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. Per questo il presidente dell’Unione Africana, il tanzaniano Jakaya Kikwete, ha subito rivolto un appello a europei e americani affinché mantengano gli impegni assunti.
Preoccupato si è detto anche il presidente della Banca africana per lo sviluppo, Donald Kaberuka, che ha illustrato la situazione durante un vertice del proprio istituto di credito svoltosi l’8 ottobre a Tunisi. Kaberuka ha evidenziato un secondo, importante problema: l’eventualità davvero catastrofica di una netta riduzione della domanda di materie prime che ne farebbe crollare il prezzo sui mercati mondiali. Mettendo in conto inoltre una contrazione degli investimenti esteri privati e una diminuzione delle rimesse degli africani emigrati in altri continenti (che in certi casi rappresentano una porzione importante del PIL), il quadro che ne emerge è effettivamente poco incoraggiante: senza contare che, per quanto riguarda gli aiuti internazionali bilaterali e multilaterali, tutto induce a prevedere la necessità di aumentare almeno nel breve periodo quelli destinati a interventi umanitari e di peacekeeping a scapito dei progetti di sviluppo.
Un rallentamento dell’economia mondiale rischierebbe dunque di “minare gli sforzi politici compiuti negli ultimi dieci anni e far piombare decine di milioni di persone al di sotto della soglia della povertà”, così il governatore della Banca centrale del Sudafrica, Tito Mboweni, nel corso dell’Assemblea annuale del Fondo monetario internazionale.
Ma non una parola, in questi e negli altri incontri organizzati in diverse capitali africane per discutere della crisi, è stata spesa per denunciare il problema fondamentale che rende l’Africa così marginale e dipendente nonostante i buoni risultati economici degli ultimi anni.
Gli incrementi del PIL superiori al 5% annuo registrati in 15 stati, con il record dell’Angola che ha raggiunto il 20%, derivano principalmente dal crescente sfruttamento delle materie prime e, per quanto riguarda il petrolio, dal considerevole aumento del suo prezzo. Metà degli introiti ricavati in Africa dalle esportazioni sono dati dal petrolio. Ma le maggiori risorse a disposizione vengono in gran parte sprecate da governi incapaci, corrotti e irresponsabili: produzione e mercati interni non crescono o non abbastanza e la ricchezza non diventa fattore di sviluppo economico e sociale.
I paesi africani produttori di petrolio e di altre materie prime risentiranno degli effetti negativi della crisi finanziaria perché non hanno approfittato dei periodi favorevoli. Parlando a settembre alla 63esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente del Camerun, Paul Biya, ha spiegato i fallimenti africani nella lotta alla povertà con “il contraccolpo della crisi finanziaria internazionale e dell’aumento esponenziale del petrolio”.
Come si è detto, se ci sarà un “contraccolpo della crisi” in Africa si vedrà soprattutto nei prossimi mesi e anni. Quanto all’aumento del prezzo del petrolio, è paradossale che se ne lamenti il capo di uno stato che lo produce e lo esporta e che dovrebbe invece rallegrarsene. Biya, per inciso, è al potere dal 1982 e lo scorso aprile ha preteso la soppressione della norma costituzionale che, limitando a due i mandati presidenziali che una persona può ricoprire, gli avrebbe impedito di candidarsi alla carica alle prossime elezioni. Il Fronte sociale democratico, unico partito ad aver votato contro la riforma della costituzione, ha organizzato una giornata di “lutto per la morte della democrazia”.