Per conquistare i cuori degli afghani non servono armi e bombardamenti

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Per conquistare i cuori degli afghani non servono armi e bombardamenti

28 Maggio 2009

La  conferenza sulla stabilizzazione dell’Afghanistan al G8 dei ministri degli esteri di Trieste è importante perché, più che di azioni militari e di prevenzione, parlerà della ricostruzione civile e dello stato afghano. "La parola chiave è vincere la fiducia della popolazione, non la guerra", come ha detto il ministro Frattini.

E’ anche la dconvinzione di David Kilcullen, maestro d’armi australiano che ha aiutato il generale Petraeus a elaborare la strategia del ‘surge’ iracheno. Avere i droni e le armi più micidiali del mondo non basta se la popolazione non sta dalla tua parte. “Solo una genuina partnership con la gente può aiutarci a vincere”. 

Alla fine degli anni Cinquanta gli inglesi avevano capito che in Afghanistan le guerre si vincono solo quando sono finite. Oggi lo hanno intuito anche le potenze occidentali che nel 2001 rovesciarono il regime di Kandahar. Gli strateghi del Pentagono e i teorici delle guerre-lampo alla Rumsfeld si affidarono ingenuamente alla sola potenza militare americana, “le forze d’elite che operavano sotto l’ombrello high-tech di un’aviazione precisa, e grazie alla sorveglianza spaziale e satellitare”, ricorda Kilcullen. All’epoca, il generale Tommy Franks la definì entusiasticamente “information dominance”. In realtà, nel dicembre del 2001, c’erano solo 110 operativi della Cia e qualche centinaio di ufficiali delle Forze Speciali sul terreno afghano.

In pochi anni la guerriglia talebana si è rifatta sotto, alternando una serie di offensive e ritirate che stanno mettendo a dura prova le forze della Coalizione. Le basi di Al Qaeda in Afghanistan sono andate in gran parte distrutte, a sentire Petraeus, ma per riuscirci, e per contenere la risorgenza talebana, i comandi occidentali hanno iniziato a fare un uso sempre più massiccio della forza per quelle che, almeno nelle intenzioni, dovevano essere “operazioni chirurgiche”. Questa strategia ha provocato gravi ricadute sulla popolazione civile come il bombardamento che ha fatto oltre un centinaio di vittime civili nella provincia di Farah, qualche settimana fa.

La risposta ai talebani non sono solo i droni, sostiene Kilkullen. La strategia del generale McChrystal, il nuovo comandante americano in Afghanistan, deve essere coinvolgere gli afghani nella difesa e nella definitiva liberazione del loro Paese. E’ dal 2006 che Kilkullen gira nel Paese incontrando capitribù, soldati e poliziotti, ufficiali del governo, leader religiosi, intellettuali e gente comune. Di una cosa si è convinto: gli afghani non pensano di essere stati “invasi” dagli occidentali. Credono piuttosto, e con qualche seria ragione, di essere stati loro a offrire un contributo fondamentale nella sconfitta del mullah Omar. Senza le tribù pashtun e i gruppi etnici del nord del Paese, la tecnologia e lo sforzo bellico della Coalizione sarebbero serviti a poco. “Gli afghani odiano i Taliban – dice Kilkullen – soprattutto oggi, solo il 4 per cento della popolazione vorrebbe il loro ritorno”. La chiave della vittoria è tutta qui. 

I sondaggi dicono che almeno il 60 per cento della popolazione chiede alle truppe della Coalizione di restare; l’80 per cento vorrebbe continuare ad avere la stessa forma di governo che c’è adesso in Afghanistan e la metà di questa cifra approva l’operato di Karzai. “I sovietici, gli inglesi o nessun’altro hanno mai avuto il sostegno della popolazione afghana”, riflette Kilkullen, convinto che la missione ISAF prima o poi finirà. Non subito, però. Kilkullen ipotizza come data il 2015, ammettendo che gli americani e i loro alleati restino nel Paese anche dopo con delle basi e per completare l’addestramento dell’esercito e della polizia locale.

Tutto questo non potrà avvenire se non si combatterà seriamente la corruzione che oggi – per gli afghani – è il primo problema insieme alla sicurezza personale. Secondo Kilkullen il problema non è quanti rinforzi puoi avere a disposizione, o il numero di Talebani che riesci ad ammazzare, ma se garantisci alla popolazione una vita tranquilla. Le 85.000 truppe di Isaf, al massimo dell’impegno militare previsto durante quest’anno, non basteranno a proteggere tutti i villaggi del Paese. La partnership evocata da Kilkullen è un lavoro comune svolto dalle Forze Speciali con la polizia a i militari afghani, supportato dall’aviazione e da altre forze di reazione rapida. Una rete che si allarghi fino a raggiungere ogni distretto governativo, dalla periferia al centro. A metà del 2008 il governo Karzai controllava effettivamente solo un quarto del suo territorio.

Ristabilire l’alleanza che nel 2001 permise di rovesciare i Taliban, dunque. “In Afghanistan si combatte con la popolazione e per avere il suo sostegno. Se no si perde”.